Salve a tutti,
è la prima volta che scrivo qui, ma oggi mi serve davvero un aiuto. Devo fare un commento sull'articolo riportato sotto, ma non so davvero cosa scrivere. Perfavore potreste fare un commento (anche piccolo.. non importa). Che sò scrivete cosa ne pensate, se la pensate allo stesso modo. Grazie a tutti!
«C’è stato un errore strategico, le persone vanno motivate con stimoli e feedback positivi, se possibile immediati. Abbiamo tutti bisogno di promemoria, ma devono essere quelli giusti, non di certo ascoltare giornalmente alla radio l’andamento dell’indice Dow Jones… Può esistere una
Oggi parliamo di felicità. E di benessere, non inteso in termini materiali come ormai siamo soliti pensare, ma nel suo primo significato: ben essere appunto, stare bene al mondo. L’idea di misurare quanto la felicità sia diffusa nelle varie nazioni è venuta a Nic Marks, un ricercatore del Nef (The New Economic Foundation) di Londra, con una laurea in management, una passione per le statistiche, la psicologia umana e l’ambiente. Marks ammette di possedere il tratto caratteristico tipico degli happiness researcher (già, perché esistono i “ricercatori di felicità”), tratto che lui chiama Cpa (chronic positive affect), una sorta di positività cronica. Ci vuole certo, quando decidi di indagare su uno dei grandi misteri della vita. Infatti, come si può misurare la felicità? Il presupposto di Marks è che esista un collegamento fondamentale tra benessere umano e ambiente. Ovvio che siamo più felici quando viviamo in un ambiente favorevole, ma qui si tratta di una felicità strettamente interconnessa all’esistenza della Terra. Per questo il risultato dello studio, giunto alla seconda edizione, è intitolato Happy Planet Index (Hpi): non può esistere una happy life, senza un happy planet.
I parametri della felicità
Il punto di partenza è la critica al nostro concetto di progresso nazionale, e quindi di benessere, basato su unità di misura finanziarie strettamente numeriche (Pil, crescita economica eccetera), aspetti che non sono sufficienti a determinare la felicità delle persone. E allora perché non anteporre lo sviluppo umano a quello economico come paradigma per misurare il benessere reale? A questo scopo l’Hpi adotta tre nuovi criteri: la soddisfazione per la propria vita, l’aspettativa di vita e l’impronta ecologica, includendo nel primo le relazioni con gli altri, il senso di appartenenza a una comunità, le opportunità, il coinvolgimento in attività utili e appaganti. I primi due criteri sono, in parole povere, le mete a cui tutta l’umanità aspira. D’accordo, ma a quale prezzo?
Qui entra in gioco il terzo elemento, l’uso delle risorse che permettono di raggiungere un determinato livello di benessere. Per calcolare il grado di sostenibilità Marks utilizza il concetto di impronta ecologica, che mette in rapporto il consumo umano delle risorse naturali con la capacità della Terra di rigenerarsi(1). Per dare un’idea, nel 2005 l’impronta ecologica dei paesi occidentali era così alta che presupponeva l’esistenza di tre pianeti Terra. Troppo facile così, il benessere è stato raggiunto attingendo a destra e manca, senza considerare quella metà del mondo che spesso consuma il minimo e non usufruisce delle proprie risorse e materie prime perché le “mette a disposizione” delle nazioni più sviluppate. Quindi, il vero obiettivo dell’hpi(2) , calcolato su 143 Stati, non è stabilire quali siano i paesi più felici e longevi del mondo, ma mostrare quali raggiungono la meta senza abusare e stressare le risorse naturali del pianeta. In pratica, una felicità a costo (ambientale) quasi nullo.
E ora vediamo i risultati. La prima notizia è che non esiste il paese felice, nessuno ha raggiunto un risultato eccellente nei tre criteri. Ad esempio, le nazioni considerate normalmente all’apice dello sviluppo hanno un’alta aspettativa di vita e una buona qualità della vita, ma un’impronta ecologica talmente elevata da farli precipitare in fondo alla classifica. È il caso degli Stati Uniti, posizionati al 114° posto, che consumano come se avessero quattro pianeti e mezzo a disposizione. Viceversa, alcuni stati africani, come l'Angola e lo Zambia con un’impronta ecologica quasi inesistente, sono tra gli ultimi per aspettativa e soddisfazione (lo Zimbabwe è all’ultimo posto con un’aspettativa di vita di 40,9 anni). L’Italia si trova a un modesto 69° posto: paese longevo (80 anni), abbastanza soddisfatto, ma dedito al consumo (il doppio di quanto permesso).
Gli stati sul podio
E in cima alla classifica? La Costarica. «È un risultato da prendere come esempio. Questa nazione ha un’aspettativa di vita di 78,5 anni, più alta di quella degli Usa» spiega Marks. «Utilizza circa un quarto delle risorse mediamente usate in Occidente. Il 99% dell’elettricità che produce arriva da fonti rinnovabili, si è impegnata a diventare carbon neutral entro il 2021. Ha eliminato l’esercito nel 1949 e investito molto in programmi sociali, educativi e sanitari. La percentuale di persone che vive con meno di due dollari al giorno è più bassa di quella della Romania, uno stato membro dell’Unione Europea! In più è un paese latino, che significa, una rete forte di legami familiari e un’attitudine alla condivisione della vita». Seguono a ruota la Repubblica Dominicana al secondo posto e – chi l’avrebbe mai detto? – la Giamaica al terzo.
Anche l’isola scoperta da Cristoforo Colombo ha una minima impronta ecologica e una politica tesa alla difesa dell’ambiente, come elemento chiave: il 32% del paese è coperto da parchi e riserve nazionali, la percentuale più alta di tutto il continente americano. Ma è il terzo posto della Giamaica a sorprendere di più. Le statistiche dicono che è uno tra gli stati con il tasso di omicidi più alto del mondo, oltre ad avere un notevole indice di povertà. Eppure la popolazione ha un’aspettativa di vita di 72,2 anni. Merito di una politica sanitaria efficiente: dall’assistenza medica all’accesso all’acqua potabile, aspetti sorprendenti in un paese il cui Pil è pari a un decimo di quello americano, come sottolinea il professore James Riley nel suo libro Poverty and Life Expectancy: The Jamaica Paradox. Infine, scopriamo anche che il 5% della produzione energetica arriva da fonti rinnovabili. Sembra poco? Be', siamo allo stesso livello in Inghilterra.
A scorrere le prime 10 posizioni dell’Hpi balza all’occhio la presenza di ben nove stati latinoamericani, alcuni davvero impensabili, come Guatemala, El Salvador, Honduras e Colombia. Cosa li accomuna? La pura vida. È un’espressione che si usa molto in Costarica e indica l’attitudine a godersi la vita, il presente e tutto ciò che di positivo esiste qui e ora. «Siamo onesti: questa parte del mondo è ed è stata caratterizzata da diseguaglianza, guerre civili, deforestazione e sacche di estrema povertà concentrate intorno alla metropoli» continua Marks. «Non è certo il paradiso in terra, ma ci sono due caratteristiche chiave nella cultura latinoamericana che diventano fondamentali: la presenza di valori e aspirazioni non-materialistiche e le relazioni sociali: la famiglia, le amicizie e l’attivismo della società civile. Fattori cruciali per sentirsi bene. Lo spirito positivo che ne deriva è anche lo stimolo ad affrontare le difficoltà presenti e le sfide future». E il nostro obiettivo principale deve essere quello di plasmarci su questo modello.
Le cinque pratiche
Per capire da dove ripartire, Marks, in un recente discorso durante Ted Oxford (3), non ha risparmiato una critica diretta al movimento ambientalista (di cui fa parte), che finora ha offerto una visione apocalittica del futuro, basata su esempi drammatici per catturare l’attenzione del pubblico. «C’è stato un errore strategico, le persone vanno motivate con stimoli e feedback positivi, se possibile immediati. Abbiamo tutti bisogno di promemoria, ma devono essere quelli giusti, non di certo ascoltare giornalmente alla radio l’andamento dell’indice Dow Jones». I suoi propositi si traducono in cinque azioni positive da esercitare tutti i giorni per essere felici: essere in relazione con gli altri e influenzarsi positivamente e reciprocamente, fare attività fisica, guardarsi in giro e “allungare le antenne”, continuare a imparare e a nutrire la curiosità. Infine, le attività più antieconomiche che esistono, ma ad alto potenziale di gioia: la generosità, l’altruismo e l’empatia. «Tutte e cinque sono pratiche semplici che non pesano sul pianeta: la dimostrazione che può esistere una felicità non distruttiva. È vero, la felicità è un concetto complesso ed elusivo, ma è sorprendentemente facile da raggiungere, se sappiamo come».
è la prima volta che scrivo qui, ma oggi mi serve davvero un aiuto. Devo fare un commento sull'articolo riportato sotto, ma non so davvero cosa scrivere. Perfavore potreste fare un commento (anche piccolo.. non importa). Che sò scrivete cosa ne pensate, se la pensate allo stesso modo. Grazie a tutti!
«C’è stato un errore strategico, le persone vanno motivate con stimoli e feedback positivi, se possibile immediati. Abbiamo tutti bisogno di promemoria, ma devono essere quelli giusti, non di certo ascoltare giornalmente alla radio l’andamento dell’indice Dow Jones… Può esistere una
Perfavore,
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non distruttiva. È vero, la Perfavore,
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è un concetto complesso ed elusivo, ma è sorprendentemente facile da raggiungere, se sappiamo come»Oggi parliamo di felicità. E di benessere, non inteso in termini materiali come ormai siamo soliti pensare, ma nel suo primo significato: ben essere appunto, stare bene al mondo. L’idea di misurare quanto la felicità sia diffusa nelle varie nazioni è venuta a Nic Marks, un ricercatore del Nef (The New Economic Foundation) di Londra, con una laurea in management, una passione per le statistiche, la psicologia umana e l’ambiente. Marks ammette di possedere il tratto caratteristico tipico degli happiness researcher (già, perché esistono i “ricercatori di felicità”), tratto che lui chiama Cpa (chronic positive affect), una sorta di positività cronica. Ci vuole certo, quando decidi di indagare su uno dei grandi misteri della vita. Infatti, come si può misurare la felicità? Il presupposto di Marks è che esista un collegamento fondamentale tra benessere umano e ambiente. Ovvio che siamo più felici quando viviamo in un ambiente favorevole, ma qui si tratta di una felicità strettamente interconnessa all’esistenza della Terra. Per questo il risultato dello studio, giunto alla seconda edizione, è intitolato Happy Planet Index (Hpi): non può esistere una happy life, senza un happy planet.
I parametri della felicità
Il punto di partenza è la critica al nostro concetto di progresso nazionale, e quindi di benessere, basato su unità di misura finanziarie strettamente numeriche (Pil, crescita economica eccetera), aspetti che non sono sufficienti a determinare la felicità delle persone. E allora perché non anteporre lo sviluppo umano a quello economico come paradigma per misurare il benessere reale? A questo scopo l’Hpi adotta tre nuovi criteri: la soddisfazione per la propria vita, l’aspettativa di vita e l’impronta ecologica, includendo nel primo le relazioni con gli altri, il senso di appartenenza a una comunità, le opportunità, il coinvolgimento in attività utili e appaganti. I primi due criteri sono, in parole povere, le mete a cui tutta l’umanità aspira. D’accordo, ma a quale prezzo?
Qui entra in gioco il terzo elemento, l’uso delle risorse che permettono di raggiungere un determinato livello di benessere. Per calcolare il grado di sostenibilità Marks utilizza il concetto di impronta ecologica, che mette in rapporto il consumo umano delle risorse naturali con la capacità della Terra di rigenerarsi(1). Per dare un’idea, nel 2005 l’impronta ecologica dei paesi occidentali era così alta che presupponeva l’esistenza di tre pianeti Terra. Troppo facile così, il benessere è stato raggiunto attingendo a destra e manca, senza considerare quella metà del mondo che spesso consuma il minimo e non usufruisce delle proprie risorse e materie prime perché le “mette a disposizione” delle nazioni più sviluppate. Quindi, il vero obiettivo dell’hpi(2) , calcolato su 143 Stati, non è stabilire quali siano i paesi più felici e longevi del mondo, ma mostrare quali raggiungono la meta senza abusare e stressare le risorse naturali del pianeta. In pratica, una felicità a costo (ambientale) quasi nullo.
E ora vediamo i risultati. La prima notizia è che non esiste il paese felice, nessuno ha raggiunto un risultato eccellente nei tre criteri. Ad esempio, le nazioni considerate normalmente all’apice dello sviluppo hanno un’alta aspettativa di vita e una buona qualità della vita, ma un’impronta ecologica talmente elevata da farli precipitare in fondo alla classifica. È il caso degli Stati Uniti, posizionati al 114° posto, che consumano come se avessero quattro pianeti e mezzo a disposizione. Viceversa, alcuni stati africani, come l'Angola e lo Zambia con un’impronta ecologica quasi inesistente, sono tra gli ultimi per aspettativa e soddisfazione (lo Zimbabwe è all’ultimo posto con un’aspettativa di vita di 40,9 anni). L’Italia si trova a un modesto 69° posto: paese longevo (80 anni), abbastanza soddisfatto, ma dedito al consumo (il doppio di quanto permesso).
Gli stati sul podio
E in cima alla classifica? La Costarica. «È un risultato da prendere come esempio. Questa nazione ha un’aspettativa di vita di 78,5 anni, più alta di quella degli Usa» spiega Marks. «Utilizza circa un quarto delle risorse mediamente usate in Occidente. Il 99% dell’elettricità che produce arriva da fonti rinnovabili, si è impegnata a diventare carbon neutral entro il 2021. Ha eliminato l’esercito nel 1949 e investito molto in programmi sociali, educativi e sanitari. La percentuale di persone che vive con meno di due dollari al giorno è più bassa di quella della Romania, uno stato membro dell’Unione Europea! In più è un paese latino, che significa, una rete forte di legami familiari e un’attitudine alla condivisione della vita». Seguono a ruota la Repubblica Dominicana al secondo posto e – chi l’avrebbe mai detto? – la Giamaica al terzo.
Anche l’isola scoperta da Cristoforo Colombo ha una minima impronta ecologica e una politica tesa alla difesa dell’ambiente, come elemento chiave: il 32% del paese è coperto da parchi e riserve nazionali, la percentuale più alta di tutto il continente americano. Ma è il terzo posto della Giamaica a sorprendere di più. Le statistiche dicono che è uno tra gli stati con il tasso di omicidi più alto del mondo, oltre ad avere un notevole indice di povertà. Eppure la popolazione ha un’aspettativa di vita di 72,2 anni. Merito di una politica sanitaria efficiente: dall’assistenza medica all’accesso all’acqua potabile, aspetti sorprendenti in un paese il cui Pil è pari a un decimo di quello americano, come sottolinea il professore James Riley nel suo libro Poverty and Life Expectancy: The Jamaica Paradox. Infine, scopriamo anche che il 5% della produzione energetica arriva da fonti rinnovabili. Sembra poco? Be', siamo allo stesso livello in Inghilterra.
A scorrere le prime 10 posizioni dell’Hpi balza all’occhio la presenza di ben nove stati latinoamericani, alcuni davvero impensabili, come Guatemala, El Salvador, Honduras e Colombia. Cosa li accomuna? La pura vida. È un’espressione che si usa molto in Costarica e indica l’attitudine a godersi la vita, il presente e tutto ciò che di positivo esiste qui e ora. «Siamo onesti: questa parte del mondo è ed è stata caratterizzata da diseguaglianza, guerre civili, deforestazione e sacche di estrema povertà concentrate intorno alla metropoli» continua Marks. «Non è certo il paradiso in terra, ma ci sono due caratteristiche chiave nella cultura latinoamericana che diventano fondamentali: la presenza di valori e aspirazioni non-materialistiche e le relazioni sociali: la famiglia, le amicizie e l’attivismo della società civile. Fattori cruciali per sentirsi bene. Lo spirito positivo che ne deriva è anche lo stimolo ad affrontare le difficoltà presenti e le sfide future». E il nostro obiettivo principale deve essere quello di plasmarci su questo modello.
Le cinque pratiche
Per capire da dove ripartire, Marks, in un recente discorso durante Ted Oxford (3), non ha risparmiato una critica diretta al movimento ambientalista (di cui fa parte), che finora ha offerto una visione apocalittica del futuro, basata su esempi drammatici per catturare l’attenzione del pubblico. «C’è stato un errore strategico, le persone vanno motivate con stimoli e feedback positivi, se possibile immediati. Abbiamo tutti bisogno di promemoria, ma devono essere quelli giusti, non di certo ascoltare giornalmente alla radio l’andamento dell’indice Dow Jones». I suoi propositi si traducono in cinque azioni positive da esercitare tutti i giorni per essere felici: essere in relazione con gli altri e influenzarsi positivamente e reciprocamente, fare attività fisica, guardarsi in giro e “allungare le antenne”, continuare a imparare e a nutrire la curiosità. Infine, le attività più antieconomiche che esistono, ma ad alto potenziale di gioia: la generosità, l’altruismo e l’empatia. «Tutte e cinque sono pratiche semplici che non pesano sul pianeta: la dimostrazione che può esistere una felicità non distruttiva. È vero, la felicità è un concetto complesso ed elusivo, ma è sorprendentemente facile da raggiungere, se sappiamo come».