*MidNight SUN* - Recensione + i primi 12 capitoli del libro

EmO_CoRe

Utente Assiduo
Autore del topic
25 Aprile 2009
503
0
Miglior risposta
0
Dopo il compimento della saga { Twilight, New Moon, Eclipse, Breking Dawn }
la nostra amica Stephenie, ha iniziato a scrivere un altro libro.
MIDNIGHT SUN!


Midnight SUN è l'inizio della storia { Twilight x intenderci } con la diversiva che è sotto il punto di vista di EDWARD { ricordo che Edward può leggere nella mente altrui }

Io l'ho letto e devo dire che sn rimasto senza fiato!


Dimenticavo di seguito vi ho postato i primi 12/13 capitoli di Midnight Sun poichè non è coperto da leggi che ne vietano la riproduzione.

NEWS sulla pubblicazione del libro ( varie fonti! ):
Tempo fà alcune bozze del romanzo a cui stava lavorando la Meyer, Midnight Sun, sono state disseminate online. Una fuga di notizie e spoiler che l’autrice di Twilight non ha assolutamente gradito. In risposta allo sgradevole accaduto la Meyer ha deciso di sospendere il progetto in maniera indefinita.




[NOTIZIA]Ricordo che Midnight Sun non è coperto da CopyRight quindi è LEGALE leggere e postare tali capitoli (:[/NOTIZIA]

Midnight Sun



1.A prima vista
Ecco il momento della giornata in cui non desideravo altro che poter dormire.

Le ore di scuola.

Forse la definizione giusta era “purgatorio”. Ammesso che espiare le mie colpe fosse possibile, quelle ore andavano conteggiate. Non ero mai riuscito ad abituarmi alla mia noia; per assurdo, ogni giorno sembrava ancora più monotono del precedente.

Immagino quello fosse il mio modo di dormire – se vogliamo chiamare sonno lo stato di inerzia tra un periodo di attività e l’altro.

Fissavo le crepe che correvano sull’intonaco dell’angolo della mensa, e ci leggevo intrecci inesistenti. Un modo come un altro per staccarmi dalle voci che mi blateravano in testa come acqua scrosciante.

Centinaia e centinaia di voci, talmente noiose da passare inosservate.

Frequentando la mente degli umani, ne avevo sentite di tutti i colori. Quel giorno lo spreco di energie collettive, riguardava la banale vicenda di un nuovo arrivo nello sparuto corpo studentesco locale. Bastava davvero poco a mandarli su di giri.

Vedevo il nuovo volto riflesso di pensiero in pensiero, da ogni angolazione. Una ragazza, un essere umano qualsiasi. L’eccitazione che aveva preceduto il suo arrivo era scontata e prevedibile – come mostrare un oggetto luccicante ad un pargolo. Metà del gregge dei maschi si vedeva già innamorato di lei, soltanto perché era qualcosa di nuovo da contemplare. Erano i più difficili da ignorare.

Le voci che bloccavo per gentilezza, anziché per disgusto, erano soltanto quattro: quelle dei miei familiari, due fratelli e due sorelle, tanto abituati dalla mancanza di privacy in mia presenza da non farci neanche più caso. Cercavo di concedergli la maggior intimità possibile. Se mi riusciva, evitavo di ascoltarvi.

Ma per quanto mi sforzassi… sapevo tutto.

Rosalie, come al solito, pensava a se stessa. Si era vista riflessa in un paio di occhiali, ed era concentrata sulla propria perfezione. La mente di Rosalie era uno specchio d’acqua poco profondo e privo di sorprese.

Emmett non aveva ancora smaltito la rabbia dopo la sconfitta un incontro di lotta contro Jasper, la sera prima. Si stava sforzando di portare pazienza, per quel poco che gli riusciva, in attesa della rivincita che voleva organizzare alla fine della giornata.

Ascoltare la mente di Emmett non mi metteva mai in imbarazzo, perché i suoi pensieri si traducevano sempre in una frase o un gesto. Forse le difficoltà nascevano con gli altri, perché sapevo che c’era sempre qualcosa che avrebbero desiderato tenermi nascosto. Se nella mente di Rosalie c’erano acque poco profonde, quella di Emmett era un lago senza ombre, trasparente come il vetro.

Jasper, invece… soffriva. Soffocai un respiro.

Edward. Alice mi chiamò, mentalmente, catturando all’istante la mia attenzione.

Proprio come se mi avesse chiamato ad alta voce. Ero contento che il mio nome di battesimo non fosse più tanto di moda – che fastidio, voltarmi automaticamente ogni volta che qualcuno pensava ad un Edward.

In quel caso, non mi voltai. Io e Alice eravamo esperti di conversazioni private.

Passavamo quasi sempre inosservati. Non staccai gli occhi dall’intonaco.

Come sta reagendo? Chiese lei.

Mi rabbuiai, cambiando leggermente espressione della bocca. Niente di percepibile dagli altri. Potevo sembrare semplicemente annoiato.

Il tono dei pensieri di Alice sembrava allarmato, e leggendo la sua mente notai che, con la coda dell’occhio, osservava Jasper. E’ in pericolo? Spingendosi in avanti, nel futuro immediato, cercò tra immagini di monotonia l’origine della mia smorfia.

Mi voltai lentamente a sinistra come per osservare la parete, sbuffai, e torna i seguire le crepe sul soffitto, alla mia destra. Solo Alice capì che le stavo rispondendo di no.

SI rilassò. Fammi sapere se peggiora.

Guardai prima all’insù, poi verso terra.

Grazie dell’aiuto.

Per fortuna non potevo risponderle ad alta voce. Cosa avrei potuto dirle? “E’ un piacere”? Non lo era affatto. Non mi piaceva ascoltare le lotte interiori di Jasper. C’era davvero bisogno di fare certi esperimenti? Non sarebbe stato più sicuro ammettere la sua incapacità di tenere a bada la sete come noi altri, senza mettersi alla prova in quel modo? Perché giocare con il pericolo, la catastrofe?

Dalla nostra ultima battuta di caccia erano passate più di due settimane. Non era un intervallo di tempo eccessivo, per noi. A volte dava un certo fastidio – se un essere umano si avvicinava troppo, se il vento soffiava dalla parte sbagliata. Raramente però gli umani osavano tanto. L’istinto diceva loro ciò che con la mente non avrebbero mai capito: eravamo pericolosi.

E Jasper era già molto pericoloso.

In quel momento, una ragazzina si fermò accanto al tavolo più vicino al nostro, per parlare con un’amica. Con le dita, si ravvivò i capelli corti e rossicci. La ventola del riscaldamento ne soffiò il profumo verso di noi. Ero abituato alle mie reazioni, in quei casi – il bruciore nella gola secca, i morsi della fame nello stomaco vuoto, la contrazione automatica dei muscoli, l’eccesso di veleno in bocca…

Reazioni normali, facili da ignorare, di solito. In quel modo, concentrato su Jasper, le sensazioni erano più forti, raddoppiavano, e la difficoltà aumentava. Sentivo la mia sete e la sua gemella. Jasper si stava lasciando trasportare dall’immaginazione. Si vedeva abbandonare il posto accanto ad Alice, per avvicinarsi alla ragazzina. Fantasticava di chinarsi verso di lei, come per sussurrarle qualcosa all’orecchio, e di sfiorarle l’incavo del collo con le labbra. Pregustava la sensazione, tra i denti, di ciò che scorreva caldo sotto quella pelle delicata.

Diedi un calcio alla sua sedia.

Per un istante incrociò il mio sguardo, poi abbassò gli occhi. Nella sua mente, sentivo la guerra tra vergogna e ribellione.

“scusa”, mormorò.

Mi strinsi nelle spalle.

“Non ci saresti riuscito” sussurrò Alice, per consolarlo. “L’ho visto”.

Evitai di sorridere, per non rivelare che stava mentendo. Dovevamo restare uniti, io e Alice. Ascoltare le voci, vedere nel futuro, non era facile. Risultavamo strani persino ai nostri simili. Ci aiutavamo a proteggere i rispettivi segreti.

“Cercare di vederli come persone aiuta”, suggerì Alice, con quella sua voce acuta, musicale, troppo veloce perché le orecchie umane la capissero, ammesso che fossero abbastanza vicine da sentirle. “Si chiama Whitney. Ha una sorellina appena nata che adora. Sua madre ha invitato Esme a quella festa in giardino, ricordi?”

“So chi è” fu la risposta secca di Jasper. Si voltò a guardare verso una delle finestrelle posizionate appena sotto l’angolo tra la parete e il soffitto. Le sue parole perentorie chiusero la conversazione.

Gli ci voleva una battuta di caccia, quella sera stessa. Era ridicolo prendersi un rischio simile, nel tentativo di mettersi alla prova, di aumentare la resistenza. Jasper doveva accettare i propri limiti e farsene una ragione. Le sue vecchie abitudini erano inconciliabili con il nostro stile di vita; era inutile ostinarsi in quel modo.

Alice sospirò piano, si alzò in piedi prendendo con se il vassoio del pranzo – semplice arredo scenico – e lasciò Jasper. Capiva subito se i suoi incoraggiamenti non erano ben accetti. Benché la relazione tra Rosalie ed Emmett fosse la più lampante, la conoscenza reciproca tra Alice e Jasper era molto più profonda. Come se anche loro fossero capaci di leggersi nel pensiero.

Edward Cullen.

Riflesso automatico. Mi voltai, sentendo qualcuno chiamare il mio nome, benché lo avesse soltanto pensato, non pronunciato.

Per una frazione di secondo, i miei occhi incrociarono quelli marrone scuro di un volto umano, un viso a forma di cuore, dal colorito pallido. Un viso che conoscevo, malgrado non l’avessi ancora visto di persona. Lo avevo incontrato in quasi tutti i pensieri umani, quel giorno. La nuova alunna, Isabella Swan. Figlia dell’ispettore di polizia del posto, presa in custodia dal padre separato. Bella. Aveva già corretto chiunque l’avesse chiamata con il nome intero…

Guardai altrove, annoiato. Mi ci volle un secondo, per capire che non era stata lei a pensare il mio nome.

Ovviamente sta già perdendo la testa per i Cullen. Il pensiero proseguiva così.

A quel punto riconobbi la “voce”. Jessica Stanley – era passato un po’ di tempo da quando mi aveva disturbato con il suo chiacchiericcio interno. Che sollievo, quando aveva superato la sua infatuazione malriposta. Era quasi impossibile sfuggire ai suoi costanti e ridicoli sogni a occhi aperti. All’epoca avevo desiderato di poterle spiegare esattamente cosa sarebbe successo se le mie labbra, e i denti che celavano, le si fossero avvicinate troppo. Avrei zittito tutte quelle fantasie moleste. Al pensiero della sua reazione accennai un sorriso.

Ben le sta, continuò Jessica. Non è neanche bella. Non capisco perché Eric la fissi in quel modo… e pure Mike.

Trasalì, mentalmente, al nome di Mike. Mike Newton, studente di media popolarità e sua cotta più recente, non le prestava la minima attenzione. Viceversa, non perdeva d’occhio la nuova alunna. Riecco il bambino davanti all’oggetto luccicante. Ciò aggiunse un che di perfido ai pensieri di Jessica, che tuttavia di sforzava di essere genericamente cordiale con la nuova arrivata, a cui stava raccontando una sfilza di luoghi comuni sulla mia famiglia. Evidentemente la nuova le aveva chiesto di noi.

Oggi anch’io sono sotto gli occhi di tutti, pensò Jessica, tra sé. E’ stata una bella fortuna frequentare due lezioni assieme a Bella… Scommetto che Mike mi chiederà subito se è…

Cercai di filtrare quello stupido chiacchiericcio, prima che sciocchezze e banalità mi fassero impazzire.

“Jessica Stanley sta spiattellando tutti i pettegolezzi sul clan dei Cullen alla nuova arrivata, la figlia di Swan” mormorai a Emmett, per distrarmi.

Soffocò una risata. Spero che non si sia persa i dettagli, pensò.

“Poca fantasia, dire. Giusto un briciolo di scandalo. Neanche un grammo di orrore. Sono un po’ deluso.”

E la ragazza nuova? Anche lei è delusa dai pettegolezzi?

Cercai di ascoltare cosa pensasse del racconto di Jessica la nuova arrivata. Cosa vedeva Bella quando guardava la strana famiglia dalla pelle di gesso che tutti evitavano?

Conoscerne le reazioni, più o meno, rientrava nei miei compiti. Ero come una vedetta, per così dire, per la mia famiglia. Per proteggerla. Quando qualcuno diventava sospettoso, segnalavo il pericolo e iniziava la ritirata. Succedeva, di tanto in tanto – certi esseri umani dalla fantasia fertile ci riconoscevano, nei personaggi di libri o film. Anche se di solito si sbagliavano, quello era il momento giusto per trasferirci altrove, piuttosto che rischiare che approfondissero le indagini. Molto più raramente spuntava qualcuno che capiva. Non gli davamo nemmeno la possibilità di verificare le sue ipotesi. Ce ne andavamo, di punto in bianco, lasciandoci alle spalle soltanto un ricordo spaventoso…

Non sentivo niente, malgrado ascoltassi a pochissima distanza dal punto in cui il frivolo monologo interiore di Jessica continuava a spillare. Come se accanto a lei non ci fosse nessuno. Stranissimo, forse la ragazza di era spostata. Poco probabile, perché Jessica continuava a ciarlare. Alzai lo sguardo per controllare, e mi sentii goffo. Non mi capiva quasi mai di dover controllare ciò che il mio “udito” supplementare mi suggeriva.

Di nuovo, il mio sguardo incrociò quei grandi occhi castani. Era seduta proprio dove l’avevo già vista, e guardava verso di noi; una posa spontanea, pensavo, dal momento che Jessica non aveva ancora finito di renderle conto dei pettegolezzi locali sui Cullen. Anche pensare a noi era una reazione spontanea.

Ma non sentivo niente di niente.

Nel momento in cui abbassò lo sguardo per evitare la spiacevole gaffe di farsi sorprendere a fissare uno sconosciuto, sulle sue guance apparve un invitante e caldo rossore. Per fortuna Jasper non aveva ancora allontanato gli occhi dalla finestra. Non era piacevole immaginare cos’avrebbe combinato al suo autocontrollo quell’affiorare di sangue.

I sentimenti apparivano chiari sul suo viso, come se li avesse scritti in fronte: sorpresa, mentre coglieva, ignara, i segni della sottile differenza tra la sua razza e la mia; curiosità per il racconto di Jessica; e poi, qualcos’altro… attrazione? Non sarebbe stata la prima volta. Alle nostre presunte prede, apparivamo bellissimi. Infine, imbarazzo, quando mi accorsi che stava guardando me.

Eppure, malgrado i suoi pensiero fossero così evidenti, in quegli occhi strani –strani per quanto erano profondi; di solito, gli occhi castani così scuri sembrano piatti- dal suo posto non sentivo provenire che silenzio. Niente di niente.

Per un istante mi sentii a disagio.

Non mi era mai accaduto prima. C’era qualcosa che non andava? Io mi sentivo lo stesso di sempre. Mi preoccupai, e cerca di aguzzare l’orecchio.

Tutte le voci che avevo bloccato irruppero di colpo nella mia testa.

… chissà che musica le piace… potrei forse parlarle di quel nuovo cd … ecco cosa pensava Mike Newton, a due tavoli di distanza – pensieri fissi su Bella Swan.

Se la mangia con gli occhi. Non gli basta che metà delle ragazze della scuola gli facciano la corte… Eric Yorkie elaborava pensieri maligni, anch’essi incentrati sulla ragazza.

… disgustoso. Neanche fosse una vip o qualcosa del genere… persino Edward Cullen la guarda… Lauren Malloy verde d’invidia, anzi, giada scuro. E Jessica, che si fa bella grazie alla nuova amichetta. Mi fanno ridere… i pensieri della ragazza sprizzavano vetriolo.

…scommetto che gliel’hanno chiesto tutti. Ma mi piacerebbe parlare con lei.

Cercherò una domanda più originale… rimuginava Ashley Bowling.

… magari la incontro alla lezione di spagnolo… sperava June Richardson.

… troppe cose da fare, stasera! Trigo, e il compito di inglese. Spero che mamma… Angela Weber, ragazza riservata, i cui pensieri erano stranamente cortesi, era l’unica della tavolata a non essere ossessionata da questa Bella.

Li sentivo tutti, coglievo i loro più insignificanti pensieri mano a mano che nascevano. Ma nella mente della nuova alunna, dagli occhi così espressivi e ingannevoli, non trovavo nulla.

Ovviamente riuscii a sentire ciò che disse quando rispose a Jessica. Non c’era bisogno di leggerle nel pensiero, per coglierne la voce bassa e limpida, all’altro capo del lungo salone.

<<chi è quello con i capelli rossicci?>> la sentii chiedere, sbirciando verso di me, con la coda dell’occhio, e voltandosi all’istante quando capì che mi ero accorto di lei.

Avevo sperato che ascoltare il suono della sua voce mi avrebbe aiutato a individuare il tono dei suoi pensieri, persi in un luogo inaccessibile, ma mi dovetti disilludere all’istante. Di solito, i pensieri delle persone somigliavano molto alle loro voci reali.

Questo tono timido e tranquillo non mi era familiare, non somigliava a nessuno tra quelli che risuonavano per la sala a centinaia, ne ero sicuro. Era completamente nuovo.

Ah, buona fortuna, idiota! Pensò Jessica, prima di rispondere alla domanda dell’amica. <<si chiama Edward. E’ uno schianto, ovviamente, ma non sprecare il tuo tempo. Non esce con nessuna. A quanto pare qui non ci sono ragazze abbastanza carine per lui>>, disse, con aria sprezzante.

Mi voltai per nascondere il mio sorriso. Jessica e le sue compagne di classe non si rendevano conto di quanto fossero fortunate, a non piacermi particolarmente,

Al di là di quel momento ironico, sentii un impulso strano, che non riuscivo a comprendere. Aveva qualcosa a che fare con il velo di cattiveria nei pensieri di Jessica, del quale la nuova arrivata era ignara… Sentii il bizzarro impulso di infilarmi tra di loro, di proteggere questa Bella Swan dalle oscure macchinazioni della mente di Jessica. Che cosa strana. Nel tentativo di inquadrare le motivazioni di tale impulso, esaminai ancora una volta la nuova arrivata.

Forse era un istinto di protezione nascosto da tempo – il forte in favore del debole. Questa ragazza pareva molto più fragile delle sue compagne di classe. La sua pelle era diafana, incapace di proteggerla dal mondo esterno. Sotto quella membrana trasparente e pallida, riuscivo a scorgere il pulsare ritmico del sangue… Meglio non concentrarmici troppo. Ero perfettamente in grado di condurre la vita che avevo scelto, ma anche assetato quanto Jasper, e lasciarmi stuzzicare dalle tentazioni non aveva senso.

Forse non se n’era accorta ma aveva leggermente corrugato le sopracciglia.

Che frustrazione incredibile! Era ovvio che per lei fosse un tremendo sforzo, stare lì seduta a parlare con degli sconosciuti, essere al centro dell’attenzione. Sentivo la sua timidezza nel modo in cui stringeva le spalle dall’aria fragile, leggermente ingobbita, come se temesse un rimprovero da un momento all’altro. E riuscivo soltanto a intuire, a vedere, a immaginare. In quella ragazza umana non trovavo che silenzio. Non sentivo niente. Perché?

<<andiamo?>> mormorò Rosalie, interrompendo i miei pensieri.

Tolsi gli occhi dalla ragazza e mi sentii sollevato. Non volevo insistere per i suoi pensieri nascosti, soltanto perché non potevo leggerli. Ovvio, nel momento in cui li avessi decifrati – perché prima o poi ci sarei riuscito, ne ero sicuro – li avrei trovati sciocchi e banali come quelli di qualsiasi altro essere umano. Indegni dello sforzo compiuto per raggiungerli.

<<allora, la nuova ha già paura di noi?>> chiese Emmett, ancora in attesa della risposta alla domanda precedente.

Mi strinsi nelle spalle. Non era interessato a sufficienza per insistere. Nemmeno io avrei dovuto esserlo.

Ci alzammo da tavola e uscimmo dalla mensa.

Emmett, Rosalie e Jasper fingevano di essere studenti dell’ultimo anno; tornarono ognuno alla sua lezione. Io recitavo una parte più giovane. Mi preparai alla noiosa della lezione di biologia di terza. Era poco probabile che il professor Banner, il cui intelletto andava poco sopra la media, riuscisse a sfoderare una trovata capace di sorprendere uno studente con due lauree in medicina.

In classe, mi accomodai al banco e ci rovesciai i libri – anche nel mio caso, semplice arredo scenico; li conoscevo praticamente a memoria. Ero l’unico a non condividere il posto con nessuno. Gli umani non erano tanto astuti da capire che avevano paura di me, ma il loro istinto di sopravvivenza bastava a tenerli a distanza.

L’aula si riempì lentamente, mentre i ragazzi tornavano dalla pausa pranzo. Per l’ennesima volta desiderai di poter dormire.

Quando Angela Weber, che avevo ascoltato poco prima, accompagnò la nuova arrivata alla porta, il suo nome catturò la mia attenzione.

Bella sembra timida come me. Scommetto che oggi è davvero difficile, per lei.

Vorrei poterle dire qualcosa… ma probabilmente fare la figura della stupida…

Evviva! Pensò Mike Newton, voltandosi per guardare le ragazze che entravano.

Da dove si trovava Bella Swan, invece, continuava a non arrivare nulla. Il vuoto che trovavo al posto dei suoi pensieri era irritante, snervante.

Si avvicinò, percorse il corridoio per avvicinarsi alla cattedra. Poveretta, l’unico posto libero era accanto a me. Automaticamente, sgombrai la usa parte di banco, impilando i miei libri. Avevo qualche dubbio che ci si sarebbe sentita a proprio agio. L’aspettava un lungo semestre – in questa classe, per lo meno. Eppure, forse, seduto accanto a lei sarei riuscito a capire i suoi segreti… non che in precedenza avessi mai avuto bisogno di tale vicinanza.. non che avessi mai trovato qualcosa degno di essere ascoltato…

Camminando verso il mio banco, Bella Swan incrociò il getto d’aria tiepida che usciva dalla ventola del riscaldamento.

Il suo profumo mi colpì come una palla di cannone, come un ariete. Non c’è immagine violenta abbastanza da incapsulare la forza di ciò che mi accadde in quel momento.

Diventai tutt’altra cosa, rispetto all’essere umano che ero stato; ogni travvia dell’umanità in cui avevo cercato di confondermi svanì.

Ero predatore. E lei, la mia preda. Non c’era altra verità al mondo.

Nell’aula non c’erano testimoni – nella mia mente, erano già tutti vittime collaterali. Dimenticai persino il mistero dei suoi pensieri. Non me ne importava più nulla, perché presto avrebbe smesso di pensare.

Ero il vampiro, e lei aveva il sangue più dolce che avessi mai odorato in ottant’anni.

Non avevo mai creduto che un simile profumo potesse esistere. Se lo avessi saputo, sarei andato a cercarlo anni prima. Avrei rastrellato il pianeta, per lei. Chissà che sapore…

La sete mi bruciava la gola. Sentivo la bocca secca, carbonizzata. Nemmeno il fiotto di veleno fresco riuscì ad ammorbidire quella sensazione. Lo stomaco si contorceva per la fame, eco della sete. I muscoli, contratti, si prepararono a scattare.

Non era passato neanche un secondo. Procedeva verso di me, lungo il percorso che l’aveva portata sottovento.

Nel momento in cui posò il piede per terra, i suoi occhi sgusciarono verso di me, ovviamente nel tentativo di farsi notare. Il suo sguardo incontrò il mio, e mi vidi riflesso nel grande specchio delle sue pupille.

La sorpresa del volto che vi notai le salvò la vita, per qualche spinoso istante.

E lei non fece nulla per aiutarmi. Quando decifrò l’espressione sul mio viso, il sangue tornò a inondarle le guance, e diede alla sua pelle il colore più delizioso che avessi mai visto. Il profumo era una nebbia impenetrabile tra i miei pensieri. Li articolavo a malapena. Erano furiosi, incontrollabili, incoerenti.

Accelerò il passo, come se avessi colto la necessità di scappare. La fretta la rendeva goffa – inciampò, si sbilanciò in avanti e per poco cadde addosso alla ragazza seduta di fronte a me. Vulnerabile, debole. Fin troppo, rispetto agli altri umani.

Cercai di concentrarmi sul volto che avevo visto nei suoi occhi e riconosciuto con ribrezzo. Il volto del mostro che viveva in me – quello che aveva scacciato dopo decenni di sforzi e disciplina ferrea. Con quale facilità era rispuntato in superficie!

Il profumo mi assalì di nuovo, scompigliandomi i pensieri e costringendomi quasi a balzarle addosso dal mio posto.

No.

Afferrai con forza il bordo del tavolo, nel tentativo di restare seduto. Il legno non era abbastanza resistente. Ne sbriciolai uno spigolo con la mano, nel palmo della quale non mi rimasero che pochi brandelli di legno; sul banco era rimasta incisa la sagoma delle mie dita.

Distruggere gli indizi. Regola fondamentale. Polverizzai subito il bordo del bando con le unghie, finchè non rimasero un buco e un mucchietto di segatura sul pavimento, che dispersi con il piede.

Distruggere gli indizi. Vittime collaterali…

Sapevo cosa sarebbe dovuto succedere. La ragazza si sarebbe seduta la mio fianco, e io avrei dovuto ucciderla.

I testimoni innocenti della classe, altri diciotto ragazzi e un uomo, no avrebbero avuto il permesso di andarsene, dopo aver visto ciò che stavano per vedere.

Trasalii, al pensiero di ciò che sarei stato costretto a fare. Nemmeno al mio peggio avevo mai commesso una simile atrocità. Non avevo mai ucciso un innocente, in più di otto innocenti. In quel momento, invece, progettavo di massacrarne venti in un colpo solo.

Il viso riflesso del mostro si prese gioco di me.

Nel momento in cui una parte di me soccombeva, spaventata dal mostro, l’altra progettava la strage.

Se avessi uccisa per prima la ragazza, avrei avuto quindici o venti secondi a disposizione, prima che gli altri umani reagissero. Forse un po’ di più, se non si fossero accorti subito di me. Non avrebbe avuto tempo di urlare né di sentire dolore; non le avrei inflitto una morte cruenta. Almeno questo potevo concederlo, alla sconosciuta dal sangue tragicamente irresistibile.

Ma a quel punto avrei dovuto impedire agli altri di fuggire. Le finestre non erano un problema, troppo alte e strette per costituire una via di fuga. Soltanto la porta – sbarra quella, e sono in trappola.

Sarebbe stata un’operazione più lenta e difficile, cercare di fermarli nel momento del panico, del disordine, del caos. Non impossibile, ma ci sarebbe stato troppo rumore. Troppo tempo per le urla. Qualcuno li avrebbe sentiti.. e io sarei stato costretto a uccidere altri innocenti, in quel momento nero.

Alle prese con gli altri avrei lasciato che il suo sangue si freddasse.

Il profumo mi assalì, avevo la gola tanto secca da sentirmi soffocare…

Perciò, prima i testimoni.

Visualizzai una pianta della classe. Io ero al centro dell’aula, l’ultima fila stava alle mie spalle, Avrei iniziato da lato destro. Stimavo di poter spezzare quattro o cinque colli al secondo. Senza far rumore. Il lato destro era il più fortunato: non mi avrebbero visto arrivare. Spostandomi prima di fronte a me e poi sul lato sinistro, avrei impiegato, al massimo, cinque secondi per annichilire i presenti.

Abbastanza perché Bella Swan capisse, di sfuggita, cosa stava per succederle.

Abbastanza perché provasse paura. Abbastanza, ammesso che la sorpresa non la inchiodasse sul posto, per lanciare un urlo. Un urlo debole che non avrebbe fatto accorrere nessuno.

Feci un sospiro profondo, il profumo era un fuoco che correva nelle mie vene asciutte, mi esplodeva nel petto e consumava qualsiasi mio tentativo di autocontrollo. Si stava voltando. Ancora pochi secondi, e si sarebbe seduta a pochi centimetri da me.

Il mostro nella mia testa sorrise, impaziente.

Qualcuno, alla mia sinistra, chiuse una cartelletta, rumorosamente. Non alzai lo sguardo per capire quale dei predestinati fosse. Ma quel movimento bastò a soffiare un refolo d’aria normale, non profumata, sul mio volto.

Per un breve istante riuscii a pensare con lucidità. In quel prezioso istante, visualizzai due volti, uno accanto all’altro.

Uno era il mio , o meglio, lo era stato: il mostro dagli occhi rossi che aveva ucciso così tante persone da aver perso il conto. Omicidi giustificati, razionali. Assassino di assassini, assassino di altri mostri, meno potenti. Un complesso di superiorità degno di un dio, certo – decidere chi meritasse la sentenza di morte. Ero sceso a compromessi con la mia natura. Mi ero nutrito di sangue umano, ma la definizione era vaga. Le vittime, con i loro passatempi malvagi, non erano tanto più umane di me.

L’altro volto era quello di Carlisle.

I due visi non si somigliavano. Carlisle non era mio padre in senso strettamente biologico. Non avevo preso niente da lui. Il pallore che ci accomunava era il risultato di ciò che eravamo; tutti i vampiri avevano quello stesso colorito diafano e freddo. Il colore degli occhi aveva un’altra origine – rifletteva una scelta comune.

Eppure, malgrado la somiglianza non fosse lampante, immaginavo che il mio volto avesse iniziato a riflettere il suo, in un certo senso, nei settanta e più anni trascorsi da quando avevo imitato la sua scelta e seguito il suo cammino. I tratti del miei tratti somatici non erano cambiati, ma sentivo che un po’ della sua saggezza aveva segnato la mia espressione, e pensavo che un po’ della sua compassione si potesse leggere nella forma delle mie labbra, che le mie sopracciglia mostrassero un po’ della sua pazienza.

Ognuno di quei piccoli miglioramenti andava perso, di fronte al mostro. Pochi istanti, e non sarebbe rimasto più niente a testimoniare gli anni che avevo passato con il mio creatore, il mio mentore, quello che in più di un frangente era stato davvero mio padre. I miei occhi avrebbero brillato, rossi come quelli di un diavolo; tutte le somiglianze sarebbero sparite per sempre.

Gli occhi di Carlisle che visualizzavo non mi giudicavano. Sapevo che mi avrebbe perdonato un gesto così terribile. Perché mi voleva bene. Perché mi giudicava migliore persino di se stesso. E mi avrebbe voluto bene anche se avessi dimostrato che aveva torto.

Bella Swan si accomodò sulla sedia accanto a me, rigida e goffa – per la paura? – e il profumo del suo sangue sbocciò in una nuvola irresistibile mi circondò.

Avrei dimostrato a mio padre che su di me si sbagliava. La miseria di quel gesto bruciava quasi quanto il fuoco che sentivo in gola.

Rimasi a distanza, nauseato – disgustato dal mostro che moriva dalla voglia di prenderla.

Per quale ragione era giunta proprio qui? Perché esisteva? Perché era venuta a rovinare quel poco di pace che avevo conquistato nella mia non-esistenza? Perché questo irritante essere umano era nato? Mi avrebbe condotto alla rovina.

Mi voltai per non vederla, invaso da una sensazione di odio, orgoglioso e irragionevole.

Chi è questa creatura? Perché proprio io, proprio ora? Perché mi tocca perdere tutto per colpa della sua decisione di piombare in questa cittadina improbabile?

Perché proprio qui!?

Non voglio essere il mostro! Non voglio uccidere un’aula intera di ragazzi indifesi! Non voglio perdere tutto ciò che ho guadagnato con una vita di sacrifici e di rinunce! Non volevo. Non poteva costringermi in quel modo.

Il problema era il profumo, il profumo del suo sangue, così disgustosamente appetitoso. Se solo avessi trovato un modo per resistere… Se solo un altro regolo d’aria fresca mi avesse ripulito la mente.

Bella Swan spostò una ciocca dei suoi capelli coloro modano, lunghi e folti, verso di me.

Era pazza? Così non faceva che stuzzicare il mostro! Lo provocava.

Nessun gentile sbuffo d’aria arrivò a cacciare via il profumo. Presto, tutto sarebbe andato perso.

No, non c’erano spifferi ad aiutarmi. Eppure non ero costretto a respirare.

Arrestai la circolazione dell’aria nei polmoni; il sollievo fu istantaneo, ma parziale. Conservavo ancora il ricordo del profumo, il pensiero di quel sapore sul palato. Non sarei stato in grado di resistere a lungo. Per un’ora, forse, si. Un’ora. Il tempo sufficiente a uscire da quell’aula piena di potenziali vittime, vittime non predestinate. Se solo fossi riuscito a resistere per una sola, breve, ora.

Trattenere il respiro mi dava una sensazione sgradevole. Il mio corpo non aveva bisogno di ossigeno, ma il movimento per me era istintivo. Nei momenti di pressione, mi fidavo dell’olfatto più che di ogni altro senso. Mi guidava durante la caccia, era il primo segnalatore di pericolo. Raramente mi capitava di incontrare qualcosa che fosse pericoloso quanto me, ma l’istinto di sopravvivenza era forte, nella mia razza, quanto quello di un normale essere umano.

Fastidioso, ma sopportabile. Più di quanto non fosse sentire il suo odore senza affondare i denti in quella carne delicata, trasparente, fino al pulsare caldo, umido… Un’ora! Soltanto un’ora. Non dovevo pensare né al profumo né al gusto.

La ragazza, silenziosa, si nascondeva dietro i capelli, china in avanti, per coprire anche la sua cartelletta. Non riuscivo a guardarla in faccia, né a leggere le emozioni nei suoi occhi luminosi e profondi. Era quella ragione per cui aveva lasciato che la ciocca ci dividesse? Per nascondermi i suoi occhi? Per paura? Timidezza? Per celarmi i suoi segreti?

L’irritazione che avevo provato in precedenza, quando non ero riuscito a penetrare i suoi pensieri silenziosi, impallidiva, di fronte all’istinto – e alla sensazione di odio – da cui mi sentivo posseduto. Perché odiavo la fragile donna-bambina che mi stava seduta a fianco, la odiavo con tutto il fervore con cui mi tenevo stretto alla mia vecchia identità, all’amore per la mia famiglia, ai sogni di diventare migliore di quanto non fossi…

Odiarla, odiare la reazione che mi provocava – era un piccolo aiuto. Si, l’irritazione che avevo sentito era debole, ma era pur sempre un aiuto. Mi attaccai a qualsiasi emozione potesse impedirmi di fantasticare quanto fosse buona…

Odio e irritazione. Impazienza. Sarebbe mai trascorsa, la fatidica ora?

Passata quella… lei se ne sarebbe andata. E io, cos’avrei fatto?

Mi sarei presentato. Ciao, mi chiamo Edward Cullen. Posso accompagnarti alla tua prossima lezione?

Lei avrebbe risposto di sì. La reazione più educata. Benché già terrorizzata da me, come sospettavo che fosse, avrebbe rispettato le convenzioni e camminato al mio fianco. Guidarla nella direzione sbagliata sarebbe stato un giochetto. Avrei potuto dirle che avevo dimenticato un libro in macchina…

Qualcuno avrebbe ricordato di averla vista assieme a me? Pioveva, come al solito; due giacche a vento scure che procedono nella direzione sbagliata non avrebbero acceso particolare curiosità, né mi avrebbero incastrato.

Peccato che quel giorno non fossi l’unico alunno ad essersi accorto di lei – benché nessuno bruciasse della mia stessa consapevolezza. Mike Newton, in particolare, seguiva ogni suo piccolo spostamento irrequieto sulla sedia – si sentiva a disagio, così vicina a me, come chiunque nei suoi panni, come avevo previsto, prima che il suo profumo facesse a pezzi ogni mia velleità di gentilezza. Se fossimo usciti dalla classe insieme, Mike Newton se ne sarebbe accorto.

Per un’ora ce l’avrei fatta, ma per due?

Trasalii, arso dalle fiamme.

Sarebbe tornata a casa, sola. L’ispettore Swan lavorava tutto il giorno. Conoscevo la sua casa, come tutte le abitazione della cittadina. Era annidata ai margini di una foresta fitta, senza vicini nei paraggi. Avesse avuto il tempo di urlare, ipotesi ridicola, nessuno l’avrebbe sentita.

Quella sarebbe stata la maniera più responsabile di gestire il piano. Avevo rinunciato al sangue umano per sette decenni. Trattenendo il respiro avrei resistito per altre due ore. E quando fossi riuscito ad affrontarla da sola, nessun altro avrebbe rischiato di farsi del male. E niente mi avrebbe messo inutilmente fretta, disse il mostro nella mia testa.

Con un po’ di sforzi e pazienza avrei potuto risparmiare la vita a diciannove esseri umani, ma pensare che tale rinuncia mi avrebbe reso meno mostruoso era un sofismo, di fronte all’assassinio di una ragazza innocente.

Malgrado la odiassi, sapevo che era odio maldisposto. La vera vittima del mio odio ero io stesso. E ci avrei odiati entrambi molto di più, dopo la sua morte.

Trascorsi l’ora in quel modo – visualizzando il modo migliore di ucciderla. Cercai di non immaginare il gesto vero e proprio. Sarebbe stato troppo; rischiavo di perdere la battaglia e di uccidere chiunque mi capitasse a tiro. Perciò mi limitai alla strategia, e niente più. Mi aiutò a far passare il tempo.

Quando mancava una manciata di minuti alla fine dell’ora, mi lanciò un’occhiata da dietro il muro fluido dei suoi capelli. Trascorsi l’ora in quel modo – visualizzando il modo migliore di ucciderla. Cercai di non immaginare il gesto vero e proprio. Sarebbe stato troppo; rischiavo di perdere la battaglia e di uccidere chiunque mi capitasse a tiro. Perciò mi limitai alla strategia, e niente più. MI aiutò a far passare il tempo.

Quando mancava una manciata di minuti alla fine dell’ora, mi lanciò un’occhiata da dietro il muro fluido dei suoi capelli. Incontrai di nuovo il suo sguardo, ed ecco riesplodere l’odio cieco – lo vedevo riflesso nei suoi occhi spaventati. Prima che potesse tornare a nascondersi, le sue guance si tinsero ancora di sangue, e io fui sul punto di cedere.

Ma la campana suonò. Salvato in corner, come si dice. Fu la salvezza di entrambi. Lei sfuggì alla morte. Io, ancora per poco, dalla prospettiva di diventare la creatura d’incubo che temevo e disprezzavo.

Sfrecciai fuori dalla classe, incapace di camminare con la lentezza desiderata. Se qualcuno avesse badato a me, avrebbe sospettato che nel mio modo di muovermi ci fosse qualcosa di strambo. Invece nessuno mi notò. I pensieri umani giravano ancora tutti attorno alla ragazza che avevo condannato a morire di lì a un’ora.

Mi nascosi sulla mia auto.

Non mi piaceva essere costretto a nascondermi. Era un gesto da codardi. Ma era senza dubbio la scelta migliore.

Mi era rimasta troppo poca disciplina per confondermi con gli umani. Sforzarmi con tutta quell’energia di non uccidere una di loro mi aveva privato delle difese per resistere agli altri. Sarebbe stato uno spreco. Se era il momento di cedere al mostro, che almeno ne valesse la pena.

Ascoltai un cd di musica che di solito mi calmava, ma servì a poco. No, ciò che più mi aiutava era l’aria fresca, umida, pulita che la pioggia leggera che entrava dai finestrini aperti portava con sé. Benché ricordassi il profumo di Bella Swan con precisione assoluta, respirare aria pulita era come disinfettare il mio corpo dall’interno.

Ero di nuovo sano. In grado di pensare. E di combattere. Contro ciò che non volevo essere.

Non ero costretto a seguirla fino a casa. Né a ucciderla. Ovviamente, ero una creatura pensante, razionale, e potevo fare una scelta. C’era sempre una scelta.

In classe non mi ero sentito così... ma ormai ero lontano da lei. Forse, se avessi badato con molta, molta attenzione a starle lontano, non avrei avuto bisogno di cambiare vita. Mi andava benissimo, così com’era organizzata. Perché lasciare che una signorina nessuno, irritante e deliziosa, mi mandasse a monte?

Non ero costretto a dare un dispiacere a mio padre. Né a far subire a mia madre tensione, preoccupazioni… dolore. Si, anche la mia madre adottiva ne sarebbe rimasta ferita. Per di più, Esme era una persona così gentile, tenera e delicata. Infliggere del dolore a una come lei sarebbe stato davvero un gesto privo di giustificazioni.

Per ironia della sorte, avevo desiderato proteggere quella ragazza umana dalla minaccia meschina, vuota, dei pensieri maliziosi di Jessica Stanley. Ero l’ultima persona al mondo che avrebbe potuto proteggere Isabella Swan. Di tutte le minacce che incombevano su di lei, la più pericolosa ero io.

All’improvviso sentii il bisogno di Alice. Non mi aveva visto uccidere la figlia di Swan in una moltitudine di maniere diverse? Era talmente assorta dai problemi di Jasper da non avere notato questa possibilità ancora più tremenda? Ero più forte di quanto pensassi? Sarei davvero riuscito a non torcere un capello alla ragazza?

No. Sapevo che non era così. Alice, probabilmente, stava dedicando tutta sé stessa a Jasper.

La cercai nella direzione in cui sapevo di poterla trovare, nella palazzina delle aule di inglese. Non mi ci volle molto per individuare la sua “voce” familiare. Non mi sbagliavo. Tutti i suoi pensieri riguardavano Jasper, filtravano ogni minima scelta del ragazzo con grande scrupolo.

Desiderai di poterle chiedere aiuto, ma allo stesso tempo fui felice che non sapesse cos’avrei potuto combinare. Che fosse ignara del massacro che avevo preso in considerazione un’ora prima.

Sentii una fiamma nuova scottare nel mio corpo – quella della vergogna. Nessuno di loro doveva sapere niente.

Se avessi evitato Bella Swan, se fossi riuscito a non ucciderla – a questo pensiero il mostro ebbe un fremito e digrignò i denti, esasperato – avrei potuto tenermi tutto per me. Se fossi riuscito a tenermi lontano dal suo profumo…

Non avevo motivo di non provarci, almeno. Fare la scelta giusta. Cercare di essere ciò che Carlisle pensava io fossi.

L'ultima ora di scuola stava per finire. Decisi di mettere subito in pratica il mio nuovo piano. Sempre meglio che restare seduto in auto nel parcheggio, dato che lei avrebbe potuto passarmi sotto il naso e rovinare il tentativo. Sentii di nuovo l'odio ingiustificato per la ragazza. Odiavo il fatto che esercitasse quel potere inconscio su di me. Che potesse trasformarmi in qualcosa per cui provavo disgusto.

Attraversai alla svelta - forse un po' troppo alla svelta, ma non c'erano testimoni - il piccolo campus, diretto alla segreteria. Non c'era motivo che Bella Swan incrociasse il mio cammino. Per me era la peste, e come tale l'avrei evitata.

L'ufficio era vuoto, c'era soltanto la segretaria con cui volevo parlare.

Non si accorse della mia entrata silenziosa.

<signora Cope?>

La donna dai capelli di un rosso innaturale alzò la testa e sgranò gli occhi. I nostri piccoli segni di riconoscimento li prendevano sempre in contropiede, non importa quante volte ci avessere già visti.

<oh>, escalmò, con un certo turbamento. Si aggiustò la camicia. Sciocca, pensò tra sé. Potrebbe ssere tuo figlio. Troppo giovane per pensare di... <ciao, Edward. Posso esserti utile?> Sbatteva le ciglia, dietro gli occhiali spessi.

Mi aveva messo a disagio. Ma sapevo essere affascinante, quando volevo. Senza fatica, perchè coglievo all'istante le reazioni a ogni mio gesto o parola.

Mi sporsi sul banco, e incrociai il suo sguardo, come per cercare qualcosa nel profondo di quegli occhi castani, piccoli e vuoti. I suoi pensieri erano già fuori controllo. Sarebbe stato un gioco da ragazzi.

<avrei un problema di orario>, dissi, con la voce suadente che utilizzavo quando non volevo spaventare gli umani.

Il battito del suo cuore accelerò.

<certo, Edward. Qual è il problema?> Troppo giovane, troppo giovane, ripeteva tra sé. Ovviamente si sbagliava. Ero più vecchio di suo nonno. Certo, stando ai dati sulla mia patente aveva ragione lei.

Mi chiedevo se fosse possibile scambiare le mie ore di biologia con quelle di una disciplina dell'ultimo anno. FIsica, magari?>

<c'è qualcosa che non va con il signor Banner, Edward?>

<no, niente affatto, è soltanto che ho già affrontato questo programma...>

<certo, in quella scuola speciale che hai frequentato in Alaska.> Ci pensò su, corrugando le labbra. Dovrebbero già essere tutti all'università. Ho sentito gli insegnanti lamentarsi. Medie perfette, mai un'incertezza nelle interrogazioni, mai una risposta sbagliata negli scritti - come se avessero trovato il modo di copiare intutte le materie. Il professor Varner si inventa le teorie più fantasiose, pur di non ammettere che uno studente è più in gamba di lui... Probabilmente è la madre che gli fa da insegnate... <a dir la verità, Edwars, per fisica non ci sono più posti. Il professor Banner non vuole più di venticinque studenti per classe...>

<non sarebbe in problema.>

Certo che no. Tu sei un Cullen perfetto. <lo so, Edward. Ma non ci sono abbastanza banchi, in questo momento...>

<posso saltare le lezioni, allora? Potrei sfruttare le ore libere per studiare per conto mio.>

<vuoi saltare biologia?> Restò a bocca aperta. Roba da matti. Che fastidio ti dà seguire una materia che già conosci? Dev'esserci qualcosa che non va con il professor Banner. Forse dovrei parlarne con Bob. <ma così non avrai abbastanza crediti per il dipolma.>

<recupererò l'anno prossimo.>

<forse dovresti parlarne con i tuoi genitori.>

Alle mie spalle si aprì la porta, ma chiunque fosse, non stava pensando a me, perciò ignorai chi era entrato per concentrarmi sulla signora Cope. Mi sporsi ancora di più, e aumentai l'intensità dello sguardo. Avrebbe funzionato meglio se i miei occhi fossero stati dorati, anziché neri. Il nero, giustamente, metteva paura.

<per favore, signora Cope...> Cercai di parlare con il tono più mrbido e suadente di cui ero capace - e ne ero capace, altroché. <non ci sono altre lezioni con cui fare cambio? Senz'altro ci sarà qualche ora disponibile. Biologia alla sesta non è di certo l'unica opzione...>

Le sorrisi, attento a non spaventarla mostrandole troppo i denti, con un'espressione rilassata.

Il cuore le batteva all'impazzata. Troppo giovane, continuava a ripetersi, inquieta. <posso parlarne con Bob... cioé con il prfessor Banner. Posso vedere se...>

Un secondo fu sufficiente a cambiare tutto: l'altmosfera nella stanza, il senso della mia missione, il motivo per cui ero chino di fronte alla donna dai capelli rossi... Ciò che orima aveva avuto unsenso, ora ne possedeva in altro.

In quel secondo, Samantha Wells aprì la porta, e con un gesto frettoloso ripose un firmato nel cestino accanto all'ingresso, per poi andarsene alla svelta, impaziente di fuggire da scuola. In quel secondo la folata improvvisa di vento filtrò dell'entrata e mi colpì in pieno. In quel secondo capii perché non ero stato disturbato dai pensieri della persona giunta in segreteria dopo di me.

Mi voltai, benché non ce ne fosse bisogno, per confermare i miei sospetti. Mi voltai piano, lottando contro i muscoli che si ribellavano.

Ed ecco Bela Swan, in piedi, spalle al muro, accanto alla porta, con un modulo tra le mani. I suoi occhi incontrarono il mio sguardo feroce, disumano, e si spalancarono ancora più del solito.

L'odore del suo sangue riempiva ogni moltecola d'aria nella stanza piccola e calda. La mia gola s'incendiò.

Specchiandomi nei suoi icchi rividi lo sguardo del mostro, una maschera di malvagità.

La mia mano restò sospesa a mezz'aria sopra il bancone. Senza neanche guardarla, avrei potuto schiacciare la testa della signora Sope contro il tavolo, con forza sufficiente a ucciderla. Due vite, anziché venti. Un buon compromesso.

Il mostro aspettava che lo facessi, ansioso e affamato.

Ma restava sempre una scelta - doveva esserci.

Arrestai il movimento dei polmoni, e fissai gli occhi di Carlisle di fronte ai miei. Tornai alla signora Cope e le sentii sorpresa, a causa del mio cambiamento di espressione. Si allontanò da me, senza esprimere la sua paura con parole coerenti.

Grazie all'autocontrollo perfezionato in decenni di abnegazione, parlai con voce piana e suadente. Mi era rimasta abbastanza aria nei polmoni per un'ultima rapida frase.

<non fa niente. Mi rendo conto che è impossibile. Molte grazie lo stesso.>

Mi voltai e sgusciai via dalla stanza, sforzandomi di non badare al calore del sangue della ragazza, mentre passavo a pochi centimetri da lei.

Mi fermai soltanto quando, dopo uno scatto fin troppo svelto, raggiunsi la mia auto. La maggior parte degli umani non era ancora uscita, perciò i testimoni erano pochi. Sentii uno del secondo anno, D.J. Garret, notarmi, ma senza troppa convinzione...

Da dove è uscito Cullen? Sembra spuntato dal nulla... Ci risiamo, io e la mia fantasia. Mamma lo dive sempre...

Mi infilai nella Volvo, sulla quale trovai gli altri che mi aspettavano. Cercai di controllare il respiro, ma l'aria fresca mi faceva tossire, quasi stessi soffocando.

<edward?> chiese Alice, in tono allarmato.

Le risposi con un cenno del capo.

<che diamine ti è successo?> chiese Emmett, distratto, in quel momento, dal rifiuto di Jasper di accettare la rivincita.

Anziché rispondere, innestai la retromarcia. Dovevo uscire dal parcheggio, prima che Bella Swan mi raggiungesse. Il mio demone privato mi tormentava... Terminai la manovra e accelerai. Prima ancora di uscire in strada raggiunsi i settantacinque all'ora. Girato l'angolo, ero quasi a ottanta.

Senza guardarli, capii che Emmett, Rosalie e Jasper si erano voltati verso Alice. Lei si strinse nelle spalle. Non vedeva cosa fosse successo né cosa stesse per accadere.

Scrutò nel mio futuro. Entrambi analizzammo la sua visione, che ci sorprese.

<te ne vai?> sussurrò lei.

Gli sguardi si spostarono su di me.

<me ne vado?> risposi, con un sibilo.

In quel momento, la mia risoluzione vacillò, e Alice vide la direzione più cupa in cui mi sarei getato facendo l'altra scelta.

<ah.>

Bella Swan, morta. I miei occhi accesi, rossi di sangue fresco. La successiva caccia all'uomo. Il periodo di attesa e di cautela, nascosti, prima di ricominciare da capo...

<ah>, ripeté. Il quadro si arricchì di dettagli. Per la prima volta vidi l'interno della casa dell'ispettore Swan, vidi Bella dentro una piccola cucina con degli armadietti gialli, me stesso che spuntavo dall'ombra alle sue spalle... Guidato verso di lei dal suo profumo o...

<basta!> ringhiai, incapace di sopportare altro.

<scusa> sussurrò lei, sgranando gli occhi.

Il mostro esultò.

E la visione nella sua mente cambiò ancora. Un'autostrada deserta, di notte, gli alberi che la costeggiavano, coperti di neve, che scorrevano a quasi trecento all'ora.

<mi mancherai> disse Alice. <anche se torni presto.>

Emmett e Rosalie si scambiarono uno sguardo apprensivo.

Eravamo vicini alla svolta per il lungo sentiero che conduceva a casa nostra.

<lasciaci qui> ordinò Alice. <meglio che parli tu stesso con Carlisle.>

Annuii, e frenai di colpo.

Emmett, Rosalie e Jasper scesero in silenzio; avrebbero chiesto spiegazioni a Alice dopo la mia partenza. Alice mi sfiorò una spalla.

<farai la scelta giusta> mormorò. Non era una visione, ma un ordine. <e' l'unica parente di Charlie Swan. Sarebbe come uccidere anche lui.>

<si> dissi, d'accorda soltanto con la seconda parte del discorso.

Sgusciò fuori dall'auto per raggiungere gli altri, con le sopracciglia contratte per l'ansia. Si confusero nel bosco, li persi di vista prima ancora di girare l'auto.

Tornai indietro a tutta velocità, e intuii che le visioni di Alice passavano dal buio alla luce con la velocità di una straboscopica. Puntavo verso Forks, a centocinquanta all'ora, ma non conoscevo ancora la mia meta. Veloce come un proiettile, andavo a dire addio a mio padre? O a ricongiungermi con il mostro che avevo dentro?

2. Libro Aperto

Mi buttai contro la panchina coperta di neve, lasciando che la secca polvere riprendesse forma attorno il mio peso. La mia pelle si era raffreddata come l'aria attorno me, e i piccoli pezzi di ghiaccio erano vellutati sopra di essa.

Il cielo sopra di me era chiaro, brillante di stelle, luccicante di blu in alcuni posti, gialli in

altri. Le stelle creavano maestosità, turbinando contro l'universo scuro, una vista meravigliosa.

Squisitamente bellissima. O piuttosto solo squisita. Lo sarebbe stata, se fossi stato davvero capace di vederla.

Non stava migliorando. Erano passati sei giorni, sei giorni nascosto nella vuota landa di Denali, ma non ero più vicino alla libertà rispetto al momento in cui avevo catturato il suo odore.

Quando guardavo le stelle in quel prezioso cielo, era come se ci fosse un ostacolo tra i miei occhi e la loro bellezza. L'ostacolo era un viso, un semplice inosservabile volto umano, che non riuscivo a togliere dalla mia mente.

Sentii i pensieri avvicinarsi prima dei passi che li accompagnavano. Il suono del movimento era solo un leggero sussurro contro la polvere.

Non ero sorpreso che Tanya mi avesse seguito. Sapevo che avrebbe rimuginato su questa futura conversazione per i prossimi giorni, rinviandola fino a che non avesse saputo esattamente cosa dire.

Balzò alla vista circa cinque metri e mezzo più in là, saltellando sulla cima di una roccia nera che

affiorava dal terreno e bilanciandosi sulla punta dei piedi nudi.

La pelle di Tanya era argentata alla luce della luna, e i suoi lunghi capelli biondi e ricci brillavano

pallidi, quasi rosa nella loro tinta fragola. I suoi occhi color ambra luccicavano mentre mi spiava,

quasi sotterrati dalla neve, e le sue labbra piene si tesero lentamente in un sorriso.

Squisito. Se fossi stato capace di vederla. Sospirai.

Si accovacciò sulla punta della pietra, le sue dita toccavano la roccia, il suo corpo rannicchiato.

Bomba di cannone, pensò.

Si lanciò in aria, la sua figura divenne scura, intrecciando ombre mentre si spingeva con grazia tra me e le stelle. Si curvò in una palla mentre colpiva la pila di neve sulla panchina sotto di me.

Una tempesta di neve mi soffiò intorno. Le stelle diventarono nere e fui sepolto profondamente sotto piume di cristalli di ghiaccio.

Sospirai di nuovo, ma non mi mossi per dissotterrarmi. Il buio sotto la neve non mi infastidiva o

migliorava la vista. Vedevo ancora lo stesso viso.

"Edward?"

La neve stava fluendo di nuovo mentre Tanya mi dissotterrava. Spazzolò la polvere dal mio volto

immobile, senza incontrare i miei occhi.

"Scusa", mormorò. "Era uno scherzo."

"Lo so. E' stato divertente."

Torse la bocca.

"Irina e Kate hanno detto che avrei dovuto lasciarti solo. Pensano che ti irriti."

"Non proprio," la rassicurai. "Al contrario. Sono io quello sgarbato, sgarbato in modo odioso."

Non tornerai a casa? pensò.

"Non ho..ancora..deciso."

Ma non starai qui. I suoi pensieri erano malinconici ora.

"No. Non sembra che stia... aiutando."

Fece una smorfia. "E' colpa mia?"

"Certo che no," mentii facilmente.

Non essere gentiluomo.

Sorrisi.

Ti metto a disagio, accusò.

"No."

Sollevò un sopracciglio, la sua espressione così scettica che risi. Una breve risata, seguita da

un altro sospiro.

"Va bene," ammisi. "Giusto un po'."

Sospirò anche lei, e si prese le guance tra le mani. I suoi pensieri erano di delusione.

"Sei mille volte più affascinante delle stelle, Tanya. Certo, non ne sei ancora ben consapevole. Non

lasciare che la mia testardaggine indebolisca il tuo affetto." Ridacchiai all'improbabilità.

"Non sono abituata ad essere rifiutata," brontolò, il suo labbro inferiore sporse in un attraente

broncio.

"Certo che no," fui d'accordo, cercando con un po' di successo di bloccare i suoi pensieri mentre metteva al setaccio le memorie di milioni di conquiste. La maggior parte delle volte Tanya preferiva uomini umani, erano molto popolari, con l'aggiunta del vantaggio di essere soffici e caldi. E sempre entusiasti, in definitiva.

"Succube," la presi in giro, sperando che interrompesse le immagini tremolanti della sua testa.

Sorrise, mostrando i denti. "Originale."

A differenza di Carlisle, Tanya e le sue sorelle aveva scoperto la loro coscienza lentamente. Alla fine, era l'affettuosità per gli uomini umani che aveva fermato le sorelle dal massacro. Adesso gli uomini che loro amavano...vivevano.

"Quando ti sei fatto vivo," disse Tanya lentamente. "Ho pensato che.."

Sapevo cosa aveva pensato. E avrei dovuto indovinare che si sarebbe sentita in quel modo. Ma in quel momento non ero al meglio di me per pensare analiticamente.

"Pensavi avessi cambiato idea."

"Si." Si accigliò.

"Mi sento orribile per giocare con le tue aspettative, Tanya. Non volevo, non ci stavo pensando. E' solo che.. sono partito piuttosto di fretta."

"Suppongo non mi possa spiegare il perché...?"

Mi sedetti e circondai le gambe con le braccia, curvandomi in difesa. "Non voglio parlarne."

Tanya, Irina e Kate erano davvero brave nella vita che avevano scelto. Meglio, per alcuni versi, di

Carlisle. Nonostante l'insana vicinanza che permettevano tra loro e quelle che avrebbero dovuto essere, una volta, le loro prede, non facevano errori. Mi vergognavo troppo per ammettere a Tanya la mia debolezza.

"Problemi di donne?" indovinò, ignorando la mia riluttanza.

Risi desolato. "Non nel modo in cui intendi."

Era in silenzio adesso. Ascoltai i suoi pensieri mentre correva attraverso diverse risposte, cercando di decifrare il significato delle mie parole.

"Non ci sei vicina," le dissi.

"Un indizio?" chiese.

"Per favore lascia stare, Tanya."

Rimase di nuovo in silenzio, ancora speculando. La ignorai, cercando invano di apprezzare le stelle.

Rinunciò dopo un momento di silenzio, e i suoi pensieri la spinsero in un'altra direzione.

Dove andrai Edward, se partirai? Ritornerai da Carlisle?

"Non penso," sussurrai.

Dovrei sarei andato? Non riuscivo a pensare ad un singolo posto sull'intero pianeta che avesse qualche interesse per me. Non c'era niente che volevo vedere o fare. Perché, non importava dove andassi, non ero intenzionato ad andare da qualche parte, volevo soltanto scappare via.

Lo odiavo. Da quando ero diventato così codardo?

Tanya mise il suo esile braccio attorno alle mie spalle. M'irrigidii, ma non mi sottrassi dal suo tocco.

Lo aveva fatto come se non ci fosse stato niente di più amichevolmente confortevole.

"Penso che tornerai," disse, nella sua voce una traccia del suo perso accento russo. "Non importa

come.. non importa chi.. ti sta dando la caccia. Lo affronterai. Sei il tipo."

I suoi pensieri erano certi come le sue parole. Cercai di abbracciare la visione del me stesso che

vedevo nella sua mente. Quello che affrontava le cose a testa alta. Era piacevole pensare a me stesso in quel modo. Non avevo mai dubitato del mio coraggio, della mia abilità di affrontare le difficoltà, prima di quell'orribile ora durante biologia giusto un po' di tempo fa.

Le baciai la guancia, ritirandomi velocemente mentre girava il viso verso il mio, le sue labbra già

corrugate. Sorrise con rammarico alla mia velocità.

"Grazie Tanya. Avevo bisogno di sentirmelo dire."

I suoi pensieri tornarono scontrosi. "Prego, credo. Spero che sarai molto più ragionevole su certe cose, Edward."

"Mi dispiace, Tanya. Sai che sei troppo buona per me. Io.. non ho ancora trovato quello che sto

cercando."

"Bene, se partirai prima che possa rivederti...addio, Edward."

"Addio, Tanya." Mentre dicevo quelle parole, riuscii a vedere. Riuscii a vedere me stesso partire.

Essere forte abbastanza da tornare nell'unico posto in cui volevo stare. "Grazie di nuovo."

Era già in piedi in un unico agile movimento, e poi stava già correndo via, attraversando la neve così veloce che i suoi piedi non avevano nemmeno il tempo di toccarla; non lasciava impronte dietro di lei. Non si voltò indietro. La mia reazione l'aveva disturbata più delle volte precedenti, anche nei suoi pensieri.

Non avrebbe voluto rivedermi prima di partire.

La mia bocca si torse dal dispiacere. Non mi piaceva ferire Tanya, sebbene i suoi sentimenti non fossero profondi, a mala pena sinceri, e in qualunque caso, non qualcosa che io avrei potuto ricambiare. Mi faceva sentire meno di un gentiluomo.

Poggiai il mento sopra le mie ginocchia e fissai su verso il cielo di nuovo, benchè fossi

improvvisamente ansioso di ritornare. Sapevo che Alice mi avrebbe visto tornare a casa, dicendolo agli altri. Questo li avrebbe resi felici, Carlisle ed Esme soprattutto. Ma guardai le stelle ancora per un altro momento, cercando di vedere di nuovo il viso. Tra me e le brillanti stelle nel cielo, un paio di sorprendenti occhi color cioccolato mi fissavano di rimando, sembravano chiedermi cosa avrebbe significato per lei questa decisione. Certo, non ero sicuro che fosse la vera informazione di cui quegli occhi erano curiosi. Anche nella mia immaginazione, non potevo sentirle i pensieri. Gli occhi di Bella Swan continuavano nella domanda, e una via sgombra di stelle continuava ad eluderle. Con un pesante sospiro, rinunciai, e mi rimisi in piedi. Se avessi corso, sarei tornato alla macchina di Carlisle in meno di un'ora...

Di fretta per rivedere la mia famiglia, e volendo essere l'Edward che affrontava le cose a testa alta,

corsi attraverso il campo ricoperto di neve e stelle, senza lasciare impronte.

"Andrà bene," respirò Alice. I suoi occhi erano offuscati, e Jasper le poggiava la mano sul gomito,

guidandola mentre camminavamo verso la mensa in stretto gruppo. Rosalie ed Emmett aprivano la strada, Emmett sembrava una ridicola guardia del corpo nel bel mezzo delle ostilità. Rose sembrava circospetta, troppo, ma più irritata che protettiva. "Certo che si," brontolai. Il loro comportamento era ridicolo. Se non fossi stato positivo nel sopportare questo momento, sarei rimasto a casa.

Nell'improvviso cambiamento alla nostra normale quasi giocosa mattinata, l'eccessiva vigilanza sarebbe stata comica se non fosse stata irritante, aveva nevicato la notte, e Emmett e Jasper avevano cercato di avvantaggiarsi dalla mia distrazione, tornando poi a giocare tra di loro.

"Non è ancora qui, ma sta arrivando... non sarà sottovento se ci sediamo al solito posto."

"Certo che staremo al solito posto. Smettila, Alice. Mi stai irritando. Sto assolutamente bene."

Sbatte le ciglia una volta mentre Jasper la aiutava a sedersi, e i suoi occhi si focalizzarono sul mio

viso.

"Hmm," disse, suonando sorpresa. "Penso che tu abbia ragione."

"Certo che si," mormorai.

Odiavo essere al centro delle loro preoccupazioni. Sentii un'immediata simpatia per Jasper,

ricordando tutte le volte che eravamo stati iperprotettivi con lui. Incontrò il mio sguardo brevemente, e sorrise.

Irritante, vero?

Gli feci una smorfia.

Era passata solo una settimana, dalle squallide stanze che sembravano così mortalmente cupe per me?

Era sembrato quasi una dormita, come un coma, essere qui?

Oggi avevo i nervi leggermente tesi, corde di piano, tese a suonare alla più piccola pressione. I mie

sensi erano all'erta; analizzavo ogni suono, ogni vista, ogni movimento dell'aria che toccava la mia

pelle, ogni pensiero. Specialmente i pensieri. Vi era un unico senso che tenevo bloccato, rifiutando di usarlo. L'odore, ovvio. Non respiravo.

Mi aspettavo di sentire di più sui Cullen nei pensieri che stavo setacciando. Avevo aspettato tutto il

giorno, cercando qualsiasi cosa la nuova conoscenza Bella Swan avrebbe potuto confidare, provando a vedere la direzione che avrebbero preso i pettegolezzi. Ma non c'era nulla. Nessuno aveva notato i cinque vampiri nella mensa, come prima che quella nuova ragazza fosse arrivata. Molti umani qui stavano pensando a lei, alle stesse cose della scorsa settimana. Invece di trovarlo noioso, adesso ne ero affascinato.

Non aveva detto nulla di me?

Non c'era stato verso che non avesse notato il mio sguardo nero e omicida. L'avevo vista reagire. Di

sicuro l'avevo scioccamente spaventata. Mi ero convinto che l'avrebbe menzionato a qualcuno, forse

esagerando un po' la storia. Dandogli un tono un poco più minaccioso.

E poi, mi aveva sentito mentre cercavo di cambiare la nostra lezione di biologia. Doveva aver pensato, dopo aver visto la mia espressione, se fosse stata lei la causa. Una normale ragazza avrebbe chiesto in giro, paragonato le sue esperienze con gli altri, cercato un terreno comune che avrebbe spiegato il mio comportamento così non si sarebbe sentita selezionata. Gli umani erano particolarmente disperati a sentirsi umani, ad adattarsi. A mescolarsi con gli altri, come un noioso branco di pecore. Il bisogno era particolarmente forte durante l'adolescenza. Questa ragazza non sarebbe stata un'eccezione alla regola.

Ma nessuno prese nota del fatto che eravamo seduti qui, al nostro solito tavolo. Bella doveva essere

eccezionalmente timida, se non era in confidenza con nessuno. Forse ne aveva parlato con il padre, forse aveva un forte rapporto... benchè sembrasse improbabile, dato il fatto che aveva speso così poco tempo con lui in tutta la sua vita. Sarebbe stata più vicina alla madre. Tuttavia, presto sarei dovuto passare dallo sceriffo Swan qualche volta e ascoltare cosa ne pensava.

"Qualche novità?" chiese Jasper.

"Niente. Non deve... aver detto nulla."

Tutti alzarono un sopracciglio a questa notizia.

"Forse non sei spaventoso come credi," disse Emmett, ridacchiando. "Scommetto che avresti potuto

spaventarla meglio."

Ruotai gli occhi.

"Pensi perché...?" Rimase di nuovo perplesso per la mia rivelazione a proposito dell'unico silenzio della ragazza.

"Ne abbiamo già parlato. Non lo so."

"Sta arrivando," mormorò allora Alice. Sentii il mio corpo irrigidirsi. "Cerca di sembrare umano."

"Umano, hai detto?" chiese Emmett.

Alzò il pugno destro, torcendo le dita per rivelare una palla di neve che aveva salvato nel suo palmo.

Ovvio che non si era sciolta lì. La compresse in un grumoso blocco di ghiaccio.

I suoi occhi erano su Jasper, ma vedevo la direzione dei suoi pensieri. Così fece Alice, ovviamente.

Quando all'improvviso gettò il pezzo di ghiaccio verso di lei, la colpì via casualmente con un frullo di dita. Il ghiaccio rimbalzò lungo tutto la mensa, troppo veloce per essere visibile agli occhi umani, e andò in frantumi con un acuto crack contro il muro di mattoni. Anche i mattoni fecero crack.

Tutte teste di quell'angolo si girarono a guardare la pila di ghiaccio rotto sul pavimento, e poi si

girarono a cercare il colpevole. Non guardarono più in la di qualche tavolo. Nessuno guardò verso di noi.

"Molto umano, Emmett," disse Rosalie in modo aspro. "Perché non ti lanci contro il muro dato che ci sei?"

"Sarebbe molto più impressionante se lo facessi tu, piccola."

Cercai di prestare attenzione a loro, mantenendo un sorriso fisso sul mio viso come se fossi parte del loro gioco. Non dovevo permettere a me stesso di guardare oltre la linea dove sapevo che lei stava.

Ma quello fu tutto ciò che ascoltai.

Potevo sentire l'impazienza di Jessica verso la nuova ragazza, che sembrava anche essere distratta,

immobile nella fila. Vidi, nei pensieri di Jessica, che le guance di Bella Swan erano ancora di nuovo

colorate di un brillante rosa sangue.

Mi spinsi in brevi, secchi respiri, pronto a smettere di respirare se una qualsiasi traccia del suo odore avesse toccato l'aria vicino me.

Mike Newton era con le due ragazze. Sentii entrambe le sue voci, mentali e verbali, quando chiese a

Jessica cosa avesse la ragazza Swan. Non mi piaceva il modo in cui i suoi pensieri ruotavano attorno a lei, il fremito di fantasie già stabilite che gli annebbiavano la mente mentre la guardava partire e distogliersi dalle sue fantasticherie come se si fosse dimenticata di essere lì.

"Niente," sentii Bella dire in una calma, chiara voce. Sembrava un suono di campane sopra il

chiacchiericcio della mensa, ma sapevo che era solo perché la stavo ascoltando così intensamente.

"Oggi prendo soltanto una soda," continuò mentre si muoveva con la fila. Non riuscii a trattenere dal dare un'occhiata nella sua direzione. Stava fissando il pavimento, il sangue che lentamente svaniva dal suo viso. Guardai altrove velocemente, ad Emmett, che rideva del mio sorriso addolorato adesso.

Sembri malato, fratello.

Riadattai i miei lineamenti così che l'espressione sarebbe sembrata casuale e sciolta.

Jessica stava pensando alla mancanza d'appetito della ragazza. "Non hai fame?"

"A dir la verità, non mi sento tanto bene." La sua voce era bassa, ma ancora molto chiara.

Perché mi disturbava, la preoccupazione protettiva che improvvisamente emanavano i pensieri di Mike Newton? Che importava che ci fosse un filo di possessività in essi? Non erano affari miei se Mike Newton si sentiva inutilmente ansioso per lei. Forse era il modo in cui tutti le rispondevano. Non avevo voluto anch'io, istintivamente, proteggerla? Prima che volessi ucciderla, certo...

Ma la ragazza era malata?

Era difficile da giudicare, sembrava così delicata con la sua pelle traslucida. Poi mi resi conto che

anch'io mi stavo preoccupando, proprio come quello stolto ragazzo, e mi sforzai di non pensare alla sua salute.

Nonostante tutto, non mi piaceva controllarla attraverso i pensieri di Mike. Mi spostai su Jessica,

guardando attentamente a che tavolo i tre si sarebbero seduti. Fortunatamente, si sedettero con la

solita compagnia di Jessica, ad uno dei primi tavoli della stanza. Non sottovento, proprio come aveva promesso Alice.

Alice mi tirò una gomitata. Guarderà presto, comportati da umano.

Strinsi i denti dietro il mio sorriso.

"Rilassati Edward," disse Emmett. "Onestamente. Così ucciderai solo un'umana. Non è mica la fine del mondo."

"Sapessi," mormorai.

Emmett rise. "Imparerai a passarci sopra. Come me. L'eternità è molto lunga per rotolarsi nella colpa."

Proprio allora, Alice lanciò una piccola manciata di ghiaccio che aveva nascosto dal fiducioso volto di Emmett.

Lui ammiccò, sorpreso, e poi sorrise in anticipo.

"Lo hai voluto tu," disse mentre si abbassava verso il tavolo e scuoteva i suoi capelli pieni di neve

nella sua direzione. La neve, sciogliendosi nella calda stanza, fluì dai suoi capelli in una densa

pioggia mezza liquida, mezza ghiacciata.

"Ehi!" si lamentò Rose, mentre lei e Alice indietreggiavano dal diluvio.

Alice rise, e noi ci unimmo. Potevo vedere nella mente di Alice come avesse orchestrato questo perfetto momento, e seppi che la ragazza, avrei dovuto smetterla di chiamarla in quel modo, come se fosse l'unica ragazza al mondo, seppi che Bella ci avrebbe visto ridere e giocare, felici e umani come un irrealistico quadro di Norman Rockwell.

Alice continuò a ridere, e alzò il suo vassoio come scudo. La ragazza, Bella ci stava ancora fissando.

...guardando ancora ai Cullen, il pensiero di qualcuno catturò la mia attenzione.

Mi voltai automaticamente verso involontaria chiamata, realizzando, mentre i miei occhi trovavano la loro destinazione, che avevo riconosciuto la voce, l'avevo ascoltata molto oggi.

Ma i miei occhi passarono su Jessica, e si concentrarono sul penetrante sguardo della ragazza.

Cosa stava pensando? La frustrazione sembrava diventare molto più acuta con il passare del tempo,

piuttosto che offuscarsi. Cercai, incerto in quello che stavo facendo per non averlo mai provato, di

sondare con la mia mente attorno al suo silenzio. Il mio extra udito era sempre venuto con naturalezza, senza chiedere; non avevo mai provato a lavorarci. Ma adesso mi concentrai, cercando di rompere qualsiasi scudo la circondasse.

Niente tranne silenzio.

Ma cos'ha? Il pensiero di Jessica era l'eco della sua frustrazione.

"Edward Cullen ti sta fissando," sussurrò all'orecchio della Swan, aggiungendo una risatina. Non c'era traccia dell'irritante gelosia nel suo tono. Jessica sembrava qualificata alle false amicizie.

Ascoltai, troppo assorbito, la risposta della ragazza.

"Non sembra arrabbiato, vero? sussurrò di rimando.

Così aveva notato la mia selvaggia reazione della scorsa settimana. Certo che si.

La domanda confuse Jessica. Vidi il mio volto nei suoi pensieri mentre controllava la mia espressione, ma non incontrai il suo sguardo. Ero ancora concentrato sulla ragazza, cercando di sentire qualcosa. La mia intensa concentrazione non sembrava aiutare.

"No," le disse Jessica, e seppi che sperava dire di si, il mio sguardo fisso bruciava dentro di lei, benché non ce ne fosse traccia nella sua voce. "Dovrebbe esserlo?"

"Penso di non piacergli," la ragazza sussurrò, abbassando la testa sul suo braccio come se fosse

improvvisamente stanca. Cercai di capire il motivo, ma potevo solo indovinare. Forse era stanca.

"Ai Cullen non piace nessuno," la rassicurò Jessica. "Beh, non fanno proprio granché caso agli altri per considerarli."

Di solito. I suoi pensieri erano un borbottio di lamenti. "Ma lui continua a fissarti."

"Smettila di guardarlo," la ragazza disse ansiosamente, alzando la testa dal suo braccio per assicurarsi che Jessica avesse obbedito.

Jessica ridacchiò, ma fece come le era stato chiesto.

La ragazza non guardò lontano dal suo tavolo per il resto dell'ora. Pensai, benché non ne fossi sicuro, che fosse calcolato. Sembrava come volesse guardarmi. Il suo corpo era girato verso la mia direzione, il suo mento avrebbe voluto voltarsi, e poi si fermò, prese un respiro profondo, e fissò intensamente chi stava parlando.

Ignorai gli altri pensieri attorno alla ragazza, come se non fossero, momentaneamente, su di lei. Mike Newton stava pianificando una battaglia di neve nel parcheggio dopo la scuola, non sembrava essersi accorto che la neve si era già sciolta sotto la pioggia. Il volteggio dei soffici fiocchi contro il

tetto divenne un più comune disegno di gocce di pioggia. Poteva davvero non sentire il cambiamento? A me sembrava chiaro.

Quando la pausa pranzo finì, rimasi al mio posto. Gli umani uscirono in fila, e io mi sorpresi a cercare di distinguere il suono dei suoi passi dal resto degli altri, come se non ci fosse niente di più

importante o insolito. Che stupido.

Anche la mia famiglia si alzò per andare. Aspettavano per vedere cosa avrei fatto.

Sarei andato a lezione, seduto vicino la ragazza dove avrei potuto sentire l'assurdo potere dell'odore

del suo sangue e sentire il calore del suo battito nell'aria sulla mia pelle? Ero forte abbastanza? O ne

avevo avuto abbastanza per un giorno?

"Io... penso andrà bene," Alice disse, esitante. "La tua mente è a posto. Penso che sopporterai l'ora."

Ma Alice sapeva bene quanto velocemente una mente può cambiare scelta.

"Perché spingerti, Edward?" chiese Jasper. Sebbene non volesse sentirsi compiaciuto in quanto adesso ero l'unico ad essere debole, potevo sentirlo che lo era, giusto un po'. "Vai a casa. Vacci piano."

"Qual'è il problema?" Emmett era in disaccordo. "Anche se la uccide o non la uccide. Dovrebbe farla finita, ad ogni modo."

"Non voglio trasferirmi di nuovo," si lamentò Rosalie. "Non voglio ricominciare d'accapo. Siamo quasi a fine anno Emmett. Finalmente."

Ero un po' lacerato sulla decisione. Volevo, lo volevo fortemente, affrontare a testa alta piuttosto che

correre via di nuovo. Ma non volevo spingermi troppo oltre, comunque. Avevo fatto un errore secondo Jasper la scorsa settimana ad essere andato tanto avanti senza cacciare; questo era solo inutile errore?

Non volevo sradicare la mia famiglia. Nessuno di loro mi avrebbe ringraziato.

Ma volevo andare alla mia lezione di biologia. Mi resi conto che volevo vedere di nuovo il suo viso.

Fu quello a decidere per me. Quella curiosità. Ero arrabbiato con me stesso per sentirla. Non mi ero

promesso che non avrei lasciato che il silenzio della ragazza mi coinvolgesse indebitamente? E

ancora, eccomi qui, interessato.

Volevo sapere cosa stava pensando. La sua mente era chiusa, ma i suoi occhi erano aperti. Forse avrei potuto leggere quelli.

"No, Rose, penso che andrà bene," disse Alice. "E' deciso. Sono al novantatré per cento sicura che non succederà niente di brutto se va a lezione." Mi guardò intensamente, pensando a cosa avesse cambiato i miei pensieri per farle avere una visione più sicura del futuro.

La curiosità avrebbe tenuto Bella Swan viva?

Emmett aveva ragione, dopotutto, perché non farla finita, una volta per tutte? Avrei affrontato la

tentazione a testa alta.

"Andate a lezione," ordinai, spingendomi via dal tavolo. Mi girai e mi feci strada tra di loro senza

guardarmi indietro. Potevo sentire la preoccupazione di Alice, la critica di Jasper, l'approvazione di

Emmett, e l'irritazione di Rosalie seguirmi.

Presi un respiro profondo davanti la porta dell'aula, e poi lo trattenni nei miei polmoni mentre

camminavo nella piccola, calda stanza.

Non ero in ritardo. Mr. Banner era ancora alzato per l'esperimento di oggi. La ragazza sedeva al mio, al nostro tavolo, il suo viso ancora abbassato, fissando la cartella su cui stava scarabocchiando.

Esaminai la bozza mentre mi avvicinavo, interessato a qualsiasi comune creazione della sua mente, anche se senza senso. Solo scarabocchi a caso di anelli dentro anelli. Forse non si stava concentrando sul disegno, ma pensando ad altro?

Tirai la mia sedia con un'inutile violenza, lasciandola strisciare sul linoleum, gli umani si sentono

molto più a loro agio quando la vicinanza di qualcuno è annunciata dal rumore.

Sapevo che aveva sentito il suono; non alzò lo sguardo, ma la sua mano perse un anello nel disegno che stava facendo, sbilanciandola.

Perché non guardava su? Probabilmente era spaventata. Dovevo essere sicuro di lasciarle un'impressione differente questa volta. Farle pensare che si era immaginata le cose di prima.

"Ciao," dissi con la voce calma che usavo quando volevo far sentire gli umani ancora più a loro agio, formando uno sguardo educato con le mie labbra senza lasciare scoperti i denti.

Allora alzò lo sguardo, i suoi occhi marroni e spalancati sobbalzarono, quasi increduli, e pieni di

silenziose domande. Era la stessa espressione che aveva ostacolato la mia vista la scorsa settimana.

Mentre guardavo in quegli occhi marroni stranamente profondi, capii che l'odio, l'odio che avevo

immaginato questa ragazza meritasse semplicemente per esistere, era evaporato. Senza respirare adesso, senza provare il suo odore, era difficile credere che qualcuno così vulnerabile potesse giustificare tanto odio.

Le sue guance iniziarono ad arrossire, e non disse nulla.

Tenevo i miei occhi su di lei, concentrandomi sulle loro profonde domande, e cercando di ignorare

l'appetitoso colore della sua pelle. Avevo abbastanza fiato per parlare per un bel po' senza inspirare.

"Il mio nome è Edward Cullen," dissi, benché sapessi che lei lo conosceva. Era un modo cortese di

iniziare. "Non ho avuto la possibilità di presentarmi la scorsa settimana. Tu devi essere Bella Swan."

Sembrava confusa, c'era di nuovo una piccola ruga tra i suoi occhi. Ci mise mezzo secondo di più di

quanto le ci sarebbe voluto per rispondere.

"Co... come fai a conoscere il mio nome?" chiese, e la sua voce tremò un poco.

Dovevo averla proprio terrorizzata. Questo mi fece sentire colpevole; era solo indifesa. Risi

gentilmente, era il suono che sapevo rendeva più calmi gli umani. Di nuovo, ero attento ai miei denti.

"Oh, penso che tutti sappiano come ti chiami." Di sicuro doveva aver capito che era diventata il centro dell'attenzione in questo posto monotono. "La città intera ti stava aspettando."

Si accigliò come se questa informazione fosse spiacevole. Supposi che essendo timida come era,

l'attenzione sarebbe stata una brutta cosa. Molti umani si sentono al contrario. Comunque non

vogliano stare fuori dal branco, e allo stesso tempo desiderano ardentemente una luce di ribalta per la loro uniformità individuale.

"No" disse. "Intendevo, come mai mi hai chiamato Bella?"

"Preferisci che ti chiami Isabella?" chiesi, perplesso dal fatto che non potevo vedere dove volesse condurre la domanda. Non capivo. Di sicuro, aveva messo in chiaro le sue preferenze molte volte quel primo giorno.

Tutti gli umani erano così incomprensibili senza una situazione mentale come guida?

"No, Bella mi piace," rispose, abbassando leggermente la testa da un lato. La sua espressione, se la

stavo leggendo correttamente, era lacerata tra l'imbarazzo e la confusione. "Ma Charlie,

voglio dire mio padre, quando parla di me credo mi chiami Isabella: quanto pare qui tutti mi conoscono con quel nome." La sua pelle si scurì di un'ombra di rosa.

"Ah," dissi debolmente, e guardai veloce lontano dal suo viso.

Avevo appena realizzato cosa significava la sua domanda: ero scivolato, avevo fatto un errore. Se non avessi origliato gli altri il primo giorno, allora mi sarei inizialmente indirizzato a lei con il suo

nome intero, proprio come ogni altro. Aveva notato la differenza.

Sentii una fitta di inquietudine. Era molto veloce per lei captare i miei errori. Molto astuta, soprattutto per qualcuno che si supponeva doveva essere terrorizzata dalla mia vicinanza.

Ma avevo problemi più grandi che sospettare su cosa poteva bloccare su di me nella sua mente a proposito.

Ero senza aria. Se avessi parlato con lei di nuovo, avrei dovuto inspirare.

Sarebbe stato difficile evitare di parlare. Sfortunatamente per lei, dividere questo tavolo la rendeva

la mia compagna di laboratorio, e avremmo dovuto lavorare insieme oggi. Sarebbe sembrato strano, e incomprensibilmente scortese, per me ignorarla mentre lo facevamo. L'avrebbe resa più sospettosa, più spaventata...

Mi spostai tanto più lontano da lei quanto potevo permettermi di muovermi al mio posto, girando la mia testa fuori l'aula. Mi feci coraggio, bloccai i miei muscoli, e allora inalai un veloce respiro

pieno d'aria, respirando soltanto attraverso la bocca.

Ahh!

Era sinceramente doloroso. Anche senza odorarla, potevo gustarla con la mia lingua. La mia gola fu di nuovo improvvisamente in fiamme, il desiderio forte come la prima volta che avevo catturato il suo odore la scorsa settimana.

Strinsi i denti e cercai di ricompormi.

"Iniziamo," ordinò Mr. Banner.

Sembrava come se ogni singola oncia di controllo che avevo raccolto in settanta anni di duro lavoro

stavano ritornando alla ragazza, che fissava al tavolo e sorrideva.

"Prima le donne, collega?" offrii.

Alzò lo sguardo alla mia espressione e il suo viso era di nuovo bianco, i suoi occhi spalancati. C'era

qualcosa di male nella mia espressione? Era di nuovo spaventata? Non parlò.

"Oh, se vuoi comincio io," dissi con calma.

"No," disse, e il suo viso ritornò da bianco a rosso di nuovo. "Faccio io."

Fissai ai dispositivi sul tavolo, il microscopio da batteri, la scatola di vetrini, piuttosto che

guardare il sangue circolare sotto la sua pelle chiara. Presi un altro breve respiro, attraverso i miei

denti, e sobbalzai al sapore che mi feriva la gola.

"Profase," disse dopo un breve esame. Iniziò a rimuovere il vetrino, benché l'avesse scarsamente

esaminato.

"Ti dispiace?" istintivamente, stupidamente, come se fossi uno della sua specie, mi allungai per

fermarle la mano dal rimuovere il vetrino. Per un secondo, il calore della sua pelle bruciò contro la

mia. Era come un impulso elettrico, di sicuro molto più caldo di un semplice novantotto punto sei gradi. Il calore fluì nella mia mano fino al mio braccio. Lei ritirò la sua mano fuori dalla mia.

"Scusami," mormorai attraverso i denti stretti. Con il bisogno di guardare da qualche parte, afferrai il microscopio e guardai brevemente dentro la lente. Aveva ragione.

"Profase," concordai.

Ero ancora troppo scosso per guardarla. Respirando tanto calmo quanto potevo tra i miei denti stretti e cercando di ignorare la sete, mi concentrai sul compito semplice, scrivendo le parole nell'appropriata linea del foglio di laboratorio, e poi cambiando il primo vetrino con quello successivo.

Cosa stava pensando ora? Come si era sentita, quando avevo toccato la sua mano? La mia pelle doveva essere fredda come il ghiaccio, repellente. Nessuna meraviglia che fosse così silenziosa.

Guardai al vetrino.

"Anafase," dissi a me stesso mentre lo scrivevo sulla seconda linea.

"Posso?" chiese.

La guardai, sorpreso che stesse aspettando ansiosamente, una mano quasi allungata verso il microscopio.

Non sembrava spaventata. Pensava davvero che avrei potuto sbagliare?

Non riuscii a trattenere un sorriso alla speranzosa espressione sul suo viso mentre guardava nel

microscopio. Guardò nella lente con un entusiasmo che svanì subito. Gli angoli della sua bocca si piegarono all'ingiù.

"Vetrino tre?" chiese, senza alzare lo sguardo dal microscopio, ma tendendo la mano. Depositai il

prossimo vetrino sulla sua mano, senza lasciare che la mia pelle si avvicinasse alla sua questa volta.

Sedere accanto a lei era come sedere vicino una lampada di calore. Potevo sentire me stesso riscaldarsi leggermente all'alta temperatura.

Non guardò a lungo nel vetrino. "Interfase," disse con noncuranza, forse cercando di suonare in quel

modo, e spinse il microscopio verso di me. Non toccò il foglio, ma aspettò che fossi io a scrivere la

risposta. Controllai, aveva di nuovo ragione.

Finimmo così, pronunciando una parola per volta e senza incontrare i nostri occhi. Eravamo gli unici ad aver finito, gli altri nell'aula stavano avendo problemi con l'esperienza. Mike Newton sembrava avere un'ansiosa concentrazione, stava cercando di non guardare Bella e me.

Speriamo che stia da dove è venuto, pensò Mike, lanciandomi un occhiata infervorata. Hmm, interessante.

Non mi ero reso conto che il ragazzo nutriva qualche malattia verso di me. Era un nuovo sviluppo,

recente quanto l'arrivo della ragazza. Ancora più interessante, scoprii, con mia sorpresa, che il

sentimento era ricambiato.

Guardai verso la ragazza, stupito dall'ampia gamma di distruzione e scompiglio che, nonostante la sua semplice, innocua apparenza, stava portando nella mia vita.

Non è che non riuscissi a vedere cosa stesse accadendo a Mike. In realtà lei era piuttosto carina... in

un insolito modo. Molto più che bellissimo, il suo viso era interessante. Non abbastanza simmetrico, il suo mento stretto squilibrato con le sue guance ampie; estremamente colorate, il contrasto chiaro scuro della sua pelle e dei suoi capelli; e poi c'erano quegli occhi, colmi di silenziosi segreti.

Occhi che improvvisamente stavano perforando i miei.

La fissai di rimando, cercando di indovinare uno di quei segreti.

"Porti le lenti a contatto?" chiese improvvisamente.

Che domanda strana. "No." Quasi sorrisi all'idea di migliorare la mia vista.

"Oh," mormorò. "Mi sembrava di aver notato qualcosa di diverso nei tuoi occhi."

Mi sentii di nuovo improvvisamente più freddo e mi resi conto che oggi non ero l'unico a star tentando di indagare sui segreti.

Alzai le mie spalle rigide, e guardai verso dove l'insegnante stava facendo il giro.

Certo che c'era qualcosa di diverso nei miei occhi dalla prima volta che mi aveva guardato. Per

prepararmi alla dura prova di oggi, alla tentazione di oggi, avevo passato l'intera settimana a

cacciare, saziando la mia sete il più possibile, esagerando. Mi ero nutrito di sangue di animali, non

che questo facesse molta differenza rispetto all'oltraggioso sapore che fluttuava nell'aria attorno a

lei. Quando l'avevo guardata prima, i miei occhi erano neri dalla sete. Ora, il mio corpo nuotava nel

sangue, i miei occhi erano di un più caldo oro. Luminosa ambra per il mio eccessivo tentativo di placare la sete.

Un altro errore. Se avessi visto cosa voleva dire quella domanda, avrei potuto semplicemente risponderle sì.

Ero stato seduto vicino agli umani per due anni in questa scuola, e lei era stata la prima ad esaminarmi così vicino da notare il cambiamento del colore dei miei occhi. Gli altri, mentre ammiravano la bellezza della mia famiglia, tendevano a guardare velocemente in basso quando ci giravamo a guardarli. Si facevano scudo, bloccando i dettagli della nostra apparenza in un istintivo sforzo di trattenersi dal capire. L'ignoranza era la benedizione della mente umana.

Perché doveva essere questa ragazza a vedere troppo?

Mr. Banner di avvicinò al nostro tavolo. Inspirai grato il soffio di aria fresca che portò con lui prima

che potesse mischiarsi al suo profumo.

"Scusa, Edward," disse, guardando le nostre risposte, "perché non hai lasciato usare il microscopio anche a Isabella?"

"Bella," lo corressi di riflesso. "A dire la verità, è stata lei a identificarne tre su cinque."

I pensieri di Mr. Banner erano scettici quando si voltò a guardare la ragazza. "Hai già fatto prima questo esperimento?"

Guardai, assorbito, mentre lei sorrideva, sembrando leggermente imbarazzata.

"Non con radici di cipolla."

"Embrioni di coregone." indagò Mr. Banner.

"Si."

Questo lo sorprese. L'esperienza di oggi era qualcosa che aveva preso da un corpo avanzato. Annuì

pensierosamente verso la ragazza. "A Phoenix frequentavi le lezioni del programma avanzato?"

"Si."

Era avanti allora, intelligente per un umana. Questo non mi sorprese.

"Bene," disse Mr. Banner, stringendo le labbra. "Penso sia il caso che voi due lavoriate assieme." Si girò e camminò via mormorando, "Così gli altri ragazzi avranno la possibilità di imparare qualcosa per loro stessi," sotto il suo respiro. Dubitai che la ragazza avesse potuto sentirlo. Iniziò di nuovo a

scarabocchiare anelli sulla sua cartella.

Due errori in meno di un'ora. Un infelice situazione dalla mia parte. Non avevo comunque idea di quello che la ragazza pensasse di me, quanto si sentisse spaventata, quando sospettosa?, avevo bisogno di fare uno sforzo migliore per lasciarle una nuova impressione di me. Qualcosa per coprire i ricordi della mia ferocia durante l'ultimo incontro.

"Peccato per neve, eh?" dissi, ripetendo la breve chiacchierata su cui una dozzina di studenti avevano discusso oggi. Un noioso, tipico argomento di conversazione. Il tempo, sempre prudente.

Mi fissò con un evidente dubbio nei suoi occhi, una normale reazione alle mie parole banali. "Non

direi," disse, sorprendendomi di nuovo.

Cercai di guidare la conversazione su sentieri comuni. Lei veniva da un posto più luminoso, più caldo, la sua pelle sembrava rifletterlo, nonostante la sua chiarezza, e il freddo doveva metterla a

disagio. Il mio tocco di ghiaccio sicuramente aveva...

"Il freddo non ti piace," indovinai.

"Neanche l'umido," concordò.

"Per te dev'essere difficile vivere a Forks," Forse non saresti dovuta venire qui, avrei voluto

aggiungere. Forse sarebbe meglio se tornassi da dove sei venuta.

Non ero sicuro di volerlo, comunque. Avrei per sempre ricordato l'odore del suo sangue, cosa garantiva che alla fine non l'avrei seguita? Inoltre, se fosse partita la sua mente sarebbe rimasta per

sempre un mistero. Un costante fastidioso rompicapo.

"Non lo immagini neppure," disse a bassa voce, ardendo per un momento.

La sue risposte non erano mai quello che mi aspettavo. Mi facevano desiderare di fare ancora più

domande.

"Ma allora, perché sei venuta qui?" domandai, realizzando all'istante che il mio tono era stato troppo accusatorio, non abbastanza casuale per la conversazione. La domanda suonava scortese, indiscreta.

"E.. una storia complicata."

Ammiccò con gli occhi aperti, lasciandoli in quel modo, e io da vicino scoppiai internamente dalla

curiosità, curiosità che bruciava tanto quanto la sete nella mia gola. In realtà, scoprii che era

leggermente più facile respirare; l'agonia era diventata molto più sopportabile grazie alla familiarità.

"Penso di poterla capire," insistetti. Forse la comune cortesia l'avrebbe fatta rispondere alle mie

domande invece di chiederlo in modo scortese.

Fissò giù verso le sue mani. Questo mi rese impaziente; volevo mettere la mia mano sotto il suo mento e alzarle la testa così che avrei potuto leggerle lo sguardo. Ma sarebbe stato troppo folle, pericoloso, toccare di nuovo la sua pelle.

Alzò la testa all'improvviso. Era un sollievo poter di nuovo vedere le emozioni dentro i suoi occhi.

Parlò in fretta, incalzando le parole.

"Mia madre si è risposata."

Ah, era umano abbastanza, facile da capire. La tristezza passava attraverso i suoi occhi chiari e la fece corrugare.

"Non sembra così complicato," dissi. La mia voce era gentile senza che mi dovessi sforzare. La sua

tristezza mi faceva sentire stranamente indifeso, speranzoso che ci fosse qualcosa che potessi fare per

farla sentire meglio. Uno strano impulso. "Quando è stato?"

"Settembre." inspirò pesantemente, non un sospiro silenzioso. Trattenni il respiro mentre il suo calore incontrava il mio viso.

"E lui non ti piace," indovinai, indagando su più informazioni.

"No, Phil va bene," disse, correggendo la mia congettura. C'era una traccia di sorriso vicino agli

angoli delle sue labbra piene. "Forse troppo giovane, ma un bel tipo."

Questo non calzava con lo scenario che avevo costruito nella mia mente.

"Perché non sei rimasta con loro?" chiesi, la mio voce un po' troppo avida. Suonava come fossi curioso.

Lo ero, certamente.

"Phil viaggia molto. Gioca a baseball. E' un professionista." Il sorriso diventò molto più pronunciato; la sua carriera la divertiva.

Anch'io sorrisi, senza sceglierlo. Non stavo cercando di farla sentire a sua agio. Il suo sorriso mi

fece voler sorridere in risposta, essere nel segreto.

"Lo conosco?" corsi attraverso le liste di giocatori professionisti di baseball nella mia testa,

pensando a quale Phil potesse essere il suo...

"Probabilmente no. Non è un bravo professionista." Un altro sorriso. "Solo serie minori. Cambia squadra di continuo."

Le liste nella mi testa scomparirono immediatamente, e catalogai la lista delle possibilità in meno di

un secondo. Allo stesso tempo, stavo immaginando un nuovo scenario.

"E tua madre ti ha spedita qui per poterlo seguire," dissi.

Sembrava che riuscissi a tirare informazioni più con le congetture che con le domande. Funzionò di

nuovo. Il suo mento si sporse, e la sua espressione fu improvvisamente testarda.

"No, non è stata lei a spedirmi qui," disse, e la sua voce aveva un nuovo brusco nervosismo. La mia

congettura l'aveva resa infelice, anche se non potevo capire come. "Sono stata io."

Non riuscivo a capire il suo significato, o la causa della sua irritazione. Ero completamente perso.

Così rinunciai. Non c'era nessun senso in quella ragazza. Non era come gli altri umani. Forse il

silenzio dei suoi pensieri e il profumo del suo odore non erano le uniche cose insolite.

"Non capisco," ammisi, odiando cedere.

Sospirò, e mi fissò negli occhi più a lungo di quanto un umano riuscisse a fare.

"All'inizio è rimasta con me, ma lui le mancava," spiegò lentamente, il suo tono diventava più

sconsolato ad ogni parola. "Era infelice... perciò ho deciso di passare un po' di tempo in famiglia con Charlie."

La piccola ruga tra i suoi occhi si approfondì.

"Ma ora sei infelice tu," mormorai. Non riuscivo a smettere di dire le mie ipotesi ad alta voce,

sperando di imparare dalle sua reazioni. Questa volta, comunque, non sembrò contraddirmi.

"E...?" chiese, come se non fosse un aspetto da essere considerato.

Continuai a fissarla negli occhi, avvertendo che avevo finalmente colto il primo vero barlume della sua anima. Vidi in quella parola dove collocava se stessa tra le sue priorità. A differenza di molti umani, i suoi bisogni erano in fondo alla lista.

Era altruista.

Mentre capivo questo, il mistero della persona che si nascondeva dentro questa mente silenziosa iniziò a diventare un po' meno fitto.

"Non mi sembra giusto," dissi. Alzai le spalle, cercando di sembrare indifferente, cercando di

nascondere l'intensità della mia curiosità.

Lei rise, ma non sembrava un suono divertito. "Non te l'hanno ancora detto? La vita non è giusta."

Volevo ridere delle sue parole, nonostante anch'io non mi sentissi molto divertito. Ne sapevo un bel po' a proposito dell'ingiustizia della vita. "Penso di averla già sentita."

Mi fissò, sembrando di nuovo confusa. I suoi occhi sfuggirono via, e poi ritornarono nei miei.

"E questo è tutto," mi disse.

Ma non ero pronto a lasciare che questa conversazione finisse. La piccola V tra i suoi occhi, un residuo del suo dolore, mi disturbava. Volevo appianarla con le mie dita. Ma, ovviamente, non potevo toccarla.

Era rischioso per certi versi.

"Dai buona mostra di te," parlavo lentamente, ancora considerando le prossime ipotesi. "Ma sono pronto a scommettere che soffri molto più di quanto dai a vedere."

Fece una smorfia, i suoi occhi accigliati e la sua bocca girata in un broncio, e guardò di fronte

l'aula. Non le piaceva quando indovinavo. Non era una martire, non voleva mettere in mostra il suo

dolore.

"Mi sbaglio?"

Si tirò leggermente indietro, ma per il resto finse di non avermi sentito.

Mi fece sorridere. "Io credo di no."

"Perché ti dovrebbe interessare?" domandò, distogliendo lo sguardo.

"Questa è una domanda molto sensata," ammisi, molto più a me stesso che per rispondere a lei

Il suo acume era migliore del mio, aveva visto al cuore delle cose mentre io annaspavo attorno ai bordi, cercando ciecamente indizi. I dettagli della sua vita umana non avrebbero dovuto

importarmi. Era sbagliato per me preoccuparmi di cosa pensava. Oltre a proteggere la mia famiglia dal sospetto, i pensieri umani erano insignificanti.

Non ero abituato ad essere il meno intuitivo della coppia. Confidavo nel mio senso extra un po' troppo, non ero chiaramente percettivo come avevo creduto.

La ragazza sospirò e guardò torva di fronte l'aula. Qualcosa a proposito della sua espressione frustrata era divertente. Nessuno era stato più in pericolo a causa mia di questa piccola ragazza, al momento avrei potuto, distratto dal mio ridicolo interesse nella conversazione, inspirare attraverso il naso e attaccarla prima che qualcuno avesse potuto fermarmi, e lei era irritata perché non avevo risposto alla sua domanda.

"Ti do fastidio?" chiesi, sorridendo all'assurdità della cosa.

Mi lanciò un'occhiata veloce, e poi i suoi occhi sembrarono essere intrappolati dal mio sguardo.

"Non esattamente," mi disse. "Sono io stessa a darmi fastidio. Il mio volto è così facile da leggere... mia madre dice sempre che sono un libro aperto."

Si accigliò, stizzita.

La fissai meravigliato. La ragione per cui era infelice era perché pensava che potessi capirla troppo facilmente. Bizzarro. Non mi ero mai sforzato così tanto di capire qualcuno in vita mia, o piuttosto esistenza, vita era a mala pena una parola giusta. Sinceramente non avevo una vita.

"Al contrario," dissi in disaccordo, sentendomi stranamente cauto, come se qui ci fosse qualche pericolo nascosto che avevo fallito a notare. Ero improvvisamente teso, la premonizione mi rendeva ansioso. "Per me tu sei molto difficile da leggere."

"Devi essere un bravo lettore, allora" indovinò, facendo di nuovo un'ipotesi giusta.

"Di solito sì," concordai.

Le sorrisi apertamente allora, lasciando che le mie labbra esponessero le fila luccicanti, di denti aguzzi come rasoi dietro di esse.

Fu una cosa stupida da fare, ma ero improvvisamente, inaspettatamente disperato nel dare alla ragazza una sorta di avvertimento. Il suo corpo era più vicino a me di prima, si era mosso involontariamente nel corso della conversazione. Tutti i piccoli segni e gli indizi che erano sufficienti a spaventare l'intera umanità sembravano non funzionare su di lei. Perché non si era rannicchiata lontana da me nel terrore? Di sicuro aveva visto abbastanza del mio lato oscuro da capire il pericolo, intuitiva come sembrava.

Non vidi se il mio avvertimento aveva avuto effetto. Mr. Banner ci chiamò all'attenzione proprio allora, e lei si girò. Sembrava un po' sollevata per l'interruzione, forse aveva involontariamente capito.

Sperai di si.

Riconobbi che il fascino stava crescendo dentro di me, anche se cercavo di coprirlo. Non potevo permettermi di trovare Bella Swan interessante. O piuttosto, lei non poteva permetterselo. Ero già ansioso per avere un altra possibilità di parlarle. Volevo sapere molto più a proposito di sua madre, della sua vita prima che arrivasse qui, del suo rapporto con il padre. Tutti i dettagli insignificanti che avrebbero riempito il suo carattere. Ma ogni secondo che passavo con lei era un errore, un rischio che non avrebbe dovuto correre.

Senza pensarci, agitò i suoi capelli proprio nel momento in cui concessi a me stesso un altro respiro. Una particolare concentrazione del suo odore mi colpì il fondo della gola.

Era come il primo giorno, come una palla distruttiva. Il dolore della bruciante secchezza mi rendeva confuso. Dovetti afferrare di nuovo il tavolo per mantenermi saldo al mio posto. Questa volta avevo leggermente più controllo. Non ruppi niente, almeno. Il mostro ringhiò dentro di me, ma non prese piacere dal mio dolore. Era legato troppo stretto. Per il momento.

Smise si respirare, e mi allontanai il più possibile dalla ragazza.

No, non potevo permettermi di trovarla affascinante. Più interesse avrei trovato, più probabilmente l'avrebbe uccisa. Avevo già fatto due errori minori oggi. Ma se avessi commesso il terzo, che non era così minore?

Appena sentii la campanella suonare, scappai dalla classe, probabilmente distruggendo qualsiasi impressione di educazione che avevo quasi costruito nel corso dell'ora. Di nuovo, annaspai fuori all'aria pulita e umida come fosse un essenza curativa. Mi sbrigai a mettere più distanza possibile tra me e la ragazza.

Emmett mi aspettava fuori la lezione di Spagnolo. Lesse la mia feroce espressione per un momento.

Come è andata, pensò cauto.

"Nessuno è morto," mormorai.

Penso che sia già qualcosa. Quando ho visto Alice uscire via alla fine, ho pensato...

Mentre camminavamo a lezione, vidi i ricordi di qualche minuto fa, attraverso la porta aperta della sua ultima lezione: Alice camminava mostrando i denti e con il viso bianco attraverso il terreno verso il palazzo di scienze. Sentii ricordare l'urgenza di alzarsi e unirsi a lei, e poi la decisione di restare. Se Alice avesse avuto bisogno del suo aiuto, avrebbe chiesto...

Chiusi i miei occhi in orrore e disgusto mentre crollavo al mio posto. "Non mi ero reso conto che si era avvicinata. Non pensavo che avrei... Non ho visto che era così pericoloso," sussurrai,

Non lo era, mi rassicurò. Nessuno è morto, giusto?

"Giusto." dissi attraverso i miei denti. "Non questa volta."

Forse diventerà più facile.

"Certo."

O, forse la ucciderai. Alzò le spalle. Non saresti il primo a farlo. Nessuno ti giudicherà troppo duramente. Qualche volta una persona ha un odore troppo buono. Sono impressionato che tu abbia resistito così a lungo.

"Non mi stai aiutando, Emmett."

Ero disgustato dall'accettare l'idea che avrei ucciso la ragazza, che questo fosse inevitabile. Era colpa sua se aveva un odore così buono?

Sai quando è capitato a me..., ricordò, portandomi dietro con lui di circa mezzo secolo, in una strada di paese al tramonto, dove una donna di mezz'età stava sistemando le lenzuola umide su un filo tra due alberi di mele. L'odore delle mele era pesante nell'aria, il raccolto era finito e i frutti respinti erano dispersi sul terreno, le ammaccature sulla loro buccia disperdeva la loro fragranza in dense nuvole. Un campo di fieno appena falciato faceva da sfondo alla scena, in armonia. Lui camminava per la strada, del tutto dimentico della donna, a fare una commissione per Rosalie. Il cielo era porpora al di sopra, l'arancio sopra gli alberi occidentali. Avrebbe continuato a girovagare per il sentiero e non ci sarebbe stata ragione di ricordare quella sera, ad eccezzione dell'improvvisa brezza notturna che soffiò le bianche lenzuola come una vela e sventolò l'odore della donna sul viso di Emmett.

"Ah," mi lamentai calmo. Come se la mia sete non fosse abbastanza.

Lo so. Non ho resistito un mezzo secondo. Non ho neanche pensato a resistere.

I suoi ricordi diventarono troppo espliciti per me da sopportare.

Saltai i piedi, i denti tanto bloccati da tagliare l'acciaio.

"Esta bien, Edward?" chiese Senora Goff, trasalendo al mio movimento improvviso. Potevo vedere il mio volto nella sua mente, e seppi che sembravo lontano dallo stare bene.

"Me perdona," mormorai, mentre mi dirigevo verso la porta.

"Emmett, por favor, puedas tu ayuda a tu hermano?" chiese, indicandomi in modo indifeso mentre correvo fuori la porta.

"Certo," lo sentii dire. E poi era proprio dietro di me.

Mi seguì verso la parte più lontana dell'edificio, dove mi afferrò e mise la sua mano sulla mia spalla.

Spostai la sua mano via con inutile forza. Avrebbe mandato in frantumi le ossa di una mano umano e anche quelle attaccate al braccio.

"Scusa, Edward."

"Lo so." Attirai aria con tre ansimi, cercando di pulire la mia testa e i miei polmoni.

"E' così brutto?" chiese, cercando di non pensare all'odore e al sapore del ricordo mentre chiedeva, senza avere successo.

"Peggio, Emmett, peggio."

Fu silenzioso per un momento.

Forse...

"No, non migliorerà se non lo supero. Vai in classe, Emmett. Voglio stare da solo."

Si girò senza una parola o pensiero e camminò via velocemente. Avrebbe detto alla professoressa di Spagnolo che ero malato, o infossato, o un vampiro pericolosamente fuori controllo. Importavano davvero le sue scuse? Forse non sarei tornato. Forse dovevo partire.

Andai di nuovo alla mia macchina, ad aspettare che finisse la scuola. Nascosto. Di nuovo.

Avrei dovuto passare il tempo a prendere decisioni o a cercare di sostenere le mie scelte, ma come un tossico, mi ritrovai a cercare attraverso le chiacchiere dei pensieri che provenivano dall'edificio della scuola. Le voci familiari spiccavano, ma non ero interessato ad ascoltare le visioni di Alice o le lamentele di Rosalie. Trovai Jessica facilmente, ma la ragazza non era con lei, così continuai a cercare. I pensieri di Mike Newton catturarono la mia attenzione, e alla fine la localizzai, in palestra con lui. Era infelice perché oggi avevo parlato con lei durante biologia. Stavo vagliando le sue risposte quando aveva tirato fuori l'argomento...

In realtà non l'ho mai visto parlare con qualcuno con più di una parola. Certamente avrà deciso di trovare Bella interessante. Non mi piace come la guarda. Ma lei non sembra molto emozionata da lui. Cosa ha detto? 'Chissà cosa gli era preso lunedì scorso.' Qualcosa del genere. Non sembrava che se ne preoccupasse. Non deve essere stata chissà quale conversazione...

Stava dissuadendo se stesso dal pessimismo, entusiasta dall'idea che Bella non fosse interessata in uno scambio con me. Questo mi irritò molto più di quanto era accettabile, così smisi di ascoltarlo.

Misi nello stereo un Cd di musica violenta, e alzai il volume per togliere le altre voci. Dovevo concentrarmi molto sulla musica per trattenermi dallo scivolare di nuovo nei pensieri di Mike Newton, per spiare quell'insospettabile ragazza...

Imbrogliai un po' di volte, mentre l'ora si avvicinava. Senza spiare, cerca di convincermi. Mi stavo solo preparando. Volevo sapere esattamente quando avrebbe lasciato la palestra, quando sarebbe stata nel parcheggio. Non volevo che mi prendesse di sorpresa.

Mentre gli studenti iniziarono la fila fuori dalla palestra, uscii dalla mia macchina, non sicuro del perché. La pioggia era leggera, la ignorai mentre lentamente mi inzuppava i capelli.

Volevo che mi vedesse qui? Speravo che sarebbe venuta a parlarmi? Cosa stavo facendo?

Non mi mossi, sebbene stessi cercando di convincere me stesso a ritornare in macchina, sapendo che il mio comportamento era riprovevole. Incrocia le braccia sul petto e respirai leggermente mentre la guardavo camminare verso di me, gli angoli della sua bocca piegati all'ingiù. Non mi guardò. Un paio di volte fissò su verso le nuvole con una smorfia, come se la stessero offendendo.

Ero deluso quando raggiunse la sua macchina prima che mi superasse. Avrebbe parlato con me? Avrei parlato con lei?

S'infilò dentro un pick up Chevy rosso stinto, un rottame che era più vecchio di suo padre. La osservai accendere il motore, che rimbombò più forte di qualsiasi altro veicolo nel parcheggio, e poi tendere le mani verso le ventole di riscaldamento. Il freddo la metteva a disagio, non le piaceva. Si pettinò i folti capelli con le dita, spingendo le ciocche attraverso il flusso di aria calda come se stesse cercando di asciugarli. Immaginai che odore avesse la cabina del pick up, e poi velocemente scacciai via il pensiero.

Si guardò attorno mentre si preparava a uscire, e finalmente guardò nella mia direzione. Mi fissò di rimando per mezzo secondo, e poi potei leggere nei suoi occhi la sorpresa prima che distogliesse lo sguardo e strattonasse il pick up a marcia indietro. E allora si fermò di nuovo con uno stridio, il retro del pick up aveva mancato un incidente con Erin Teague per pochi centimetri.

Fissò nello specchietto retrovisore, la sua bocca aperta mortificata. Quando un altra macchina la passò, controllò due volte dagli specchietti e poi si mosse fuori dal parcheggio così attentamente da farmi sorridere. Era come se pensasse di essere pericolosa nel suo pick up decrepito.

Il pensiero che Bella Swan potesse essere pericolosa per qualcuno, non importava cosa stesse guidando, mi fece ridere mentre la ragazza mi superava fissando diritto.


3. Fenomeno

In realtà non ero assetato, ma decisi di andare a caccia di nuovo quella notte. Un po' di prevenzione, benché sapessi che era inefficace.

Carlisle era venuto con me; non eravamo stati insieme da quando ero tornato da Denali. Mentre correvamo attraverso la foresta scura, lo sentii pensare al mio affrettato addio della scorsa settimana.

Nella sua memoria, vidi il modo in cui i miei lineamenti si erano distorti in una intensa disperazione. Sentii la sua sorpresa e l'improvvisa preoccupazione.

“Edward?”

“Devo andare Carlisle. Devo andare adesso.”

“Cosa è successo?”

“Niente. Ancora. Ma accadrà se resto.”

Aveva cercato il mio braccio. Avvertii come lo avevo ferito quando mi ero ritirato dalla sua mano.

“Non capisco.”

“Hai mai... è mai successo una volta...”

Osservai me stesso prendere un respiro profondo, vedere la luce selvaggia nei miei occhi attraverso il filtro della sua profonda preoccupazione.

“C'è mai stata una persona che avesse avuto un profumo più buono rispetto agli altri? Migliore?”

“Oh.”

Quando seppi che aveva capito, il mio volto era pieno di vergogna. Si allungò per toccarmi, ignorando il mio indietreggiare, e lasciò la sua mano sulla mia spalla.

“Come puoi resistere, figliolo. Mi mancherai. Ecco, prendi la mia macchina. E' più veloce.”

Adesso si stava chiedendo se allora avesse fatto la cosa giusta, mandandomi via. Pensando se mi avesse ferito con sua mancanza di fiducia.

“No,” sussurrai mentre correvo. “Era quello di cui avevo bisogno. Avrei potuto facilmente tradire la tua fiducia, se mi avessi detto di restare.”

“Mi dispiace che tu stia soffrendo, Edward. Ma dovresti fare il possibile per mantenere Swan in vita. Anche se questo dovesse portarti a lasciarci di nuovo.”

“Lo so, lo so.”

“Perché sei tornato? Lo sai che sono felice di averti qui, ma se è troppo difficile...”

“Non mi piaceva sentirmi un codardo,” ammisi.

Rallentammo, adesso stavamo a mala pena correndo attraverso l'oscurità.

“Meglio che metterla in pericolo. Andrà via tra un anno o due.”

“Hai ragione, lo so.” Al contrario, comunque, le sue parole mi fecero sentire più ansioso di restare. La ragazza sarebbe andata via tra un anno o due...

Carlisle smise di correre e io mi fermai con lui; si girò a esaminare la mia espressione.

Ma non hai intenzione di scappare, vero?

Ciondolai con la testa.

E' l'orgoglio, Edward? Non c'è da vergognarsi a...

“No, non è l'orgoglio a farmi restare. Non ora.”

Nessun posto dove andare?

Sorrisi brevemente. “No. Non mi avrebbe fermato, se avessi potuto partire.”

“Verremo con te, ovviamente, se è quello di cui hai bisogno. Devi solo chiedere. Ci trasferiremo senza lamentarci del resto. Non ti porteranno rancore per questo.”

Alzai un sopracciglio.

Rise. “Si, Rosalie potrebbe, ma te lo deve. Comunque, è meglio per noi partire ora, senza danni, piuttosto che partire più tardi, dopo che una vita si sarà spenta.” Tutto l'umorismo era svanito verso la fine.

Mi ritirai alle sue parole.

“Si,” concordai. La mia voce suonava rauca.

Ma non stai per partire?

Sospirai. “Dovrei.”

“Cosa ti trattiene qui, Edward? Non riesco a capire..”

“Non so se posso spiegarmi.” Anche con me stesso, non aveva senso.

Misurò la mia espressione per un lungo momento.

No, non capisco. Ma rispetto la tua privacy, se preferisci.

“Grazie. E' generoso da parte tua, visto che io non concedo a nessuno privacy.” Con l'unica eccezione. E stavo facendo qualcosa che avrebbe potuto sottrarla a questo, no?

Tutti abbiamo i nostri cavilli. Rise. Andiamo?

Aveva catturato la scia di un branco di cervi. Era difficile raccogliere entusiasmo per quello che era meno di un profumo, anche sotto la migliore delle circostanze. Proprio ora, con in mente il ricordo del sangue fresco della ragazza, l'odore mi contorse lo stomaco.

Sospirai. “Andiamo,” concordai, sebbene sapessi che avrebbe aiutato ben poco forzare più sangue nella mia gola.

Entrambi scivolammo in una posa da caccia, rannicchiati, e lasciammo che l'interessante odore ci spingesse silenziosamente più avanti.

Faceva più freddo quando tornammo a casa. La neve sciolta si era ghiacciata di nuovo; era come se un denso foglio di vetro coprisse ogni cosa, ogni ago di pino, ogni felce, ogni spada di vetro era un ghiaccio.

Mentre Carlisle andava a vestirsi per la sua visita mattutina all'ospedale, io rimasi vicino il fiume, aspettando che il sole sorgesse. Mi sentivo gonfio dalla montagna di sangue che avevo consumato, ma sapevo che la mancanza dell'attuale sete avrebbe significato poco quando mi fossi seduto di nuovo vicino a lei.

Freddo e immobile come la pietra su cui stavo seduto, fissavo l'acqua scura correre lungo gli argini ghiacciati, la attraversavo con lo sguardo.

Carlisle aveva ragione. Dovevo lasciare Forks. Avrebbero inventato qualche storia per spiegare la mia assenza. Un'iscrizione in una scuola europea. Una visita a parenti lontani. Una fuga adolescenziale. La storia non importava. Nessuno avrebbe fatto troppe domande.

Era solo per un anno o due, e poi la ragazza sarebbe scomparsa. Sarebbe andata avanti con la sua vita, avrebbe potuto continuare la sua vita. Sarebbe andata da qualche parte al college, diventata vecchia, iniziato una carriera, forse sposato qualcuno. Riuscii a immaginarlo, riuscii a vedere la ragazza vestita in bianco camminando con passi misurati, il suo braccio attraverso quello del padre.

Era strano, il dolore che quell'immagine mi causò. Non riuscivo a capirlo. Ero geloso, solo perché aveva un futuro che non avrei potuto avere? Non aveva senso. Ogni umano attorno a me aveva davanti lo stesso potenziale, una vita, e di rado mi ero fermato ad invidiarlo.

L'avrei lasciata al suo futuro. Smettendo di rischiare per la sua vita. Era la cosa più giusta da fare. Carlisle sceglieva sempre il giusto. Adesso avrei dovuto ascoltarlo.

Il sole sorse dietro le nuvole, e una leggera traccia di luce illuminò tutti i vetri ghiacciati.

Un altro giorno, decisi. L'avrei rivista un'altra volta. Potevo sopportarlo. Forse avrei menzionato alla mia indecisa partenza, sistemando la storia.

Sarebbe stato difficile; potevo sentirlo nella pesante riluttanza che mi stava già facendo pensare ad una scusa per rimanere. Sapevo che potevo avere fiducia nel consiglio di Carlisle. E sapevo pure che ero troppo in conflitto per prendere la decisione giusta da solo.

Troppo in conflitto. Quanta di questa riluttanza veniva dalla mia ossessiva curiosità, e quanta veniva dal mio insoddisfatto appetito?

Andai dentro per cambiarmi con vestiti puliti per la scuola.

Alice mi stava aspettando, seduta in cima al terzo piano.

Stai partendo di nuovo, mi accusò.

Sospirai e annuii.

Non posso vedere dove andrai questa volta.

“Non so ancora dove andrò,” sussurrai.

Voglio che rimani.

Scossi la testa.

Forse Jazz ed io potremmo venire con te?

“Avranno tutti bisogno di te, se qui non ci sarò io a controllare. E pensa ad Esme. Vorresti portarle via mezza famiglia in un solo colpo?

Sei tu che renderai così triste.

“Lo so. E per questo che voglio che rimani.”

Non è come averti qui, lo sai.

“Si. Ma devo fare quello che è giusto.”

Per un breve momento fu allontanata da una strana visione; la osservai con lei mentre indistinte immagini tramavano e giravano. Vidi me stesso mischiato a qualche strana ombra che non riuscivo a identificare, una forma confusa e imprecisa. E poi improvvisamente, la mia pella stava brillando nella luminosa luce di una piccola radura aperta. Era un posto che conoscevo. C'era una figura con me nella radura, ma di nuovo era indistinta, non abbastanza chiara da riconoscerla. L'immagine tremò e scomparve mentre un milione di piccole scelte risistemava di nuovo il futuro.

“Non ho afferrato molto,” le dissi mentre la sua visione scuriva.

Neanch'io. Il tuo futuro si è mosso così tanto che non sono riuscita a mantenere nulla. Credo piuttosto...

Si fermò, e si lanciò in una vasta collezione di altre recenti visioni di me. Erano tutte le stesse, sfocate e vaghe.

“Penso che qualcosa stia cambiando, comunque,” disse ad alta voce. “La tua vita sembra essere ad un incrocio.”

Le sorrisi di sbieco. “Ti sei resa conto che hai fatto il verso di una falsa zingara di carnevale, vero?”

Mi mostrò la sua piccola lingua.

“Oggi è tutto a posto comunque?” chiesi, la mia voce improvvisamente apprensiva.

“Non ti vedo uccidere nessuno,” mi rassicurò.

“Grazie Alice.”

“Vai a vestirti. Non dirò nulla, lascerò che sia tu a dirlo agli altri quando sarai pronto.”

Si alzò e si diresse di sotto verso le scale, le sue spalle leggermente curve. Mi mancherai. Davvero.

Sì, anche lei mi sarebbe mancata.

Il viaggio verso scuola fu silenzioso. Jasper poteva capire che Alice fosse infelice per qualcosa, ma sapeva che se ne avesse voluto parlare lo avrebbe già fatto. Emmett e Rosalie erano incuranti, avevano un altro dei loro momenti, si fissavano negli occhi senza pensieri, era piuttosto disgustoso guardarli da fuori. Eravamo tutti abbastanza consapevoli di quanto fossero disperatamente innamorati. O forse ero un po' seccato perché ero l'unico ad essere solo. Alcuni giorni erano più difficili degli altri da vivere con le tre coppie di perfetti innamorati. Questo era uno di quelli.

Forse sarebbero stati più felici senza me intorno, di malumore e bellicoso come il vecchietto che dovevo essere ora.

Ovvio, la prima cosa che avrei fatto quando avessimo raggiunto la scuola sarebbe stato cercare la ragazza. Solo per prepararmi di nuovo.

Giusto.

Era imbarazzante come il mio mondo sembrasse essere privo di qualsiasi cosa tranne lei, la mia intera esistenza si focalizzava sulla ragazza, piuttosto che su me stesso.

Era abbastanza facile da capire, comunque; dopo ottant'anni con ogni giorno e ogni notte le stesse cose, un cambiamento diventava punto di interesse.

Non era ancora arrivata, ma potevo sentire il fragoroso suono del motore del suo pick up in lontananza. Mi appoggiai contro il lato della macchina per aspettare. Alice restò con me, mentre gli altri andarono diretti a lezione. Erano annoiati dalla mia fissazione, per loro era incomprensibile come un'umana potesse mantenere il mio interesse così a lungo, non importava quanto deliziosa profumasse.

La ragazza guidava piano, i suoi occhi intenti sulla strada e le sue mani strette sul volante. Sembrava ansiosa. Impiegai un secondo a immaginare per cosa potesse esserlo, per rendermi conto che oggi ogni umano indossava la stessa espressione oggi. Ah, la strada era scivolosa per il ghiaccio, e stavano tutti cercando di guidare con attenzione. Potevo vedere come prendesse seriamente quel rischio.

Sembrava in linea con quel poco che avevo imparato del suo carattere. Aggiunsi questo alla mia piccola lista: era una persona seria e responsabile.

Non parcheggiò molto lontano da me, ma non mi aveva ancora visto stare qui a fissarla. Pensai a cosa avrebbe fatto quando lo avesse notato, sarebbe arrossita e poi allontanata?

Quello fu il mio primo pensiero. Ma forse mi avrebbe fissato di rimando. Forse sarebbe venuta a parlare con me.

Presi un respiro profondo, riempiendo fiduciosamente i miei polmoni, in caso.

Uscì dal pick up con attenzione, testando il terreno scivoloso prima di spingere il suo peso. Non alzò lo sguardo, e mi sentii frustrato. Forse se andassi a parlarle...

No, sarebbe stato sbagliato. Invece di girarsi verso scuola, andò verso il retro del pick up, rannicchiandosi dal lato del cofano in modo buffo, non avendo fiducia dei suoi piedi. Mi fece sorridere, e sentii gli occhi di Alice sul mio viso. Non ascoltai a cosa avrebbe pensato, mi stavo troppo divertendo a guardare la ragazza controllare le catene da neve. In realtà sembrava in pericolo di cadere, per il modo in cui i suoi piedi scivolavano. Nessuno stava avendo problemi, aveva parcheggiato nella parte peggiore di ghiaccio?

Si fermò lì, osservando giù con una strana espressione sul suo viso. Era.. tenera? Come se qualcosa a proposito delle catene la stesse...emozionando?

Di nuovo, la curiosità mi ferì come la sete. Era come se dovevo sapere cosa stava pensando, come se nient'altro importasse.

Sarei andato a parlare con lei. Sembrava che avesse bisogno di una mano, almeno fino a che si trovava sul pavimento scivoloso. Certo, non potevo offrirgliela, no? Esitai, lacerato. Avversa com'era alla neve, difficilmente avrebbe gradito il tocco della mia mano bianca e gelida. Avrei dovuto indossare guanti...

“NO!” annaspò forte Alice.

All'istante, le analizzai i pensieri, indovinando fin dall'inizio che avrei fatto una scelta infelice e mi vide fare qualcosa di imperdonabile. Ma non aveva niente a che fare come.

Tyler Crowley aveva scelto di correre nel parcheggio ad una velocità sconsiderata. La sua scelta lo avrebbe mandato a scivolare contro il terreno di ghiaccio...

La visione arrivò solo un secondo prima della realtà. Il furgone di Tyler curvò all'angolo mentre stavo ancora guardando la conclusione che aveva spinto quell'orrendo rantolo attraverso le labbra di Alice.

No, questa visione non aveva niente a che fare con me, e tuttavia aveva completamente tutto a che fare con me, perché il furgone di Tyler, le gomme stavano colpendo il ghiaccio nel peggior modo possibile, stava ruotando attraverso il parcheggio e per colpire la ragazza che era diventata indesiderata nel mio mondo.

Anche senza la previsione di Alice sarebbe stato abbastanza semplice leggere la traiettoria del veicolo, fuori dal controllo di Tyler.

La ragazza, esattamente nel posto sbagliato in piedi sul retro del suo pick up, alzò lo sguardo, sorpresa dal rumore delle stridenti catene. Guardò dritto verso i miei occhi terrorizzati, e poi si girò a guardare la morte che si avvicinava.

Non lei! Le parole gridarono nella mia testa come se appartenessero a qualcun altro.

Ancora bloccato nei pensieri di Alice, vidi la visione cambiare improvvisamente, ma non avevo il tempo di vedere il risultato. Mi lanciai attraverso il parcheggio, frapponendomi tra il furgone che slittava e la ragazza pietrificata. Mi mossi così veloce che ogni cosa era sfocatamente striata eccetto l'oggetto della mia attenzione. Non mi vide, nessun occhio umano avrebbe potuto seguire il mio volo, stava ancora fissando l'enorme figura che stava per macinarla sulla carrozzeria del suo pick up.

La presi dalla vita, muovendomi con troppa urgenza per essere gentile come aveva bisogno. Nel centesimo di secondo tra il tempo in cui la strattonai leggermente dal cammino della morte e il tempo in cui crollai con lei tra le braccia, ero chiaramente consapevole del suo delicato, fragile corpo.

Quando sentii la sua testa battere contro il ghiaccio, fu come se fossi diventato di ghiaccio anch'io.

Ma non avevo nemmeno un secondo per accertarmi delle sue condizioni. Sentivo il furgone dietro di noi, cigolando e schiacciando mentre si torceva attorno al solido corpo di ferro del pick up. Fece una cambio di rotta, arcuandosi, e venendo di nuovo verso di lei, come se ci fosse una calamita a spingerlo verso di noi.

Un parola che non avrei mai detto in presenza di una signora mi scivolò tra i denti serrati.

Avevo già fatto troppo. Mentre volavo via attraverso l'aria per spingerla via, ero perfettamente consapevole dello sbaglio che stavo facendo. Saperlo non mi aveva fermato, ma non ero dimentico dei rischi che stavo compiendo, compiendo non solo per me stesso, ma per la mia intera famiglia.

Esposizione.

E questo non stava certamente aiutando, ma non c'era verso che permettessi al furgone di avere successo al secondo tentativo di prendersi la sua vita.

La abbassai e spinsi in fuori le mani, catturando il furgone prima che toccasse la ragazza. La forza contraria mi lanciò contro la macchina parcheggiata accanto al pick up, e riuscii sentire il telaio deformasi dietro le mie spalle. Il furgone si scosse e tremò contro le mie braccia rigide, e poi oscillò, bilanciandosi instabilmente sulle ultime gomme.

Se avessi mosso le mie mani, il cerchione nero del furgone le sarebbe caduto sulle gambe.

Oh, per l'amore di tutti i santi, sarebbe mai finita la catastrofe? C'era qualcos'altro che sarebbe andato storto? Potevo a mala pena stare seduto lì, tenendo il furgone nell'aria, e aspettare per un aiuto. Neanche spingere via il furgone, c'era il guidatore da considerare, i suoi pensieri incoerenti nel panico.

Con un ringhio interno, spinsi il furgone così che oscillò lontano da noi per un istante. Mentre ritornava verso di me, lo presi sotto l'intelaiatura con la mia mano destra mentre avvolgevo il braccio sinistro di nuovo attorno la vita della ragazza e la trascinavo lontano dal furgone, spingendola stretta contro di me. Il suo corpo si mosse fiaccamente mentre la giravo per mettere le sue gambe al sicuro, era cosciente? Quanto danno le avevo fatto nel mio improvvisato tentativo di salvataggio?

Lasciai il furgone, ora che sapevo che non avrebbe potuto ferirla. Si fracassò contro il terreno, tutti i finestrini tremarono all'unisono.

Seppi che ero nel mezzo di una crisi. Quanto aveva visto? Qualche altro testimone mi aveva visto materializzarmi al suo fianco e poi giocare di prestigio con il furgone mentre cercavo di tenerla lontano? Queste domande avrebbero dovuto essere la mia più grande preoccupazione.

Ma ero troppo ansioso per curarmi della minaccia dell'esposizione come avrei dovuto. Troppo colpito dal panico per averla potuto ferire nello sforzo di salvarla. Troppo spaventato per averla così vicino a me, sapendo cosa avrei sentito se mi fossi permesso di inspirare. Troppo consapevole del calore del suo corpo soffice, premuto contro il mio, anche attraverso il doppio ostacolo delle nostre giacche, potevo sentire il caldo...

La prima paura fu la più grande. Mentre le grida dei testimoni esplosero attorno a noi, mi abbassai per esaminare il suo viso, vedere se era cosciente, sperando intensamente che non stesse sanguinando.

Aveva gli occhi aperti, fissi in stato di shock.

“Bella?” chiesi con urgenza. “Tutto a posto?”

“Sto bene.” Disse le parole automaticamente con voce confusa.

Il sollievo, così delicatamente vicino al dolore, rifluì attraverso di me al suono della sua voce. Inalai un respiro tra i denti, e non feci caso all'associato bruciore della mia gola. Era quasi il benvenuto.

Lottò per mettersi seduta, ma non ero pronto a lasciarla. Sembrava... più sicuro? Meglio, almeno, che averla piegata al mio fianco.

“Attenta,” l'avvertii. “Mi sa che hai preso una bella botta in testa.”

Non c'era segno di sangue fresco, per fortuna, ma non decideva dei danni interni. Fui improvvisamente ansioso di portarla da Carlisle e ad un completa attrezzatura di radiologia.

“Ahi,” disse, il suo tono comicamente shockato mentre realizzava che avevo ragione a proposito della sua testa.

“Come pensavo,” il sollievo mi divertì, rendendomi quasi frivolo.

“Come diavolo...” la sua voce si affievolì, e le sue palpebre tremarono. “Come hai fatto ad arrivare così in fretta?”

Il sollievo s'inasprì, il divertimento si affievolì. Aveva notato troppo.

Adesso che era evidente che la ragazza era in condizioni decenti, l'ansia per la mia famiglia diventò seria.

“Ero qui accanto a te, Bella.” Sapevo per esperienza che se fossi stato sicuro a mentire, la verità sarebbe apparsa meno chiara all'interrogatore.

Lottò per muoversi ancora, e questa volta glielo permisi. Avevo bisogno di respirare così riuscii a recitare correttamente la mia parte. Avevo bisogno di allontanarmi dal suo corpo caldo di sangue così che il suo odore non mi avrebbe sopraffatto. Scivolai lontano da lei, il più lontano possibile nel piccolo spazio tra i disastrati veicoli.

Lei mi fissò, e anch'io di rimando. Distogliere lo sguardo era un errore che solo un incompetente bugiardo poteva fare, e io non lo ero. La mia espressione era calma, benevola... Sembrò confonderla. Buono.

La scena dell'incidente adesso era circondata. La maggior parte degli studenti, bambini, sbirciavano e spingevano attraverso le crepe per vedere se qualche corpo mutilato fosse visibile. C'era un borbottio di grida e un fiotto di pensieri confusi. Analizzai le menti per essere sicuro che non ci fossero ancora sospetti, e poi le chiusi fuori e mi concentrai solo sulla ragazza.

Era distratta dalla confusione. Si guardò attorno, la sua espressione ancora stupita, e cercò di mettersi in piedi.

Poggiai la mia mano sulla sua spalla per trattenerla leggermente.

“Per adesso resta qui,” sembrava apposto, ma poteva davvero muovere il collo? Ancora, sperai in Carlisle. I miei anni di studi di medicina teorica non reggevano contro i suoi secoli di esperienza.

“Ma fa freddo”, obiettò.

Era stata quasi schiacciata a morte per due volte e mutilata una, ed era il freddo a preoccuparla. Un sogghigno mi scivolò tra i denti prima che potessi ricordare che la situazione non era divertente.

Bella ammiccò, e i suoi occhi si concentrarono sul mio viso. “Tu stavi laggiù.”

Questo mi fece di nuovo rinsavire.

Osservò verso sud, sebbene non ci fosse niente da vedere adesso tranne per il lato del furgone accartocciato. “Eri accanto alla tua macchina.”

“Invece no.”

“Ti ho visto,” insistette; la sua voce era come quella di una bambina testarda. Il suo mento sporgeva in fuori.

“Bella, ero qui accanto a te e ti ho spinta via appena in tempo.”

Guardai profondamente nei sui occhi spalancati, cercando di convincerla ad accettare la mia versione, l'unica razionale versione in gioco.

La sua mascella s'irrigidì. “No.”

Cercai di stare calmo, di non andare nel panico. Se solo avessi potuto calmarla per un po', per darmi la possibilità di distruggere gli indizi... e minare la sua storia divulgando il danno alla sua testa.

Non sarebbe stato facile mantenerlo segreto, silenziosa calma ragazza? Se solo mi avesse creduto, solo per un breve momento...

“Per favore, Bella,” dissi, il mio tono era troppo intenso, perché volevo davvero che lei mi credesse. Lo volevo fortemente, e non solo riguardo all'incidente. Che stupido desiderio. Che senso avrebbe avuto per lei credermi?

“Perché?” mi chiese, ancora sulla difensiva.

“Fidati,” la pregai.

“Prometti che poi mi spiegherai tutto?”

Mi arrabbiai per dover mentire di nuovo, quando speravo tanto di poterle riservare fiducia. Così, quando le risposi, fu una replica.

“Promesso.”

“Promesso.” mi fece eco nello stesso tono.

Mentre il tentativo di salvataggio iniziava attorno a noi, l'arrivo degli adulti, la chiamata alle autorità, le sirene in lontananza, cercai di ignorare la ragazza e di mettere le mie priorità nel giusto ordine. Cercai attraverso ogni mente del parcheggio, dei testimoni e dei successivi avventori, ma non riuscii a trovare niente di pericoloso. Molti erano sorpresi di vedermi qui accanto a Bella, ma tutti conclusero, come se non ci fosse altra possibilità, che non mi avevano notato stare vicino alla ragazza prima dell'incidente.

Lei era l'unica che non accettava con facilità le mie spiegazioni, ma sarebbe stata considerata l'ultima testimone credibile. Era troppo spaventata, traumatizzata, per non menzionare la prolungata botta in testa. Possibilmente in shock. Sarebbe stato accettabile che la sua storia fosse confusa, no? Nessuno gli avrebbe dato credito con così tanti spettatori...

Sussultai quando catturai i pensieri di Rosalie, Jasper ed Emmett, che arrivavano sulla scena. stanotte ci sarebbe voluto l'inferno per sopportarli.

Volevo modellare l'impronta di ferro che le mie spalle avevano fatto dietro di me, ma la ragazza era troppo vicina. Dovevo aspettare che si distraesse.

Era frustrante dover aspettare, così tanti occhi su di me, mentre gli umani lottavano contro il furgone, cercando di spingerlo lontano da noi. Li avrei aiutati, solo per velocizzare il processo, ma ero già in guai abbastanza seri e la ragazza aveva la vista acuta. Infine, gli infermieri riuscirono a spostarlo tanto lontano per venire da noi con le lettighe.

Un viso familiare e brizzolato mi esaminò.

“Hey, Edward, “ disse Brett Warner. Era un infermiere registrato, e lo avevo conosciuto bene all'ospedale. Ero un bel colpo di fortuna, l'unica fortuna di oggi, che lui fosse il primo a vederci. Nei suoi pensieri non lo preoccupava che apparissi sveglio e calmo.

“Stai bene, ragazzo?”

“Perfettamente, Brett. Non mi ha toccato nulla. Ma ho paura che Bella possa aver avuto una contusione. Ha colpito la testa quando l'ho spinta via...”

Brett spostò la sua attenzione verso la ragazza, che mi mandò un'intensa occhiata di tradimento. Oh, giusto. Era una silenziosa martire, preferiva soffrire in silenzio.

Comunque non contraddisse immediatamente la mia storia, e questo mi rese più calmo.

Il successivo infermiere cercò di insistere per permettermi di curarmi, ma non fu difficile dissuaderlo. Promisi che avrei lasciato che mio padre mi esaminasse, e lasciò stare. Con la maggior parte degli umani, bisognava parlare con una distaccata confidenza. Con la maggior parte, tranne quella ragazza, ovvio. Le calzava qualche modello comune per caso?

Le misero un collare, e il suo viso diventò scarlatto per l'imbarazzo, usai quel momento di distrazione per risistemare silenziosamente con il piede la forma dell'impronta nella macchina. Soltanto i miei fratelli lo notarono, e sentii la mentale promessa di Emmett di afferrare qualsiasi cosa avessi perso.

Grato per il suo aiuto, e molto più grato che Emmett, almeno, avesse già perdonato la mia scelta pericolosa, mi sentii più rilassato mentre mi arrampicavo sul sedile anteriore dell'ambulanza vicino a Brett.

Il capo della polizia arrivò prima che portassero Bella sul retro.

Nonostante i pensieri del padre di Bella fossero parole passate, la mente dell'uomo emanava il panico e la preoccupazione come ogni altro pensiero nelle vicinanze. Ansia senza parole e senso di colpa, il più gonfio dei due, rifluirono fuori di lui mentre vedeva la sua unica figlia sulla lettiga.

Lasciavano lui e attraversavano me, riecheggiando e crescendo più forti. Quando Alice mi aveva avvisato che uccidere la figlia di Chiarlie Swan avrebbe significato uccidere anche lui, non aveva esagerato.

La mia testa si piegò sotto quella colpa mentre sentivo il panico della sua voce.

“Bella!” gridò.

“Sto perfettamente bene, Char... Papà.” Sospirò. “Non c'è niente che non va.”

Le sue rassicurazioni avevano a male pena calmato i suoi timori. Si girò verso il più vicino infermiere per chiedere informazioni.

Finché non lo sentii parlare, formulare frasi perfettamente coerenti nonostante il panico non mi ero reso conto di come la sua ansia e la sua preoccupazione fossero senza parole. Non riuscii... a sentire l'esatta parola.

Hmm. Charlie Swan non era silenzioso come la figlia, ma potevo vedere da chi aveva preso. Interessante.

Non avevo mai passato tanto tempo con il capo della polizia della città. L'avevo sempre preso per un uomo dai pensieri lenti, adesso realizzai che l'unico ad essere lento ero io. I suoi pensieri erano parzialmente nascosti, non assenti. Potevo solo sentire il tenore, il loro tono...

Volevo ascoltare di più, scoprire se avessi potuto trovare in questo nuovo, minore rompicapo la chiave per i segreti della ragazza. Ma Bella fu caricata sul retro, e l'ambulanza partì.

Era difficile trattenermi lontano da questa possibile soluzione al mistero che era venuto per ossessionarmi. Ma adesso dovevo pensare, guardare a cosa era accaduto oggi, da ogni punto di vista. Dovevo ascoltare, assicurarmi che non ci avessi messo in un pericolo tale da costringerci a partire immediatamente. Dovevo concentrarmi.

Non c'era nulla a preoccuparmi tra i pensieri degli infermieri. Per quanto potevano dire, la ragazza non aveva niente di serio. E Bella era attaccata alla storia che avevo nominato, perciò lontana.

La prima priorità, quando raggiungemmo l'ospedale, fu quello di vedere Carlisle. Corsi attraverso le porte automatiche, ma non riuscii a dimenticarmi completamente di Bella; la tenni d'occhio attraverso i pensieri dei paramedici.

Era facile seguire i pensieri familiari di mio padre. Era nel suo piccolo ufficio, tutto solo, il secondo colpo di fortuna dello sfortunato giorno.

“Carlisle.”

Mi aveva sentito avvicinarmi, ed si allarmò appena vide il mio viso. Scattò in piedi, il suo volto pallido come ossa bianche. Si abbassò verso l'organizzata scrivania di noce.

Edward... non hai...

“No, no, non è quello.”

Prese un profondo respiro. Certo che no. Mi dispiace di aver preso il pensiero in considerazione. I tuoi occhi, ovvio, lo avrei dovuto sapere... Osservò il mio sguardo ancora d'oro con sollievo.

“E' ferita, comunque, Carlisle, probabilmente non sul serio, ma..”

“Cosa è successo?”

“Uno stupido incidente d'auto. Era nel posto sbagliato al momento sbagliato. Ma non potevo stare lì, lasciare che si scontrasse...”

Ricomincia d'accado, non capisco. Come mai sei coinvolto?

“Un furgone è slittato sul ghiaccio,” sussurrai. Fissavo il muro dietro di lui mentre parlavo. Invece di una folla di cornici con diplomi, aveva un semplice dipinto ad olio, il suo preferito, uno sconosciuto Hassam. “Lei era sulla strada. Alice l'aveva visto arrivare, ma non c'era tempo di fare qualcosa tranne che correre attraverso il parcheggio e spostarla dalla strada. Nessuno l'ha notato... eccetto lei. Dovevo anche fermare il furgone, ma di nuovo nessuno ha visto... tranne lei. Mi... mi dispiace Carlisle. Non volevo metterci in pericolo.”

Circondò la scrivania e mise la sua mano sulla mia spalla.

Hai fatto la cosa giusta. Non deve essere stato facile. Sono fiero di te, Edward.

Lo guardai negli occhi allora. “Lei sa che c'è qualcosa... di strano.”

“Questo non importa. Se dobbiamo partire, partiremo. Cosa ha detto?”

Scossi la testa, un po' frustrato. “Ancora niente.”

Ancora?

“Ha acconsentito alla mia versione dei fatti, ma si aspetta una spiegazione.”

Si accigliò, riflettendo.

“Ha battuto la testa, beh, l'ho fatto io,” continuai velocemente. “L'ho sbattuta un po' a terra. Sembra stare bene, ma... non penso che porterà qualche dubbio alla sua spiegazione.”

Mi sentivo un furfante solo dicendo quelle parole.

Carlisle ascoltò l'avversione nella mia voce. Forse non è necessario. Vediamo cosa accade, ok? Mi sa che ho una paziente da controllare.

“Per favore,” dissi. “Sono così preoccupato di averle fatto del male.”

L'espressione di Carlisle s'illuminò. Si lisciò i suoi capelli chiari, di una tinta soltanto un po' più brillante dei suoi occhi d'oro, e rise.

E' stata una giornata interessante per te, vero? Nella sua mente, riuscii a vedere l'ironia, ed era quasi comico, almeno per lui. Abbastanza da invertire le regole. In qualche luogo durante quel breve secondo senza pensieri in cui mi ero lanciato verso il parcheggio ghiacciato, mi ero trasformato da omicida a protettore.

Risi con lui, ricordando quanto sicuro ero stato che Bella non avrebbe avuto bisogno di protezione tranne che da se stessa. C'era tensione nella mia risata perché, nonostante il furgone, era ancora interamente vero.

Aspettai da solo nell'ufficio di Carlisle, una delle ore più lunghe della mia vita, ascoltando i pensieri dell'intero ospedale.

Tyler Crowley, il conducente del furgone, sembrava essere più ferito di Bella, e l'attenzione scivolò su di lui mentre aspettava il suo turno per le radiografie. Carlisle si tenne in disparte, credendo alla diagnosi dei paramedici che la ragazza era solo leggermente ferita. Questo mi rese ansioso, ma sapevo che aveva ragione. Un'occhiata al suo volto e lei si sarebbe subito ricordata di me, del fatto che c'era qualcosa di strano nella mia famiglia, e che l'avrebbe fatta parlare.

Certamente aveva un compagno con cui conversare. Tyler era consumato dal senso di colpa per averla quasi uccisa, e non sembrava chiudere la bocca. Potevo vedere l'espressione della ragazza attraverso i suoi occhi, ed era chiaro che sperava la smettesse. Perché non lo vedeva?

Ci fu un momento di tensione quando Tyler le chiese come avesse fatto ad uscire dalla strada.

Aspettai, senza respirare, mentre esitava.

“Ehm...” la sentii dire. Poi si fermò così tanto che Tyler pensò che la domanda l'avesse confusa. Infine continuò. “E' stato Edward a spingermi via.”

Espirai. E allora il mio respiro accelerò. Non l'avevo mai sentita dire il mio nome. Mi piaceva il modo in cui suonava, anche solo sentendolo attraverso i pensieri di Tyler. Volevo sentirlo da me...

“Edward Cullen,” precisò, quando Tyler non aveva capito a chi si riferisse. Trovai me stesso alla porta, la mia mano sulla maniglia. Il desiderio di vederla stava diventando più forte. Dovetti ricordarmi della necessità di cautela.

“Era lì accanto a me.”

“Cullen?” Huh. Strano. “Non l'ho visto” Avrei potuto giurare... “Dio, forse perché è successo tutto talmente in fretta. Lui sta bene?”

“Penso di si. E' qui anche lui, non so dove. Ma non l'hanno nemmeno portato in barella.”

Vidi il suo viso pensieroso, il sospetto stretto tra gli occhi, ma quei piccoli cambiamenti si persero in Tyler.

E' carina, stava pensando, quasi in sorpresa. Anche tutta disordinata. Non proprio il mio solito tipo, ma... la devo portare fuori. Rimediare per oggi...

Ero fuori nel corridoio, poi, quasi alla corsia di emergenza, senza pensare per un secondo a quello che stavo facendo. Fortunatamente, l'infermiere entrò nella stanza prima che di me, era il turno di Bella per le radiografie. Mi appoggiai contro il muro in un angolo buio prima dell'angolo, e cercai di controllarmi mentre lei veniva condotta via.

Non importava che Tyler pensasse che fosse carina. Chiunque lo avrebbe notato. Non c'era ragione di sentirmi... di sentirmi come? Irritato? O più arrabbiato per dire la verità? Non aveva nessun senso.

Rimasi lì più a lungo che potei, ma l'impazienza ebbe la meglio e tornai verso il reparto di radiologia. Lei era già tornata al reparto emergenza, ma riuscii a sbirciare le sue radiografie mentre l'infermiera era di spalle.

Mi sentii più calmo. La sua testa era a posto. Non l'avevo ferita, non del tutto.

Carlisle mi raggiunse.

Stai meglio, commentò.

Guardai avanti. Non ero solo, il corridoio era pieno di attendenti e visitatori.

Ah, si. Attaccò le sue radiografie al pannello luminoso, ma non avevo bisogno di una seconda occhiata. Vedo. Sta assolutamente bene. Ben fatto, Edward.

Il suono dell'approvazione di mio padre creò un miscuglio di reazioni dentro di me. Avrei dovuto esserne compiaciuto, però sapevo che non avrebbe approvato cosa stavo per fare ora. Almeno, non avrebbe approvato se avesse conosciuto le mie reali motivazioni...

“Penso che andrò a parlarle, prima che ti veda,” mormorai sotto il mio respiro. “”Un comportamento normale, come se non fosse successo niente. Per calmare le cose.” Tutte ragioni accettabili.

Carlisle annuì assente, ancora guardando alle radiografie. “Buona idea. Hmm.”

Lanciai uno sguardo al motivo del suo interesse.

Guarda quelle contusioni guarite. Quante volte la madre l'ha fatta cadere?

Carlisle rise da solo per la sua battuta.

“Sto iniziando a pensare che la ragazza ha davvero una brutta sfortuna. Sempre nel posto sbagliato al momento sbagliato.”

Forks è certamente il posto meno adatto per lei, con te qui.

Mi ritrassi.

Vai avanti. Calma le cose. Ti raggiungerò tra un momento.

Camminai velocemente, sentendomi in colpa. Forse ero bravo a mentire, se potevo prendere in giro Carlisle.

Quando arrivai alla corsia d'emergenza, Tyler stava mormorando sotto il suo respiro, ancora scusandosi. La ragazza stava cercando di scappare dal suo rimorso fingendo di dormire. I suoi occhi erano chiusi ma il suo respiro non era calmo, e le sue dita di quando in quando si contorcevano impazienti.

La fissai per un lungo momento. Questa era l'ultima volta che l'avrei vista. Il pensiero scatenò un dolore acuto nel mio petto. Era perché avrei lasciato il rompicapo irrisolto? Non sembrava abbastanza come spiegazione.

Infine, presi un respiro profondo e uscii allo scoperto.

Quando Tyler mi vide, iniziò a parlare ma posai un dito sulle mie labbra.

“Dorme?” mormorai.

Gli occhi di Bella si aprirono e si concentrarono sul mio viso. Si spalancarono per un momento, e poi si accigliarono per la rabbia o il sospetto. Ricordai il ruolo da recitare, così le sorrisi come se non fosse successo niente di insolito quella mattina, oltre che un colpo alla testa e un po' di folle immaginazione.

“Ehi, Edward, mi dispiace tanto...”

Alzai un dito per fermare le sue scuse, “Niente sangue, niente danno,” dissi seccamente. Senza pensarci sorrisi troppo apertamente alla mia battuta privata.

Era meravigliosamente facile ignorare Tyler, che giaceva non più di un metro e mezzo da me, coperto di sangue fresco. Non avevo mai capito come Carlisle potesse sopportarlo, ignorare il sangue dei suo pazienti per curarli. La costante tentazione non avrebbe dovuto distrarlo...? Ma, ora... Potevo vedere come la tentazione fosse niente se ti concentravi su qualcosa di più difficile.

Anche se fresco ed esposto, il sangue di Tyler non era nulla in confronto a quello di Bella.

Presi le distanze da lei, sedendo sul letto vicino i piedi di Tyler.

“Allora, qual è il verdetto?” le chiesi.

Il suo labbro inferiore sporse un po'. “Non mi sono fatta neanche un graffio, ma non vogliono lasciarmi tornare a casa. Com'è che tu non sei legato a una barella come noi?”

La sua impazienza mi fece sorridere di nuovo.

Adesso riuscivo sentire Carlisle nel corridoio.

“Tutto merito di chi sai tu,” dissi leggermente. “Ma non preoccuparti, sono venuto a liberarti.”

Guardai la sua espressione attentamente mentre mio padre entrava nella stanza. I suoi occhi si spalancarono e la sua bocca si aprì in sorpresa. Dentro mi lamentai. Si, avrebbe certamente notato la somiglianza.

“E allora, signorina Swan, come stiamo?” chiese Carlisle. Aveva una sorprendente calma dietro suoi i modi che metteva i pazienti a loro agio. Potei dire che influenzò anche Bella.

“Bene,” disse con calma.

Carlisle posizionò le sue radiografie sul pannello luminoso vicino al letto. “Le radiografie sono buone. Ti fa male la testa? Edward dice che hai preso un brutto colpo.”

Lei sospirò, “Sto bene,” disse di nuovo, ma questa volta la sua impazienza trapelava dalla sua voce. Poi guardò torva nella mia direzione.

Carlisle fece un passo più vicino e fece correre gentilmente le sue dita lungo il cranio fino a che non trovò la botta sotto i suoi capelli.

Fui catturato dall'ondata di emozioni che si scontrarono dentro di me.

Avevo visto Carlisle lavorare con gli umani un milione di volte. Anni fa, lo avevo assistito informalmente, sebbene solo in situazioni in cui il sangue non era coinvolto. Perciò per me non era una cosa nuova, osservarlo interagire con la ragazza come se fosse umano come lei. Molte volte avevo invidiato il suo controllo, ma quest'emozione non era la stessa. Lo invidiavo molto di più che per il suo controllo. Soffrivo per la differenza tra Carlisle e me, lui avrebbe potuto toccarla così gentilmente, senza paura, sapendo che non avrebbe mai potuto farle del male...

Lei sobbalzò, e io mi contorsi sul mio posto. Dovevo concentrarmi per un momento per mantenere la mia postura rilassata.

“Sensibile?” chiese Carlisle.

Il suo mento si scosse un po'. “No, davvero,” disse.

S'incastrò un altro piccolo pezzo del suo carattere: era coraggiosa. Non le piaceva mostrarsi debole.

Forse la più vulnerabile creatura che avessi mai visto non voleva sembrare debole. Un sogghigno mi scivolò tra le labbra.

Mi lanciò un altra occhiataccia.

“Bene,” disse Carlisle. “Tuo padre è in sala d'attesa, puoi farti riaccompagnare a casa. Se hai capogiri o problemi di vista, però, torna subito.”

Suo padre era lì? Vagai tra i pensieri della folla in attesa, ma non trovai la sottile voce della sua mentale prima che lei parlasse di nuovo, il suo viso ansioso.

“Posso andare a scuola?”

“Forse per oggi dovresti stare tranquilla,” suggerì Carlisle.

I suoi occhi guizzarono verso di me. “Lui invece può tornare?”

Comportarsi normalmente, calmare le cose... ignorare il modo in cui mi faceva sentire il suo sguardo nei miei occhi...

“Qualcuno dovrà pur diffondere la notizia che siamo sopravvissuti, no?” dissi.

“A dir la verità,” corresse Carlisle, “Sembra che metà dell'istituto sia in sala d'attesa.”

Anticipai la sua reazione questa volta, la sua avversione per l'attenzione. Non mi deluse.

“Oh, no,” si lamentò, e mise le mani sul suo viso.

Mi piaceva aver finalmente indovinato. Iniziavo a capirla...

“Vuoi restare?” chiese Carlisle.

“No, no,” disse velocemente, ruotando le gambe fuori dal letto e balzando in piedi sul pavimento. Inciampò, squilibrata, nelle braccia di Carlisle. Lui la catturò e la tenne ferma.

Di nuovo, l'invidia rifluì dentro di me.

“Sto bene,” disse prima che potesse commentare, un leggero rosa sulle guance.

Certo, non avrebbe disturbato Carlisle. La rimise in equilibrio, e poi abbassò le mani.

“Prendi dell'aspirina contro il dolore,” le diede istruzioni.

“Non fa così male.”

Carlisle sorrise mentre firmava le carte. “A quanto pare sei stata molto fortunata.”

Lei girò leggermente il viso per fissarmi con occhi decisi. “Fortunata perché Edward si trovava lì accanto a me.”

“Oh certo, sì,” concordò velocemente Carlisle, sentendo nella sua sua voce la stessa cosa che avevo sentito io. Non avevo tolto il sospetto dalla sua immaginazione. Non ancora.

Tutta tua, pensò Carlisle. Affrontala al meglio.

“Grazie mille,” sussurrai, veloce e silenzioso. Nessun umano mi sentì. Le labbra di Carlisle si piegarono in su per il mio sarcasmo mentre si girava verso Tyler. “Purtroppo, tu dovrai restare qui un po' più a lungo,” disse mentre iniziava a esaminare i tagli lasciati dai finestrini rotti.

Bene, avevo fatto io questo disastro, era pure giusto che fossi io a risolverlo.

Bella camminò di proposito verso di me, senza fermarsi finché non fu scomodamente vicina. Ricordai come avevo sperato, prima di tutta quella confusione, che si avvicinasse a me... Questo era come schernire quel desiderio.

“Hai un minuto? Ho bisogno di parlarti,” sibilò.

Il suo respiro caldo sfiorò il mio viso e barcollai un passo indietro. Il suo fascino non era diminuito. Ogni volta che mi era vicino, stimolava il peggio di me, tutti più urgenti istinti. Il veleno fluì nella mia bocca e il mio corpo desiderò attaccare, tirarla verso le mie braccia e schiacciare la sua gola tra i miei denti.

La mia mente era più forte del mio corpo.

“Tuo padre ti aspetta,” le ricordai, la mia mascella serrata.

Lanciò un sguardo verso Carlisle e Tyler. Tyler non ci stava prestando molta attenzione, ma Carlisle stava monitorando ogni mio respiro.

Attento, Edward.

“Vorrei parlare con te, da soli, se non è un problema,” insistette a voce bassa.

Volevo dirle che era un grande problema, ma sapevo che alla fine avrei dovuto farlo. Potevo al massimo temporeggiare.

Ero in pieno conflitto di emozioni mentre camminavo fuori la stanza, ascoltando i suoi passi incespicanti dietro di me, cercando di mantenerli.

Avevo uno spettacolo da preparare. Conoscevo la parte che avrei recitato, ero il personaggio più basso: sarei stato il mascalzone. Avrei mentito e ridicolizzato e sarei stato crudele.

Andava contro i miei impulsi migliori, gli impulsi umani che a cui mi ero aggrappato in tutti questi anni. Non avevo mai voluto meritare fiducia prima di questo momento, in cui avrei dovuto distruggere ogni possibilità.

Era anche peggio sapere che questo sarebbe stato l'ultimo ricordo che lei avrebbe avuto di me. Era la mia scena d'addio.

Mi girai verso di lei.

“Cosa vuoi?” le chiesi freddamente.

Si ritirò leggermente alla vista della mia ostilità. I suoi occhi si accesero di confusione, l'espressione che mi aveva dato la caccia...

“Mi devi una spiegazione,” disse con voce piccola; il suo volto d'avorio s'impallidì.

Era davvero difficile mantenere la mia voce rauca. “Ti ho salvato la vita, non ti devo niente.”

Indietreggiò, vedere quanto le mie parola l'avessero ferita mi bruciò come un acido.

“L'hai promesso,” sussurrò.

“Bella, hai battuto la testa, non sai quello che dici.”

Sporse il mento. “La mia testa non ha un graffio.”

Era arrabbiata adesso, e questo lo rese più facile. Incontrai il suo sguardo, rendendo il mio viso ancora meno amichevole.

“Cosa vuoi da me, Bella?”

“Voglio la verità. Voglio sapere perché ti sto coprendo.”

Ciò che voleva era chiaro, mi frustrò doverglielo negare.

“Secondo te, cosa è successo?” quasi le ringhiai.

Le sue parole si riversarono come un torrente. “Quello che so è che eri tutt'altro che vicino a me. Neanche Tyler ti ha visto, perciò non dirmi che ho battuto la testa. Quel furgoncino stava per schiacciarci entrambi, invece non l'ha fatto, e con le mani hai lasciato un'ammaccatura sulla fiancata sinistra, e hai lasciato un bozzo anche sull'altra auto, senza farti niente, e il furgone stava per spaccarmi le gambe, ma lo hai alzato e trattenuto...” Improvvisamente, strinse i denti e i suoi occhi brillarono di lacrime trattenute.

La fissai, la mia espressione beffarda, sebbene quello che davvero sentivo era sgomento; aveva visto tutto.

“Pensi che abbia sollevato un furgoncino per salvarti?” chiesi con sarcasmo.

Rispose con un rigido cenno.

Lo scherno crebbe nella mia voce. “Non ci crederà nessuno, lo sai.”

Fece uno sforzo per controllare la sua rabbia. Quando mi rispose, pronunciò ogni parola con lenta cautela. “Non lo dirò a nessuno.”

Lo avrebbe fatto, potevo vederlo nei suoi occhi. Anche furiosa e tradita, avrebbe mantenuto il segreto.

Perché?

Lo shock rovinò per mezzo secondo la mia espressione, e poi mi ripresi.

“E allora, che importa?” chiesi, concentrato a mantenere la mia voce severa.

“Importa a me,” disse intensamente. “Non mi piace mentire, perciò se lo faccio, dev'esserci un buon motivo.”

Mi stava chiedendo di fidarmi di lei. Proprio come io volevo che lei si fidasse di me. Ma era un confine che non avrei attraversato.

Il mio tono rimase duro. “Non puoi limitarti a ringraziarmi e lasciar perdere?”

“Grazie,” disse, e poi si adirò calma, in attesa.

“Immagino che non intendi lasciar perdere.”

“No.”

“In tal caso... “ Non avrei potuto dirle la verità anche se avessi voluto... e non lo volevo. Avrei preferito che si accontentasse della propria storia piuttosto che sapere chi fossi, perché niente sarebbe stato peggio della verità; ero un incubo vivente, uscito dritto dalle pagine di un romanzo dell'orrore. “Spero che tu sopporti di buon grado la delusione.”

Ci guardammo in cagnesco. Era strano come fosse affettuosa la sua rabbia. Come un gattino furioso, dolce e innocuo, e così inconsapevole della propria vulnerabilità.

Arrossì e strinse di nuovo i denti. “Perché ti sei preso il disturbo di salvarmi?”

La sua domanda non era quella a cui mi ero preparato di rispondere. Persi il contatto con il ruolo che stavo recitando. Sentii la maschera scivolare dal mio viso, e le dissi, quest'unica volta, la verità.

“Non lo so.”

Memorizzai il suo viso per l'ultima volta, era ancora arrabbiata, il sangue non svaniva dalle sue guance, mi voltai e mi allontanai da lei.

4. Visioni

Tornai a scuola. Era la cosa giusta da fare, il modo meno appariscente di comportarsi.

Verso la fine della giornata, anche quasi tutti gli studenti tornarono a lezione. Soltanto Tyler e Bella e pochi altri, che probabilmente usavano la scusa dell'incidente per marinare, rimasero assenti.

Non sarebbe stato così difficile per me fare la cosa giusta. Ma, tutto il pomeriggio, strinsi i denti contro l'urgenza che mi faceva desiderare di saltare le lezioni, in fila per trovare di nuovo la ragazza.

Come un cacciatore. Un ossessivo cacciatore. Un ossessivo, cacciatore vampiro.

Oggi la scuola era, per qualche impossibile motivo, ancora più noiosa di una settimana fa. Come un coma. Era come se il colore dei mattoni, degli alberi, del cielo, dei volti intorno a me si fosse logorato... Fissai le crepe del muro.

C'era un'altra cosa giusta che avrei dovuto fare... che non avrei fatto. Certo, era anche una cosa sbagliata. Tutto dipendeva dalla prospettiva con cui la guardavi.

Dalla prospettiva dei Cullen, non di un vampiro, ma di un Cullen, qualcuno che appartiene ad una famiglia, una situazione rara nel nostro mondo, la cosa giusta da fare sarebbe andata più o meno in questo modo:

“Sono sorpreso di vederti a lezione, Edward. Ho sentito che sei stato coinvolto in un incidente questa mattina.”

“Si, Mr. Banner, ma sono stato fortunato.” Un sorriso amichevole. “Non mi sono fatto nulla... spero di poter dire lo stesso per Tyler e Bella.”

“Come stanno?”

“Penso che Tyler stia bene... soltanto qualche ferita superficiale per i finestrini rotti. Non sono sicuro di Bella, comunque.” Un cipiglio preoccupato. “Ha avuto una commozione. Ho sentito che è stata un po' incoerente, vedeva persino cose. So che i dottori erano preoccupati...”

Sarebbe dovuto andare così. Lo dovevo alla mia famiglia.

“Sono sorpreso di vederti a lezione, Edward. Ho sentito che sei stato coinvolto in un incidente questa mattina.”

“Non mi sono ferito.” Nessun sorriso.

Mr. Banner spostò il peso da un piede all'altro, a disagio.

“Sai qualcosa di Tyler e Bella? Ho sentito che hanno avuto danni...”

Scrollai le spalle. “Non saprei.”

Mr. Banner si schiarì la gola. “Ehm, bene... “disse, il mio freddo sguardo rese la sua voce un po' tesa.

Camminò velocemente indietro di fronte la classe e iniziò la sua lettura.

Era la cosa sbagliata da fare. A meno che non la guardassi da un più ermetico punto di vista.

Sembrava così... così poco cavalleresco denigrare la ragazza dietro le spalle, soprattutto quando stava provando più fedeltà di quanto avrei potuto immaginare. Non aveva detto nulla per tradirmi, malgrado non avesse ragioni per farlo. L'avrei tradita io quando non aveva fatto altro che mantenere il segreto?

Ebbi un identica conversazione da vicino con Mrs Goff, solo che era in spagnolo invece che in inglese, ed Emmett mi lanciò una lunga occhiata.

Spero avrai una buona spiegazione per quello che è successo oggi. Rose è sul piede di guerra.

Ruotai gli occhi senza guardalo.

In realtà ero venuto fuori con una spiegazione che suonava perfettamente. Soltanto supponendo che non avessi fatto niente per fermare il furgone dallo schiacciare la ragazza... Sobbalzai a quel pensiero. Ma se lei fosse stata colpita, se fosse stata straziata e sanguinante, il liquido rosso si sarebbe sparso, riversandosi sulla strada, l'odore del sangue fresco pulsante nell'aria...

Rabbrividii di nuovo, ma non di orrore. Una parte di me tremò dal desiderio. No, non sarei stato capace di guardarla sanguinare senza mostrarci in un modo ancora più evidente e scandaloso.

Suonava perfetta come scusa... ma non l'avrei usata. Era troppo vergognosa.

E comunque ci avevo pensato solo dopo l'accaduto.

Attento a Jasper, continuò Emmett, dimentico della mia fantasticheria. Non è arrabbiato... ma è molto più risoluto.

Sapevo cosa significasse, e per un momento la stanza s'inondò attorno a me. La mia rabbia era così devastante che un annebbiante rosso mi offuscò la vista. Pensai che sarei soffocato.

SHHHH, EDWARD! CONTROLLATI! Gridò Emmett nella sua mente. La sua mano si poggiò sulle mie spalle, trattenendomi sul posto prima che potessi saltare in piedi. Raramente usava la sua piena forza, era un bisogno raro, era molto più forte di qualsiasi vampiro avessimo incontrato, ma adesso la usò. Strinse il mio braccio, invece di spingermi giù. Se avesse premuto la sedia sotto di me sarebbe andata distrutta.

CALMO! Ordinò.

Cercai di calmarmi, ma era difficile. La rabbia bruciava nella mia mente.

Jasper non farà nulla finché non parleremo. Volevo solo sapessi quale direzione guiderà.

Mi concentrai per rilassarmi, e sentii la mano di Emmett rallentare.

Cerca di non dare più spettacolo. Sei già abbastanza nei guai.

Feci un respiro profondo e Emmett mi lasciò.

Mi guardai intorno la stanza in modo abituale, ma il nostro confronto era stato così breve e silenzioso che solo poche persone sedute accanto ad Emmett l'avevano notato. Nessuno di loro sapeva cosa fare, e lasciarono correre. I Cullen erano bizzarri, lo sapevano già tutti.

Dannazione, ragazzo, sei un combina guai. Disse Emmett, la simpatia nel suo tono.

“Mordimi,” mormorai sotto il mio respiro, e sentii la sua bassa risatina.

Emmett non portava rancore, e probabilmente avrei dovuto essere molto più grato per la sua natura cordiale. Ma potevo vedere come le intenzioni di Jasper avessero senso per Emmett, come stesse considerando il modo migliore di comportarsi.

La rabbia ribollì, appena sotto controllo. Sì, Emmett era più forte, ma doveva ancora battermi in un incontro di lotta. Dichiarava che era così perché imbrogliavo, ma sentire i pensieri era parte di me come la sua immensa forza era parte di lui. Avremmo regolarmente combattuto.

Una lotta? Era questo quello che stavano guidando? Mi sarei battuto con la mia famiglia per un'umana che conoscevo a mala pena?

Ci pensai per un momento, pensai alla fragile sensazione del corpo della ragazza tra mie braccia in contrapposizione a Jasper, Rose ed Emmett, forti e veloci, macchine assassine sovrannaturali...

Sì, avrei combattuto per lei. Contro la mia famiglia. Rabbrividii.

Ma non era giusto lasciarla indifesa quando ero stato io a metterla in pericolo.

Non avrei potuto vincere da solo, comunque, non contro loro tre, e pensai a chi potessero essere i miei alleati.

Carlisle, ovvio. Non avrebbe combattuto nessuno, ma sarebbe stato completamente contro i progetti di Rose e Jasper. Quello doveva essere ciò di cui avevo bisogno. Avrei visto...

Esme, senza dubbio. Non si sarebbe affiancata contro di me, e avrebbe odiato essere in disaccordo con Carlisle, ma avrebbe pianificato qualcosa per mantenere la famiglia intatta. La sua prima priorità non sarebbe stata l'onestà, ma io. Se Carlisle era l'anima della nostra famiglia, Esme ne era il cuore. Lui ci aveva dato un capo che meritava di essere seguito, lei aveva trasformato quel sentimento in amore. Ci amavamo gli uni con gli altri, anche oltre la furia che sentivo verso Jasper e Rose adesso, anche programmando di combattere contro di loro per salvare la ragazza, sapevo che li amavo.

Alice... non avevo idea. Probabilmente dipendeva da cosa avrebbe visto. Avrebbe accompagnato i vincitori, suppongo.

Così, avrei dovuto farlo senza aiuto. Non li avrei pareggiati da solo, ma non avevo intenzione di lasciare che la ragazza si ferisse a causa mia. Poteva significare un'azione evasiva...

La mia rabbia s'incupì un po' con un improvviso e nero umorismo. Potevo immaginare come la ragazza avrebbe agito al rapimento. Certo, raramente azzeccavo le sue reazioni, ma quale altra reazione avrebbe potuto avere se non di terrore?

Non ero sicuro di come gestire, comunque, il suo rapimento. Non sarei stato capace di starle vicino a lungo. Forse avrei dovuto spedirla indietro da sua madre. Anche quello sarebbe stato pieno di pericolo. Per lei.

E anche per me, realizzai all'improvviso. Se l'avessi uccisa per sbaglio... Non ero esattamente certo di quanto dolore mi avrebbe causato, ma sapevo sarebbe stato sfaccettato e intenso.

Il tempo passò velocemente mentre rimuginavo su tutte le complicazioni davanti a me: la litigata che mi aspettava a casa, il conflitto con la mia famiglia, la distanza che ero forzato a mettere...

Bene, non potevo più lamentarmi che la vita fuori scuola fosse monotona. La ragazza aveva cambiato troppo.

Emmett ed io camminammo silenziosamente verso la macchina quando la campanella suonò. Era preoccupato per di me, e preoccupato per Rosalie. Sapeva che parte avrebbe dovuto scegliere in un litigio, e questo lo disturbava.

Gli altri ci stavano aspettando in macchina, anche loro in silenzio. Eravamo un gruppo molto silenzioso. Solo io potevo sentire le grida.

Idiota! Lunatico! Imbecille! Stupido! Egoista, pazzo irresponsabile! Rosalie mantenne un costante flusso di insulti al massimo dei suoi polmoni mentali. Rendeva difficile sentire gli altri, ma la ignorai meglio che potei.

Emmett aveva ragione su Jasper. Era sicuro della sua strada.

Alice era inquieta, preoccupandosi per Jasper, saltellando attraverso le immagini del futuro. Non importava che direzione prendeva Jasper per arrivare alla ragazza, Alice mi vedeva sempre lì, a bloccarlo. Interessante... neanche Rosalie o Emmett erano con lui in quelle visioni. Così Jasper programmava di lavorare da solo. Questo avrebbe sistemato le cose.

Jasper era il migliore, certamente il combattente più esperto tra di noi. Il mio unico vantaggio consisteva nel fatto che potevo sentire i suoi movimenti prima che li facesse.

Non avevo mai combattuto tranne che in modo giocoso con Emmett o Jasper, solo scherzandoci. Mi sentivo male al pensiero di provare a ferire Jasper...

No, non quello. Soltanto bloccarlo. Solo questo.

Mi concentrai su Alice, memorizzando i diversi modi di attaccare di Jasper.

Mentre lo facevo, le sue visioni cambiarono, muovendosi più in là di casa Swan. Lo avrei bloccato ancora prima...

Smettila, Edward! Non succederà! Non lascerò che accada.

Non le risposi, rimasi soltanto a guardare.

Iniziò a cercare più avanti, dentro i confusi e insicuri regni delle possibilità. Ogni cosa era in ombra e vaga.

Per l'intera strada verso casa, il silenzio d'accusa non si sollevò. Parcheggiai nel grande garage fuori casa; la Mercedes di Carlisle era lì, vicino l'enorme jeep di Emmett, l'M3 di Rose e la mia Vanquish. Ero contento che Carlisle fosse già a casa, questo silenzio sarebbe esploso, e volevo essere vicino a lui quando fosse successo.

Andammo dritti verso la sala da pranzo.

La stanza, ovvio, non era mai usata per il suo scopo. Ma era fornita di un lungo tavolo ovale in mogano circondato da sedie, eravamo scrupolosi ad avere tutti i fabbisogni al posto giusto. A Carlisle piaceva usarlo come stanza delle riunioni. In un gruppo con così forti e disparate personalità, qualche volta era necessario discutere con calma, seduti.

Ebbi la sensazione che il sedersi non avrebbe aiutato oggi.

Carlisle era seduto al solito posto, a capotavola nella parte orientale della stanza. Esme era accanto a lui, tenevano le mani sul tavolo.

Gli occhi di Esme erano su di me, l'oro profondo pieno di preoccupazione.

Resta. Era il suo unico pensiero.

Sperai di poter sorridere a quella donna che era sinceramente come una madre per me, ma non avevo rassicurazione da darle adesso.

Mi accomodai dall'altro lato di Carlisle. Esme si allungò su di lui per mettermi una mano sulla spalla. Non aveva idea di cosa stava per iniziare; era solo preoccupata per me.

Carlisle aveva un presentimento migliore di ciò che stava per accadere. Le sue labbra erano premute strette e la sua fronte increspata. L'espressione sembrava troppo vecchia per il suo giovare viso.

Mentre tutti si sedevano, riuscii a vedere la linea contrarsi.

Rosalie si accomodò direttamente dall'altra parte di Carlisle, all'estremità opposta del lungo tavolo. Mi fissò, senza distogliere lo sguardo.

Emmett si sistemò accanto a lei, il suo volto e i suoi pensieri entrambi cauti.

Jasper esitò, e poi rimase in piedi contro il muro dietro Rosalie. Lui aveva deciso, nonostante il risultato di questa discussione. I miei denti si strinsero.

Alice fu l'ultima ad entrare, e i suoi occhi si concentrarono su un punto lontano, il futuro, ancora troppo indistinto per abituarsi. Senza pensarci, si sedette accanto ad Esme. Si sfregò la fronte come avesse mal di testa. Jasper si contorse a disagio e pensò di unirsi, ma rimase al suo posto.

Feci un respiro profondo. Avevo iniziato io questa cosa, avrei dovuto parlare io per primo.

“Mi dispiace,” dissi, guardando prima Rose, poi Jasper e infine Emmett. “Non volevo mettervi in pericolo. E' stato avventato, e mi prendo la piena responsabilità delle mie azioni affrettate .”

Rosalie mi fissò in modo funesto. “Cosa intendi con 'mi prendo la piena responsabilità'? Le aggiusterai?”

“Non nel modo in cui intendi,” dissi, lavorando per mantenere la mia voce calma e tranquilla. “Partirò adesso, se è necessario.” Se credo che la ragazza sarà salva, se penso che nessuno la toccherà, mi corressi nella mia mente.

“No,” mormorò Esme. “No, Edward.”

Le diedi un buffetto sulla mano. “Sarà solo per pochi anni.”

“Esme ha ragione, comunque,” disse Emmett. “Non puoi andare da nessuna parte. Non sarebbe di grande aiuto. Dobbiamo sapere che cosa stanno pensando le persone, ora più di prima.”

“Alice lo scoprirà in prima linea,” dissentii.

Carlisle scosse la testa. “Penso che Emmett abbia ragione, Edward. La ragazza probabilmente parlerebbe se tu sparissi. Partiremo tutti, o nessuno.”

“Lei non dirà nulla,” insistetti velocemente. Rose stava costruendo l'esplosione, e volevo che questo fatto uscisse prima.

“Non conosci i suoi pensieri,” mi ricordò Carlisle.

“Lo so già. Alice, appoggiami.”

Alice mi fissò stancamente. “Non posso vedere cosa accadrà se solo lo superassimo.” Lanciò un'occhiata a Rose e Jasper.

No, non poteva vedere quel futuro, non quando Rosalie e Jasper erano così decisi a non ignorare l'incidente.

Il palmo di Rosalie sbatté contro il tavolo con un forte bang. “Non possiamo concedere ad un'umana la possibilità di dire qualcosa. Carlisle, devi capirlo. Anche se decidessimo di sparire, non sarebbe prudente lasciare vicende dietro di noi. Viviamo in modo differente rispetto al resto della nostra specie, sai che ci sono quelli a cui piacerebbe avere la scusa per puntare il dito. Dobbiamo essere più attenti di chiunque altro!”

“Abbiamo lasciato chiacchiere dietro di noi prima d'ora,” le ricordai.

“Solo chiacchiere e sospetti, Edward. Non testimoni e prove!”

“Prove!” sbottai.

Ma Jasper stava annuendo, i suoi occhi aspri.

“Rose...” iniziò Carlisle.

“Lasciami finire, Carlisle. Non deve essere una grande esibizione. Oggi la ragazza ha battuto la testa. Così forse il danno potrebbe diventare più serio di quello che sembra.” Rosalie alzò le spalle. “Ogni mortale va a dormire con la possibilità di non risvegliarsi. Gli altri si aspetterebbero che ripulissimo da soli. Tecnicamente, dovrebbe essere compito di Edward, ma è chiaramente al di là delle sue possibilità. Lo sai che io sono capace di controllarmi. Non lascerò nessuna prova dietro di me.”

“Sì, Rosalie, tutti noi sappiamo quanto sei abile come assassina,” ringhiai.

Lei sibilò verso di me, furiosa.

“Per favore, Edward,” disse Carlisle. Allora si girò verso Rosalie. “Rosalie, ho guardato dall'altra parte a Rochester perché sentivo che dovevi avere giustizia. L'uomo che hai ucciso aveva mostruosamente sbagliato. Questa non è la stessa situazione. La ragazza Swan è innocente.”

“Non è niente di personale, Carlisle,” disse Rosalie tra i denti. “E' per proteggerci tutti.”

Ci fu un breve momento di silenzio mentre Carlisle pensava la sua risposta. Quando annuì, gli occhi di Rosalie s'illuminarono. Anche se non fossi stato capace di leggere i suoi pensieri, avrei potuto anticipare le sue prossime parole. Carlisle non si comprometteva.

“So cosa vuoi dire, Rosalie, ma... vorrei che la nostra famiglia fosse protetta in modo degno. L'occasionale... incidente o la mancanza di controllo è una spiacevole parte di quello che siamo.” Era tipico di lui includersi nel plurale, sebbene non avesse mai avuto tale mancanza. “Assassinare a sangue freddo una bambina senza colpa è completamente un'altra cosa. Credo che il rischio che rappresenta, parlare o meno dei suoi sospetti, non è niente in confronto al rischio più grande. Mettiamo a repentaglio l'essenza di quello che siamo.”

Controllai la mia espressione con molta attenzione. Non avrebbe aiutato un sorriso. O un applauso, come speravo di poter fare.

Rosalie si accigliò. “Sarebbe essere responsabili.”

“Sarebbe essere insensibili,” la corresse gentilmente Carlisle. “Ogni vita è preziosa.”

Rosalie sospirò pesantemente e sporse il labbro inferiore. Emmett le diede un colpetto sulla spalla. “Andrà tutto bene, Rose,” la incoraggiò a bassa voce.

“La domanda,” continuò Carlisle, “è se dovremmo partire.”

“No,” si lamentò Rosalie. “Ci siamo appena sistemati. Non voglio ricominciare di nuovo da allieva di scuola superiore!”

“Potresti mantenere la tua attuale età, ovviamente,” disse Carlisle.

“E trasferirci di nuovo presto?” contraddisse.

Carlisle scrollò le spalle.

“Mi piace qui! C'è poco sole, e stavamo diventando quasi normali!”

“Bene, non dobbiamo certo decidere adesso. Possiamo aspettare e vedere se diventerà necessario. Edward sembra certo del silenzio della Swan.”

Rosalie sbuffò.

Ma non ero preoccupato di Rosalie. Potevo vedere che avrebbe seguito la decisione di Carlisle, non importava quanto fosse infuriata con me. La loro conversazione aveva tralasciato un importante dettaglio.

Jasper rimase immobile.

Capii il perché. Prima che lui e Alice si fossero incontrati, aveva vissuto in una zona di battaglia, un implacabile teatro di guerra. Conosceva le conseguenze del non rispettare le regole, aveva visto l'orribile conclusione con i suoi occhi.

La diceva lunga il fatto che non avesse cercato di calmare Rosalie con le sue abilità extra, neanche adesso cercava di intorpidirla. Si stava tenendo a distanza da questa discussione, al di sopra.

“Jasper,” dissi.

Incontrò il mio sguardo, il suo viso inespressivo.

“Non pagherà per un mio errore. Non lo permetterò.”

“Se ne avvantaggerà allora? Oggi sarebbe dovuta morire, Edward. Sistemerei soltanto ciò che è giusto.”

Mi ripetei, enfatizzando ogni parola. “Non lo permetterò.”

Le sue sopracciglia si serrarono. Non se lo stava aspettando, non aveva immaginato che lo avrei fermato.

Scosse una volta la testa. “Non lascerò Alice vivere in pericolo, anche nel più leggero. Tu non provi per nessuno quello che provo io per lei, Edward, e non hai vissuto attraverso quello che ho vissuto io, anche vedendo o meno i miei ricordi. Tu non capisci.”

“Non sto contestando questo, Jasper. Ma ti sto dicendo adesso, che non ti permetterò di far del male ad Isabella Swan.”

Ci fissammo, senza ferocia, ma misurando la resistenza. Lo sentii saggiare l'umore attorno a me, testando la mia determinazione.

“Jazz,” disse Alice, interrompendoci.

Lui trattenne il mio sguardo per un altro po', poi la guardò. “Non ti sprecate a dirmi che puoi proteggere te stessa, Alice. Lo so già. Ho ancora...”

“Non era quello che stavo dicendo,” lo interruppe Alice. “Ti stavo chiedendo un favore.”

Vidi cos'era nella sua mente, e la mia bocca si aprì con un udibile rantolo. La fissai, scioccato, solo vagamente consapevole che tutti a parte Alice e Jasper mi stavano squadrando circospetti.

“So che mi ami. Grazie. Ma davvero apprezzerei se non cercassi di uccidere Bella. Prima di tutto, Edward è serio e non voglio che voi due vi battiate. Secondo, è mia amica. Almeno, lo diventerà.”

Era chiaro come uno specchio nella sua mente: Alice, sorridente, con il suo bianco e freddo braccio attorno la spalla calda e fragile dell'umana. E anche Bella stava sorridendo, il suo braccio attorno la vita di Alice.

La visione era solida come una roccia; solo il tempo era insicuro.

“Ma... Alice...” ansimò Jasper. Non riuscii a concentrarmi per girare la testa e vedere la sua espressione. Non riuscii a strappare me stesso dall'immagine nella mente di Alice per sentirlo.

“Le vorrò bene un giorno, Jazz. Romperò con te se non la lascerai stare.”

Ero ancora bloccato nei pensieri di Alice. Avevo visto il futuro scintillare mentre la risoluzione di Jasper svaniva per la sua inaspettata richiesta.

“Ah,” sospirò, la sua indecisione aveva chiarito un nuovo futuro. “Vedi? Bella non dirà nulla. Non c'è niente di cui preoccuparsi.”

Il modo in cui disse il nome della ragazza... era come fossero già intime...

“Alice,” soffocai. “Cosa...era...?”

“Te l'avevo detto che stava arrivando un cambiamento. Non lo so, Edward.” Ma bloccò la sua mascella, e potei vedere che c'era dell'altro. Stava cercando di non pensarci; all'improvviso si stava concentrando intensamente su Jasper, sebbene lui fosse troppo stupito per aver migliorato la sua decisione.

Lo faceva ogni volta che voleva nascondermi qualcosa.

“Cosa, Alice? Cosa stai nascondendo?”

Sentii Emmett borbottare. Si sentiva sempre frustrato quando io ed Alice avevamo questo tipo di conversazioni.

Lei scosse la testa, cercando di non lasciarmi vedere.

“E' a proposito della ragazza?” Domandai. “E' a proposito di Bella?”

Aveva i denti serrati per la concentrazione, ma quando pronunciai il nome di Bella, fallì. Fallì per un piccolissima porzione di secondo, ma fu abbastanza.

“NO!” gridai. Sentii la mia sedia colpire il pavimento, e solo allora realizzai che ero in piedi.

“Edward!” anche Carlisle si alzò, il suo braccio sulla mia spalla. Ero a malapena consapevole di lui.

“Si sta solidificando,” sussurrò Alice. “Ogni minuto sei molto più deciso. Sono rimasti solo due possibilità per lei. E' l'una o l'altra, Edward.”

Potevo vedere quello che vedeva... ma non potevo accettarlo.

“No,” dissi di nuovo; non c'era volume nel mio rifiuto. Le mie gambe s'infossarono, e dovetti sostenermi al tavolo.

“Qualcuno per favore può spiegarci il mistero?” si lamentò Emmett.

“Devo partire,” sussurrai ad Alice, ignorandolo.

“Edward, ne abbiamo già discusso,” disse ad alta voce Emmett, “Sarebbe il modo migliore di far parlare la ragazza. Inoltre, se te la svigni, non sapremmo per certo se lei abbia parlato o meno. Devi restare e affrontarlo con noi.”

“Non ti vedo andare da nessuna parte, Edward.” mi disse Alice. “Non so se ormai tu possa partire.” Pensaci, aggiunse silenziosamente. Pensa al partire.

Capii cosa intendeva. Sì, l'idea di non rivedere mai più la ragazza era... doloroso. Ma era anche necessario. Non avrei potuto sanzionare il futuro a cui l'avevo condannata.

Non sono proprio sicura di Jasper, Edward, continuò Alice. Se parti, se pensasse che lei sia un pericolo per noi...

“Non lo sento,” la contraddissi, a mala pena consapevole del nostro pubblico. Jasper si stava agitando. Non avrebbe fatto nulla che avesse potuto ferire Alice.

Non in questo momento. Rischieresti la sua vita, lasciandola indifesa?

“Perché mi stai facendo questo?” gemetti. Con la testa tra le mani.

Non ero il protettore di Bella. Non avrei potuto esserlo. Il futuro diviso di Alice non ne era abbastanza prova?

Anch'io le voglio bene. O le vorrò. Non è lo stesso, ma la voglio vicino.

“Anche?” sussurrai, incredulo.

Sospirò. Sei così cieco, Edward. Non riesci a vedere dove sei diretto? Non riesci a vedere dove sei già arrivato? E' molto più inevitabile del sole che sorge ad est. Vedi quello che vedo io...

Scossi la testa, terrificato. “No.” Cercai di scacciare le visioni che mi rivelava. “Non devo seguire quel corso. Partirò. Cambierò il futuro.”

“Puoi provarci,” disse, la sua voce scettica.

“Oh, andiamo!” urlò Emmett.

“Presta attenzione,” gli sibilò Rose. “Alice lo vede innamorarsi di un'umana! Com'è classico di Edward!” fece un suono strozzato.

La sentii a stento.

“Cosa?” disse Emmett, sorpreso. La sua risata rimbombò attraverso i muri. “E' questo che accadrà?” Rise di nuovo. “Difficile inizio, Edward.”

Avvertii la sua mano sulla mia spalla, e la scossi assente. Non riuscivo a prestargli attenzione.

“Innamorarsi di un'umana?” ripeté Esme con tono sbalordito. “Della ragazza che hai salvato oggi? T'innamorerai di lei?”

“Cosa vedi, Alice? Esattamente,” domandò Jasper.

Lei si girò verso di lui; continuai a fissare intorpidito una parte del suo viso.

“Tutto dipende dal fatto che sia forte o meno. O la ucciderà” si girò ad incontrare il mio sguardo, fissandomi ferocemente, “il che mi irriterà molto, Edward, per non menzionare cosa succederà a te...” si voltò di nuovo verso Jasper, “oppure sarà una di noi un giorno.”

Qualcuno ansimò; non guardai per vedere chi.

“Questo non accadrà!” stavo gridando di nuovo. “Nessuno dei due!”

Alice sembrò non sentirmi. “Dipende,” ripeté. “Potrebbe essere abbastanza forte da non ucciderla, ma ci andrà vicino. Servirà una sconcertante quantità di controllo,” meditò. “Molto più di Carlisle. Potrebbe essere già abbastanza forte... L'unica cosa in cui non è molto forte è quella di stare lontano da lei. E' una causa persa.”

Non riuscii a trovare la mia voce. Nessun altro sembrò poterlo fare. La stanza era in silenzio.

Fissai Alice, e tutti fissarono me. Potevo vedere la mia espressione inorridita da cinque punti di vista diversi.

Dopo un lungo momento, Carlisle sospirò.

“Bene, questo... complica le cose.”

“Sono d'accordo,” lo appoggiò Emmett. La sua voce era ancora vicina alla risata. Confidavo che Emmett avrebbe trovare lo scherzo nella distruzione della mia vita.

“Suppongo che i piani rimangano gli stessi, comunque,” disse Carlisle pensieroso. “Rimarremo, e guarderemo. Ovviamente, nessuno... farà del male alla ragazza.”

M'irrigidii.

“No,” disse calmo Jasper. “Non sono d'accordo. Se Alice vede solo due strade...”

“No!” La mia voce non era un grido né un ringhio né un lamento, ma una combinazione dei tre. “No!”

Dovevo andare via, allontanarmi dal rumore dei loro pensieri, il corretto disgusto di Rosalie, l'umorismo di Emmett, l'infinita pazienza di Carlisle...

Peggio: la sicurezza di Alice. La fiducia di Jasper in quella sicurezza.

Peggio di tutti: la gioia... di Esme.

Mi avviai fuori dalla stanza. Esme toccò il mio braccio mentre passavo, ma non ringraziai per il gesto.

Stavo correndo prima di essere fuori. Oltrepassai il fiume con un solo salto, e corsi per la foresta. Era ritornata la pioggia, cadeva così pesantemente che m'inzuppai in un baleno. Mi piaceva il denso foglio di acqua, metteva un muro tra me e il resto del mondo. Mi chiudeva, isolandomi.

Corsi verso est, sopra e attraverso le montagne senza interrompere la mia corsa rettilinea, fino a che potei vedere le luci di Seattle dall'altra parte. Mi fermai prima di toccare i confini della città.

Serrato dalla pioggia, tutto solo, finalmente guardai a ciò che avevo fatto, al modo in cui avevo troncato il futuro.

Primo, la visione di Alice e di quella ragazza con le braccia attorno, l'immagine urlava la verità della loro amicizia in modo evidente. Gli spalancati occhi color cioccolato di Bella non erano confusi in questa visione, ma pieni di segreti, in questo momento sembravano essere segreti felici. Non indietreggiava dal braccio freddo di Alice.

Cosa significava? Quanto sapeva? In quel silenzioso momento del futuro, cosa pensava di me?

L'altra strana immagine, molto simile, era adesso colorata dall'orrore. Alice e Bella, le loro braccia ancora avvolte l'uno contro l'altra in una sincera amicizia. Ma adesso non vi era differenza tra loro, entrambe erano bianche, lisce come il marmo, dure come l'acciaio. Gli occhi spalancati di Bella non erano più cioccolato. Le iridi erano di uno scioccante, vivido cremisi. Il segreto dentro di essi era impenetrabile, accettazione o desolazione? Era impossibile da dire. Il suo viso era freddo e immortale.

Rabbrividii. Non riuscii a rimuovere la domanda, simile ma differente: Cosa voleva significare, come era successo? E cosa pensava ora di me?

Potei rispondere a quest'ultima. Se l'avessi forzata in questa vuota mezza vita a causa della mia debolezza e del mio egoismo, sicuramente mi avrebbe odiato.

Ma vi era un'altra terrificante immagine, peggiore di qualsiasi altra immagine nella mia mente.

I miei occhi, di un rosso profondo per il sangue umano, gli occhi di un mostro. Il corpo straziato di Bella tra le mie braccia, bianco cenere, arido, senza vita. Era così reale, così chiaro.

Non riuscii a reggerlo. Non potei sopportarlo. Cercai di scacciarlo dalla mia mente, provando a vedere altro, qualsiasi altra cosa. Tentando di vedere di nuovo l'espressione del suo viso in vita che avevo ostacolato la mia vista per l'ultimo capitolo della mia esistenza. Non servì a molto.

Le deprimenti immagini di Alice riempirono la mia testa, e mi contorsi internamente per l'agonia che causarono. Nel frattempo, il mostro dentro di me stava traboccando di gioia, esultante alla probabilità del suo successo. Mi disgustò.

Ciò non poteva essere permesso. C'era modo per eludere il futuro. Non avrei concesso alle visioni di Alice di guidarmi. Avrei scelto un sentiero diverso. C'era sempre una scelta.

Ci doveva essere.

5. Inviti

Scuola superiore. Non più un purgatorio, era puramente un inferno. Tormento e fuoco... sì, avevo entrambi.

Adesso stavo facendo tutto correttamente. Ogni puntino sulle i, e ogni stanghetta sulle t. Nessuno avrebbe potuto lamentarsi che mi stessi sottraendo dalle mie responsabilità.

Per accontentare Esme e proteggere gli altri, rimasi a Forks. Ritornai al mio vecchio programma. Non andai più a caccia di quanto facessero gli altri. Ogni giorno, frequentavo la scuola e mi comportavo da umano. Ogni giorno, ascoltavo attentamente ogni cosa a proposito dei Cullen, non ci fu mai niente di nuovo. La ragazza non confidò a nessuno i suoi sospetti. Ripeté soltanto sempre la stessa storia ancora e ancora, ero accanto a lei e l'avevo spinta via, fino a che i suoi entusiasti ascoltatori si annoiarono e smisero di chiedere altri dettagli. Non c'era pericolo. La mia azione affrettata non aveva ferito nessuno.

Nessuno tranne me stesso.

Ero determinato a cambiare il futuro. Non era il compito più facile da intraprendere, ma non c'era altra scelta con cui avrei potuto vivere.

Alice aveva detto che non sarei stato abbastanza forte da stare lontano dalla ragazza. Glielo avrei provato.

Pensai che il primo giorno sarebbe stato il più difficile. Dopo la sua fine, fui sicuro che fosse archiviato. Mi ero sbagliato, dunque.

Faceva soffrire sapere che avrei ferito la ragazza. Mi ero rincuorato con il fatto che il suo dolore non sarebbe stato più di un puntura, solo una piccola puntura di rigetto, in confronto al mio. Bella era umana, e sapeva che io ero qualcos'altro, qualcosa di sbagliato, qualcosa di spaventoso. Probabilmente sarebbe stata molto più sollevata che ferita quando avrei voltato il mio viso dall'altra parte e avrei finto che non esistesse.

“Ciao, Edward,” mi salutò, di ritorno al primo giorno a biologia. La sua voce era piacevole, amichevole, a centottanta gradi dall'ultima volta che avevo parlato con lei.

Perché? Cosa significava il cambiamento? Aveva dimenticato? Aveva deciso di aver immaginato l'intero episodio? Probabilmente poteva aver dimenticato di non inseguirmi con la promessa?

Le domande mi bruciavano come ad ogni attacco di sete quando respiravo.

Solo un momento per guardare nei suoi occhi. Solo per vedere se avrei potuto leggervi le risposte.

No. Non permisi a me stesso neanche quello. Non se avevo intenzione di cambiare il futuro.

Mossi il mio mento di un centimetro verso la sua direzione senza distogliere lo sguardo dalla porta della classe. Annuii una volta, e poi tornai il mio viso dritto.

Non parlò più con me.

Quel pomeriggio, appena fini la scuola, il mio ruolo recitato, corsi verso Seattle come avevo fatto il giorno prima. Sembrava che potevo leggermente sopportare il dolore quando volavo sul terreno, trasformando tutt'intorno a me in un verde sfocato.

Questa corsa divenne una mia abitudine giornaliera.

La amavo? Non credevo. Non ancora. Le momentanee visioni del futuro di Alice erano confuse, comunque, e potevo vedere come sarebbe stato facile innamorarmi di Bella. Sarebbe stato esattamente come cadere: senza sforzo. Non lasciare che mi innamorassi di lei era l'opposto di cadere, era come arrampicarmi sul versante di una collina, appiglio dopo appiglio, il compito era tanto faticoso come se non avessi avuto nient'altro che una forza mortale.

Era passato più di un mese, e ogni giorno era più difficile. Non aveva senso per me, continuai ad aspettare che finisse, che diventasse più semplice. Questo doveva essere ciò che voleva dire Alice quando aveva predetto che non sarei stato capace di stare lontano dalla ragazza. Aveva visto l'intensificarsi del dolore. Ma potevo sopportare il dolore.

Non avrei distrutto il futuro di Bella. Se ero destinato ad amarla, allora evitarla non era il minimo che potessi fare?

Evitarla era il limite di quello che potevo sopportare, comunque. Potevo fingere di ignorarla, e non rivolgerle mai uno sguardo. Potevo fingere che non mi fosse interessante. Ma questo era il massimo, solo finzioni e non realtà.

Mi attaccavo ad ogni respiro che prendeva, ad ogni parola che pronunciava.

Accumulai i miei tormenti in quattro categorie.

La prima era familiare. Il suo odore e il suo silenzio. O, piuttosto, prendendomi le responsabilità che mi appartenevano, la mia sete e la mia curiosità.

La sete era il principale tormento. Adesso era semplice abitudine non respirare per nulla a biologia. Certo, c'erano sempre le eccezioni, quando dovevo rispondere ad una domanda o qualcosa del genere, e avevo bisogno del mio respiro per parlare. Ogni volta che gustavo l'aria attorno a lei, era come il primo giorno, fuoco e bisogno e brutale violenta disperazione di liberarmi. In quei momenti era difficile appigliarsi leggermente alla ragione o al controllo. E, proprio come il primo giorno, il mostro dentro di me ruggiva, così vicino alla superficie...

La curiosità era il più costante dei tormenti. La domanda non si allontanava mai dalla mia mente: che cosa sta pensando adesso? Quando la sentivo sospirare silenziosamente. Quando assente si avvolgeva una ciocca di capelli tra le dita. Quando poggiava i suoi libri con più forza del solito. Quando correva in classe in ritardo. Quando batteva impaziente il piede contro il pavimento. Ogni movimento catturato dalla mia vista periferica era un folle mistero. Quando parlava con gli altri studenti, analizzavo ogni parola e tono. Stava parlando dei suoi pensieri, o di quello che pensava avrebbe dovuto dire? Spesso mi sembrava che cercasse di dire quello che il suo pubblico si aspettava, e questo mi ricordò la mia famiglia e la nostra giornaliera vita di illusioni, eravamo migliori di lei nel farlo. A meno che non mi stessi sbagliando, soltanto immaginando le cose. Perché avrebbe dovuto recitare una parte? Era una di loro, un'adolescente umana.

Mike Newton era uno dei tormenti più strani. Chi avrebbe mai sognato che un tanto banale, noioso mortale sarebbe stato così esasperante? Per essere corretto, avrei dovuto sentire un po' di gratitudine verso quell'irritante ragazzo; la faceva parlare molto più degli altri. Imparai tanto su di lei attraverso quelle conversazioni, stavo ancora compilando la mia lista, ma, contrariamente, l'assistenza di Mike a questo progetto mi scocciava. Non volevo che fosse Mike quello a svelare i suoi segreti, volevo farlo io.

Aiutò il fatto che non notava mai le sue piccole rivelazioni, gli errori delle sue labbra. Non sapeva niente di lei. Aveva creato una Bella nella sua mente che non esisteva, una ragazza banale come lui. Non aveva osservato l'altruismo e il coraggio che la distinguevano dagli altri umani, non aveva sentito l'anormale maturità dei suoi pensieri pronunciati. Non aveva percepito che quando parlava di sua madre, suonava come un genitore che parlasse dei figli e non il contrario, amorevole, indulgente, leggermente divertita, e intensamente protettiva. Non sentiva la pazienza nella sua voce quando fingeva interesse per sue divaganti storie, e non indovinava la sua gentilezza dietro quella pazienza.

Attraverso le sue conversazioni con Mike, ero capace di aggiungere le più importanti qualità alla mia lista, le più rivelanti, semplici come rare. Bella era buona. Tutte altre cose che si aggiungevano al totale, gentile e nessuna considerazione di se stessa e generosa e amorevole e coraggiosa.

Queste utili scoperte comunque non mi resero cordiale con il ragazzo. Il modo possessivo in cui vedeva Bella, come se fosse un acquisto da fare, mi provocava quasi quanto le sue rozze fantasie su di lei. Stavano anche diventando molto più intimi, col passare del tempo, da sembrare che lo preferisse agli altri suoi rivali, Tyler Crowley, Eric Yorkie e anche io, sporadicamente. Si sedeva abitualmente accanto a lei al nostro tavolo prima che iniziasse la lezione, chiacchierando, incoraggiato dai suoi sorrisi. Soltanto sorrisi educati, mi dicevo. Allo stesso tempo, mi divertivo di frequente a immaginarmi di mollargli un manrovescio che lo facesse attraversare la stanza e cadere contro il muro più lontano... Probabilmente lo avrebbe fatalmente ferito...

Mike non pensava spesso a me come rivale. Dopo l'incidente, si era preoccupato che Bella ed io avessimo potuto essere legati da quell'esperienza, ma ovviamente il risultato era stato il contrario. Prima di allora, era stato disturbato che avessi individuato Bella tra i suoi coetanei per salvarla. Ma poi l'avevo ignorata proprio come gli altri, ed era diventato più soddisfatto.

Cosa stava pensando adesso? Avrebbe accettato la sue attenzioni?

E, infine, l'ultimo dei miei tormenti, il più doloroso: l'indifferenza di Bella. Mentre la ignoravo, lei mi ignorava. Non cercava mai di parlare con me. Per tutto quello che sapevo, non aveva mai pensato a me.

Avrebbe potuto farmi diventare pazzo, o magari rompere la mia risoluzione a cambiare il futuro, eccetto che qualche volta mi fissava come faceva prima. Non lo vidi da me, non potevo permettermi di guardarla, ma Alice ci avvisava sempre quando stava per fissarci; gli altri ancora cauti verso la problematica conoscenza della ragazza.

Il fatto che di quando in quando mi osservasse a distanza alleviava il dolore. Certo, poteva star solo pensando che fossi pazzo.

“Bella fisserà Edward tra un minuto. Apparite normali,” disse Alice un Martedì di Marzo, e gli altri furono attenti ad agitarsi e a spostare il loro peso come gli umani; l'assoluta immobilità era la caratteristica della nostra specie.

Non prestavo attenzione a quanto spesso guardava nella mia direzione. Mi faceva piacere, sebbene non avrebbe dovuto, che la frequenza non diminuiva con il passare del tempo. Non sapevo cosa significasse, però mi faceva sentire meglio.

Alice sospirò. Spero...

“Stanne fuori, Alice,” dissi sotto il mio respiro. “Non accadrà nulla.”

Mise il broncio. Alice era ansiosa di formare la sua già prevista amicizia con Bella. Stranamente, le mancava la ragazza che ancora non conosceva.

Lo ammetto, sei migliore di quanto pensassi. Hai reso di nuovo il futuro intrecciato e senza senso. Spero tu sia felice.

“Ha molto senso per me.”

Sbuffò delicatamente.

Cercai di metterla a tacere, troppo impaziente per conversare. Non ero molto di buon umore, più teso di quanto volessi lasciargli immaginare. Soltanto Jasper era consapevole di come fossi ermeticamente ferito, sentendo la tensione emanare con la sua unica abilità di provare e influenzare l'umore altrui. Non capiva le ragioni dietro al mio stato d'animo, comunque, dato che ero costantemente mal disposto in questi giorni, e lo ignorava.

Oggi sarebbe stato un giorno difficile. Più difficile dei giorni precedenti, come era tipico.

Mike Newton, l'odioso ragazzo che non potevo permettere a me stesso di rivaleggiare, aveva intenzione di chiedere a Bella un appuntamento.

La scelta del ballo della ragazza era un orizzonte vicino, e aveva davvero sperato che Bella glielo chiedesse. Visto che non lo aveva fatto la sua sicurezza era vacillata. Adesso era in un guaio sgradevole, mi divertii del suo disagio più di quanto avrei dovuto, perché Jessica Stanley lo aveva invitato al ballo. Non voleva rispondere “sì”, ancora speranzoso che Bella lo avrebbe scelto (e dimostrato la sua vittoria sugli altri rivali), però non voleva rispondere “no” e perdersi del tutto il ballo. Jessica, ferita dalla sua esitazione e indovinando il motivo, stava pensando di pugnalare Bella. Di nuovo, ebbi l'istinto di mettermi in mezzo tra gli arrabbiati pensieri di Jessica e Bella. Adesso conoscevo meglio l'istinto, però rese più frustrante il non poterlo fare.

A pensare di essere arrivato a questo! Mi ero completamente adattato ai meschini drammi di scuola superiore che una volta avevo così disprezzato.

Mike stava diventando nervoso mentre accompagnava Bella a biologia. Ascoltai i suoi tormenti mentre aspettavo che arrivassero. Il ragazzo era un debole. Aveva aspettato di proposito per questo ballo, spaventato dal far diventare nota la sua infatuazione prima che lei avesse mostrato una precisa preferenza per lui. Non voleva rendersi vulnerabile al rifiuto, preferendo che fosse lei a farsi avanti per prima.

Codardo.

Era seduto di nuovo al nostro tavolo, a proprio agio per la lunga intimità, e immaginai il suono che avrebbe fatto il suo corpo se avesse colpito il muro opposto con abbastanza forza da rompersi parecchie ossa.

“Insomma,” disse alla ragazza, gli occhi a terra. “Jessica mi ha invitato al ballo di primavera.”

“Grande,” rispose subito Bella con entusiasmo. Era difficile non sorridere mentre il suo tono affondava nella comprensione di Mike. Aveva sperato nello sgomento. “Te la spasserai davvero, con lei.”

Arraffò una risposta giusta. “Beh...,” esitò, e quasi ci rinunciò. Poi si raccolse. “Le ho detto che volevo pensarci.”

“E perché l'avresti fatto?” chiese. Il suo era un tono di disapprovazione, ma c'era una leggera traccia di sollievo.

Cosa voleva dire? Un'insospettata, intensa furia mi fece stringere i pugni.

Mike non sembrava aver sentito il sollievo. Il suo viso era rosso per il sangue, violento mentre improvvisamente lo avvertivo, sembrava come un invito, e guardò di nuovo a terra mentre parlava.

“Mi chiedevo se... beh, non avessi intenzione di invitarmi tu.”

Bella esitò.

In quel momento di esitazione, vidi il futuro molto più chiaramente di quanto Alice avesse mai fatto.

La ragazza adesso avrebbe potuto rispondere sì all'inespressa domanda di Mike, e avrebbe potuto non farlo, ma comunque, un giorno o l'altro, avrebbe risposto di sì a qualcuno. Era amorevole e intrigante e i ragazzi umani non erano incuranti di questo fatto. Se si fosse decisa per qualcuno in questa noiosa folla, o aspettato che fosse libera da Forks, il giorno in cui avrebbe detto sì sarebbe arrivato.

Vidi la sua vita come avevo fatto prima, college, carriera... amore, matrimonio. La vidi di nuovo a braccetto col padre, vestita di un bianco diafano, il suo viso rosso di felicità mentre si muoveva al suono della marcia nuziale.

Il dolore fu qualcosa che non avevo mai sentito prima. Un umano sarebbe arrivato in punto di morte a sentire questo dolore, un umano non sarebbe sopravvissuto.

E non solo dolore, ma una completa rabbia.

La furia faceva male come un qualche tipo di attacco fisico. Nonostante questo insignificante, inutile ragazzo poteva non essere quello a cui Bella avrebbe detto sì, desiderai ardentemente schiacciare il suo cranio tra le mie mani, lasciandolo come esempio per chi altri sarebbe stato.

Non capivo quest'emozione, era un groviglio di dolore e rabbia e desiderio e disperazione. Non lo avevo mai sentito prima; non riuscivo a dargli un nome.

“Mike, credo che dovresti accettare l'invito di Jessica,” disse Bella con voce gentile.

Le speranze di Mike precipitarono. In un'altra circostanza mi sarei divertito, ma ero perso nella scossa di assestamento del dolore, e il rimorso per ciò che il dolore e la rabbia mi avevano fatto.

Alice aveva ragione. Non ero forte abbastanza.

Proprio ora Alice avrebbe visto il futuro girare e contorcersi, diventando di nuovo lacerato. L'avrebbe soddisfatta?

“L'hai già chiesto a qualcuno?” chiese in modo arcigno Mike. Mi lanciò un'occhiataccia, sospettoso per la prima volta da settimane. Realizzai che avevo tradito il mio interesse; la mia testa era inclinata verso la direzione di Bella.

La selvaggia invidia nei suoi pensieri, invidia per colui che la ragazza aveva preferito, improvvisamente diede un nome alle mie anonime emozioni.

Ero geloso.

“No,” disse la ragazza con una traccia di umorismo nella voce. “Non ci vengo al ballo.”

Attraverso il rimorso e la rabbia, sentii sollievo alle sue parole. Improvvisamente, stavo considerando i miei rivali.

“Perché no?” chiese Mike, il suo tono rude. Mi offese che usasse quel tono con lei. Trattenni un ringhio.

“Quel sabato vado a Seattle,” rispose.

La curiosità non fu crudele come lo era stata prima, adesso che avevo davvero intenzione di scoprire ogni risposta. Avrei saputo il dove e i perché di questa nuova rivelazione abbastanza presto.

Il tono di Mike era spiacevolmente adulante. “Non puoi rimandare ad un altro fine settimana?”

“No, mi dispiace.” Bella era brusca adesso. “Perciò non fare aspettare Jess: è scortese.”

La sua preoccupazione per i sentimenti di Jessica diede un colpo di vento alla mia gelosia. Questo viaggio a Seattle era chiaramente una scusa per dire di no, lo aveva rifiutato soltanto per lealtà alla sua amica? Era abbastanza altruista per farlo. In realtà avrebbe sperato di poter rispondere sì? O entrambe le ipotesi erano sbagliate? Era interessata a qualcun altro?

“Va bene, hai ragione,” mormorò Mike, così demoralizzato che sentii quasi pietà per lui. Quasi.

Abbassò gli occhi dalla ragazza, togliendomi la vista del suo volto dai suoi pensieri.

Non avevo intenzione di tollerarlo.

Mi girai per leggere il suo viso, per la prima volta da più di un mese. Fu un acuto sollievo permettermelo, come un respiro d'aria di polmoni immersi a lungo nell'acqua.

I suoi occhi erano chiusi, le sue mani premute contro il lato del suo viso. Le sue spalle curvate indentro in difesa. Scosse la testa così leggermente, come se stesse provando a scacciar via qualche pensiero dalla sua mente.

Frustrante. Affascinante.

La voce di Mr. Banner la riportò indietro dalla sua fantasticheria, i suoi occhi si aprirono lentamente. Mi guardò all'improvviso, forse sentendo il mio sguardo. Mi fissò negli occhi con la stessa confusa espressione che mi aveva dato la caccia tanto a lungo.

Non sentii il rimorso o il senso di colpa o la rabbia in quel secondo. Sapevo che sarebbero ritornati, e presto anche, ma per quell'unico momento galleggiai ad una strana e nervosa altezza. Come se avessi trionfato, piuttosto che perso.

Non allontanò lo sguardo, nonostante la stessi fissando con un'intensità inappropriata, cercando vanamente di leggere i suoi pensieri attraverso i liquidi occhi castani. Erano pieni di domande, piuttosto che di risposte.

Potei vedere il riflesso dei miei occhi, e vidi che erano neri di sete. Erano passate due settimane dalla mia ultima caccia; non era il giorno più adatto per far cedere la mia volontà. Ma il nero non sembrò spaventarla. Non distolse lo sguardo, e un soffice, attraente rosa le colorò le guance.

Cosa stava pensando adesso?

Stavo quasi per fare la domanda ad alta voce, ma in quel momento Mr. Banner chiamò il mio nome. Colsi la risposta corretta dalla sua mente mentre guardavo brevemente verso la sua direzione.

Presi un breve respiro. “Il ciclo di Kerbs.”

La sete mi bruciò la gola, stringendo i miei muscoli e riempiendo la mia bocca di veleno, e chiusi gli occhi, provando a concentrarmi attraverso il desiderio che il suo odore aveva infuriato dentro di me.

Il mostro era più forte di prima. Il mostro stava esultando. Abbracciò questo duplice destino che gli aveva dato un regolare cinquanta per cento di possibilità per quello che desiderava così malignamente. Il terzo, scosso futuro che avevo cercato di costruire attraverso la forza di volontà era crollato, distrutto dalla comune gelosia, tra tutte le cose; e si avvicinò molto più alla sua meta.

Il rimorso e la colpa bruciarono con la sete, e, se avessi avuto la capacità di produrre lacrime, a quest'ora avrebbero riempito i miei occhi.

Cosa avevo fatto?

Sapendo che la battaglia era già persa, non sembrava esserci alcuna ragione per resistere a ciò che volevo; girarmi a fissare di nuovo la ragazza.

Era nascosta dai suoi capelli, ma potevo vedere attraverso le ciocche che le sue guance erano ancora cremisi.

Al mostro piacque.

Non incontrò di nuovo il mio sguardo, ma si attorcigliò nervosamente una ciocca dei suoi scuri capelli tra le dita. Le sue delicate dita, il suo fragile polso, erano così distruttibili, avrei potuto spezzarli soltanto con il mio respiro.

No, no, no. Non avrei potuto farlo. Era troppo delicata, troppo buona, troppo preziosa per meritare questo destino. Non avrei permesso che la mia vita si scontrasse con la sua, distruggendola.

Ma non potevo neanche starle lontano. Alice aveva ragione.

Il mostro dentro di me sibilò con frustrazione mentre esitavo, la partenza al primo posto, piuttosto che le altre.

La mia breve ora con lei passò troppo velocemente, mentre vacillavo tra le due posizioni. La campanelle suonò, ed iniziò a raccogliere le sue cose senza guardarmi. Questo mi deluse, ma difficilmente avrei potuto aspettarmi qualcosa di diverso. Il modo in cui l'avevo trattata dall'incidente era imperdonabile.

“Bella?” dissi, incapace di fermarmi. La mia forza di volontà giaceva a brandelli.

Esitò prima di guardarmi; poi si voltò, la sua espressione era cauta e diffidente.

Mi ricordai che aveva tutte le ragioni a diffidare. Doveva averlo ricordato anche lei.

Aspettò che continuassi, ma rimasi a fissarla, leggendo il suo viso. Sorseggiai leggere boccate d'aria a regolari intervalli, combattendo la mia sete.

“Cosa?” disse infine. “Hai deciso di rivolgermi la parola?” C'era un filo di risentimento nel suo tono che, come la sua rabbia, era accattivante. Mi fece sorridere.

Non ero sicuro di cosa risponderle. Le stavo di nuovo rivolgendo la parola, nel senso in cui lei intendeva?

No. Non se avessi potuto evitarlo. Avrei cercato di evitarlo.

“No, non proprio,” le dissi.

Chiuse gli occhi, il che mi frustrò. Mi aveva tolto la migliore strada d'accesso ai suoi sentimenti. Prese un lungo, lento respiro senza aprirli. La sua mascella stretta.

Con gli occhi ancora chiusi, parlò. Di sicuro non era un normale modo umano di conversare. Perché lo faceva?

“E allora, Edward, che vuoi?”

Il suono del mio nome sulle sue labbra provocò strane cose al mio corpo. Se avessi avuto il battito cardiaco, sarebbe accelerato.

Ma in che modo risponderle?

Con la verità, decisi. Sarei stato sincero come potevo, da adesso in poi. Non volevo meritare la sua diffidenza, anche se ottenere la sua fiducia era impossibile.

“Mi dispiace,” le dissi. Era la cosa più vera che avrebbe mai saputo. Sfortunatamente, potevo solo scusarmi con sincerità per la cosa più insignificante. “Sono molto maleducato, lo so. Ma è meglio così, davvero.”

Sarebbe stato meglio per lei se avessi continuato ad essere maleducato. Potevo?

I suoi occhi si aprirono, la sua espressione ancora circospetta.

“Non capisco che vuoi dire.”

Cercai di avvertirla. “E' meglio se non diventiamo amici.” Di sicuro, avrebbe potuto avvertirlo. Era una ragazza sveglia. “Fidati.”

I suoi occhi si strinsero, e ricordai che le avevo già detto quelle parole prima, proprio prima di rompere una promessa. Indietreggiai quando i suoi denti si strinsero, chiaramente ricordava anche lei.

“Peccato che tu non te ne sia reso conto prima,” disse arrabbiata. “Non avresti avuto nulla di cui rimproverarti.”

La fissai colpito. Cosa ne sapeva dei miei rimorsi?

“Recriminarmi?” chiesi.

“Di non aver lasciato semplicemente che quello stupido furgone mi spiaccicasse!” sbottò.

Rimasi di ghiaccio, incredulo.

Come poteva pensarlo? Salvarle la vita era l'unica cosa accettabile che avevo fatto da quando l'avevo incontrata. L'unica cosa di cui non mi vergognavo. L'unica e sola cosa che mi rendeva grato della mia esistenza. Avevo combattuta per tenerla in vita sin dal primo momento che avevo catturato il suo odore. Come poteva pensare questo di me? Come si permetteva di mettere di discussione l'unica buona azione in tutto questo casino?

“Vuoi dire che pensi mi sia pentito di averti salvato la vita?”

“Non penso. Lo so,” replicò.

Il suo giudizio su di me mi fece ribollire. “Tu non sai niente.”

Com'erano confusi e incomprensibili i congegni della sua mente! Non doveva pensare nello stesso modo degli altri umani. Doveva esserci una spiegazione dietro il silenzio della sua mente. Era completamente differente.

Scosse via il suo viso, stringendo di nuovo i denti. Le sue guance arrossirono, di rabbia questa volta. Sbatté i suoi libri in pila, strattonandoli tra le sue braccia, e marciando verso la porta senza incontrare il mio sguardo.

Anche irritato com'ero, era impossibile non trovare la sua rabbia un po' divertente.

Camminò rigidamente, senza guardare a dove stava andando, e inciampò al bordo della porta. Incespicò, e tutte le sue cose si sparsero sul pavimento. Invece di raccoglierli, rimase rigida e dritta, senza guardare in giù, come se non fosse sicura che i libri meritassero di essere recuperati.

Mi trattenni dal ridere.

Nessuno era lì per guardarmi; volteggiai al suo fianco, e avevo i suoi libri in ordine prima che potesse guardare in basso.

Si piegò leggermente, mi vide e poi s'immobilizzò. Le porsi i libri, assicurandomi che non toccasse la mia pelle fredda.

“Grazie,” disse con voce fredda e severa.

Il suo tono riportò l'irritazione.

“Prego,” dissi con la stessa freddezza.

Si mise dritta e calpestando si avviò alla prossima lezione.

La fissai finché non riuscii più a vedere la sua figura arrabbiata.

Spagnolo passò in un soffio. Mrs. Goff non mi richiamò mai per la mia distrazione, sapeva che il mio Spagnolo era superiore al suo, e mi diede grande tolleranza, lasciandomi libero di pensare.

Quindi, non potevo ignorare la ragazza. Era molto ovvio. Ma voleva significare che non avevo altra scelta che distruggerla? Non poteva essere l'unico futuro disponibile. Avrebbe dovuto esserci un'altra scelta, un delicato contrappeso. Provai a pensare ad un modo...

Non prestai molta attenzione ad Emmett finché non si avvicinò la fine dell'ora. Era curioso, Emmett non era eccessivamente intuitivo sulle diverse sfumature degli umori altrui, ma poteva vedere l'evidente cambiamento. Pensò a cosa era potuto succedere per rimuovere quell'ostinato sguardo torvo dal mio viso. Lottò per capire quale fosse lo scambio, e infine decise che sembravo speranzoso.

Speranzoso? Era così che apparivo dall'esterno?

Riflettei sull'idea della speranza mentre camminavamo verso la Volvo, pensando a cosa avevo fatto di preciso per essere speranzoso.

Ma non dovetti rifletterci a lungo. Sensibile com'ero ai pensieri verso la ragazza, il suono del nome di Bella nelle menti dei... dei miei rivali, supponevo di doverlo ammettere, catturarono la mia attenzione. Eric e Tyler, in testa, con molta soddisfazione, il fallimento di Mike, si stavano preparando a fare la loro mossa.

Eric era già sul posto, posizionato contro il suo pick up dove non avrebbe potuto evitarlo. La lezione di Tyler si stava trattenendo più tardi per l'assegnazione di un compito, ed era in disperata fretta di raggiungerla prima che scappasse.

Questo dovevo vederlo.

“Aspetta gli altri qui, va bene?” mormorai ad Emmett.

Mi lanciò uno sguardo sospettoso, ma poi scrollò le spalle e annuì.

Il ragazzo ha perso la testa, pensò, divertito dalla mia strana richiesta.

Vidi Bella che si allontanava dalla palestra, e aspettai dove non avrebbe potuto vedermi per lasciarla passare. Mentre si avvicinava all'imboscata di Eric, mi avviai, sistemando il mio passo così da camminare davanti al momento giusto.

Vidi il suo corpo irrigidirsi quando catturò la vista del ragazzo ad aspettarla. S'immobilizzò per un momento, poi si rilassò e si mosse in avanti.

“Ciao, Eric,” le sentì dire in tono amichevole.

Ero improvvisamente e inaspettatamente ansioso. E se fosse stato questo ragazzo dalla pelle poco sana a piacerle?

Eric inghiottì rumorosamente, il suo pomo d'Adamo sobbalzante. “Ciao, Bella.”

Appariva ignara del suo nervosismo.

“Come va?” chiese, aprendo il pick up senza guardare alla sua espressione terrorizzata.

“Ehm, mi chiedevo se... verresti con me al ballo di primavera?” La sua voce si spezzò.

Infine alzò lo sguardo. Era sorpresa, o compiaciuta? Eric non riuscì ad incontrare il suo sguardo, così io non potei osservare il suo viso nella sua mente.

“Mi sembrava che secondo tradizione gli inviti spettassero alle ragazze,” disse, suonando turbata.

“Beh, sì,” ammise in modo infelice.

Questo ragazzo pietoso non m'irritava quando Mike Newton, ma non riuscivo a provare simpatia per la sua angoscia dopo che Bella gli aveva risposto in tono gentile.

“Grazie per avermelo chiesto, ma purtroppo quel sabato sarò a Seattle.”

L'aveva già sentito; era ancora una delusione.

“Ah,” mormorò, permettendosi a mala pena di sollevare gli occhi al livello del suo naso. “Allora magari la prossima volta.”

“Certo,” concordò. Poi si morse il labbro inferiore, come pentendosi di avergli lasciato una via d'uscita. Mi piacque.

Eric crollò indietro e si allontanò, dirigendosi dalla parte opposta della sua macchina, la sua unica fuga.

La superai in quel momento, e la sentii sospirare di sollievo. Risi.

Lei si girò al suono, ma io fissai davanti, cercando di trattenere le mia labbra dal piegarsi per il divertimento.

Tyler era dietro di me, quasi correndo nella sua fretta di raggiungerla prima che potesse andare via. Era più baldanzoso e sicuro degli altri due; aveva aspettato così tanto per avvicinarsi a Bella solo perché rispettava il diritto di Mike.

Volevo che la raggiungesse per due motivi. Se, come avevo iniziato a sospettare, tutte queste attenzione stavano irritando Bella, volevo divertirmi a osservare le sue reazioni. Ma, se non era così, se l'invito di Tyler era quello che lei sperava, lo volevo anche sapere.

Valutai Tyler Crowley come rivale, sapendo che era sbagliato da fare. Mi sembrava tediosamente comune e irrilevante, ma cosa ne sapevo delle preferenze di Bella? Forse le piacevano i ragazzi comuni...

Sobbalzai a quel pensiero. Non sarei mai potuto essere un ragazzo comune. Com'era stupido impostarmi come un rivale per i suoi sentimenti. Come avrebbe mai potuto avere premura di qualcuno che era, ad ogni giudizio, un mostro?

Lei era troppo buona per un mostro.

Dovevo lasciarla scappare, ma la mia inspiegabile curiosità mi trattenne dal fare la cosa giusta.

Ancora. Ma se Tyler avesse perso adesso la sua occasione, l'avrebbe contattata più tardi quando non avrei avuto modo di sapere il risultato? Spinsi la mia Volvo fuori dall'angusto parcheggio, bloccandole l'uscita.

Emmett e gli altri erano per strada, ma lui aveva descritto il mio strano comportamento agli altri, e stavano camminando piano, guardandomi, cercando di decifrare cosa stessi facendo.

Osservai la ragazza dal mio specchietto retrovisore. Lanciò un'occhiata torva al retro della mia macchina senza incontrare il mio sguardo, come se stesse sperando di guidare un carro armato piuttosto che un'arrugginita Chevy.

Tyler corse alla sua macchina e si mise in fila dietro di lei, grato per il mio inspiegabile comportamento. Si agitò, cercando di attirare la sua attenzione, ma lei non lo notò. Aspettò per un momento, poi lasciò la sua macchina, camminando verso il finestrino del passeggero. Picchiettò sul vetro.

Lei sobbalzò, e poi lo fissò confusa. Dopo un secondo, abbassò il finestrino manualmente, sembrava aver problemi.

“Scusa Tyler,” disse, la sua voce irritata. “Sono bloccata dietro Cullen.”

Disse il mio cognome con tono aspro, era ancora arrabbiata con me.

“Oh sì, ho visto,” disse Tyler, non scoraggiato dal suo umore. “Volevo soltanto chiederti una cosa, mentre siamo fermi qui.”

Fece un sorriso impudente.

Fui gratificato dal fatto che fosse impallidita al suo evidente scopo.

“Mi inviteresti al ballo di primavera?” chiese lui, nessun pensiero di fallimento nella sua mente.

“Sarò fuori città, Tyler,” gli disse, l'irritazione chiara nella sua voce.

“Già, me l'ha detto Mike.”

“Ma allora...” iniziò a chiedere.

Fece spallucce. “Speravo fosse un modo carino di rifiutare il suo invito.”

I suoi occhi brillarono, poi divennero gelidi. “Spiacente, Tyler,” disse, non suonando del tutto dispiaciuta. “Sarò davvero fuori città.”

L'accettò come scusa, la sua sicurezza intaccata. “Non c'è problema. Rimandiamo al ballo di fine anno.”

Puntò verso la sua macchina.

Avevo fatto bene ad aspettare.

L'orrore nella sua espressione non aveva prezzo. Mi disse che non avrei dovuto avere così disperato bisogno di sapere, che non aveva nessun sentimento per quegli umani che speravano di corteggiarla.

Inoltre, la sua espressione era la cosa più divertente che avessi mai visto.

Poi arrivò la mia famiglia, confusa dal fatto che, in cambio, stessi gongolando con un sorriso piuttosto che con un cipiglio assassino.

Cosa c'è di così divertente? voleva sapere Emmett.

Appena scossi la testa mi uscì una fresca risata mentre Bella riavviava furiosa il motore rumoroso. Sembrava che stesse di nuovo sperando nel carro armato.

“Andiamo!” sibilò Rosalie impaziente. “Smettila di fare l'idiota. Se ci riesci.”

Le sue parole non m'irritarono, era troppo divertente. Ma feci come aveva chiesto.

Nessuno mi rivolse la parola sulla via di casa. Continuai a ridacchiare ancora e ancora, pensando alla faccia di Bella.

Mentre giravo verso la strada, accelerando adesso che non c'erano testimoni, Alice rovinò il mio umore.

“Allora adesso posso parlare con Bella?” chiese all'improvviso, senza considerare le parole di prima, perciò senza avvisarmi.

“No,” sbottai.

“Non è giusto! Cosa devo aspettare?”

“Non ho ancora deciso nulla, Alice.”

“Qualsiasi cosa, Edward.”

Nella sua mente, i due destini di Bella divennero di nuovo chiari.

“Che senso ha conoscerla?” mormorai, improvvisamente immusonito. “Se poi devo ucciderla?”

Alice esitò per un secondo. “Ha senso,” ammise.

Presi la curva finale a novanta all'ora, e poi mi frenai ad un centimetro dal muro di fondo del garage.

“Divertiti nella tua corsa,” disse Rosalie compiaciuta mentre mi lanciavo fuori dalla macchina.

Ma non avrei corso oggi. Al contrario, sarei andato a caccia.

Gli altri avevano programmato di cacciare domani, ma adesso non potevo sopportare la sete. Esagerai, bevendo più del necessario, saziandomi ancora, un piccolo branco di alci e un orso nero che vi inciampò a fortuna. Ero così pieno da sentirmi a disagio. Perché non avrebbe potuto essere abbastanza? Perché il suo odore doveva essere più forte di qualsiasi altra cosa?

Cacciai per prepararmi al giorno dopo, ma, quando smisi e il sole era ancora lontano di ore ed ore dal sorgere, seppi che il giorno successivo non era vicino abbastanza.

Un grande nervosismo mi passò attraverso di nuovo quando mi resi conto che avevo intenzione di andare a trovare la ragazza.

Lottai con me stesso lungo la strada per Forks, ma il mio lato meno nobile vinse il duello, e andai avanti con il mio insostenibile piano. Il mostro era inquieto e ben incatenato. Sapevo che mi sarei mantenuto ad una sana distanza. Volevo soltanto sapere dove stava. Volevo solo vedere il suo viso.

Era mezzanotte passata, e la casa di Bella era buia e silenziosa. Il suo pick up parcheggiato contro il bordo, l'automobile della polizia del padre nel vialetto. Non c'erano pensieri coscienti nelle vicinanze. Osservai la casa per un momento dall'oscurità della foresta che circondava il lato est. La porta di fronte probabilmente era chiusa, nessun problema, eccetto che non volevo lasciare una porta rotta dietro di me come prova. Decisi di provare prima con le finestre. Nessuno si sarebbe preoccupato di installarvi un blocco.

Attraversai il prato e scalai la facciata della casa in mezzo secondo.

Penzolando con una mano dal cornicione sopra la finestra, guardai attraverso il vetro, e mi si fermò il respiro.

Era nella sua stanza. Potevo vederla nel piccolo letto, le sue coperte sul pavimento e le lenzuola attorcigliate tra le gambe. Mentre la osservavo, si girò irrequieta e spostò un braccio sulla sua testa. Non dormiva bene, almeno non questa notte. Sentiva il pericolo vicino a lei?

Mi disgustai di me stesso mentre la guardavo dimenarsi ancora. Ero migliore di un malato spione? Non ero meglio. Ero molto, molto peggio.

Rilassai le dita, sul punto di lasciarmi scivolare. Ma prima mi permisi un'altra lunga occhiata al suo viso.

Non era calmo. Vi era una piccola ruga tra le sopracciglia, gli angoli della sua bocca piegati all'ingiù. Le sue labbra tremarono, e poi si socchiusero.

“Okay, mamma,” mormorò.

Bella parlava nel sonno.

La curiosità m'infiammò, vincendo il disgusto da me stesso. Il richiamo di quegli indifesi, inconsci pensieri pronunciati era impossibilmente allettante.

Cercai la finestra, e non era bloccata, sebbene inceppata dal lungo disuso. La tirai da un lato lentamente, rannicchiandomi ad ogni leggero mormorio della cornice di metallo. Avrei dovuto portare un po' di olio la prossima volta...

La prossima volta? Scossi la testa, di nuovo disgustato.

Mi lanciai silenziosamente attraverso la finestra semi aperta.

La stanza era piccola, disordinata ma non sporca. Accanto al letto c'erano libri impilati sul pavimento, il loro dorso lontano da me, e CD disseminati vicino l'economico lettore, quello in cima era chiaramente un porta CD. Cataste di carte circondavano un computer che sembrava appartenere ad un museo dedicato alle tecnologie obsolete. Scarpe punteggiavano il pavimento di legno.

Volevo tanto leggere i titoli dei suoi libri e CD, ma mi ero promesso che avrei mantenuto le distanze; quindi andai a sedermi su una vecchia sedia nell'angolo più lontano della stanza.

L'avevo mai considerata come una ragazza comune? Pensai a quel primo giorno, e al mio disgusto per quei ragazzi che l'avevano trovato subito intrigante. Ma quando adesso ricordai il suo viso nelle loro menti, non riuscii a capire perché non l'avessi trovata immediatamente bellissima. Sembrava una cosa ovvia.

Proprio adesso, con i capelli scuri arruffati e selvaggi attorno al suo pallido viso, indossava una maglietta consunta piena di buchi con una tuta trasandata, i suoi lineamenti rilassati nell'incoscienza, le sue labbra piene socchiuse, mi tolse il respiro. O lo avrebbe fatto, pensai cautamente, se avessi respirato.

Non parlò. Forse il suo sogno era finito.

Fissai il suo volto e cercai di pensare a qualche modo per rendere il futuro sopportabile.

Ferirla non era tollerabile. Significava che la mia unica scelta era quella di cercare di partire?

Adesso gli altri non avrebbero discusso. La mia assenza non avrebbe messo in pericolo nessuno. Non ci sarebbe stato nessun sospetto, niente per collegare i pensieri di qualcuno all'incidente.

Tentennai come avevo fatto questo pomeriggio, e niente mi sembrò possibile.

Non potevo sperare di rivaleggiare contro un ragazzo umano, anche se quello specifico ragazzo fosse o meno adatto a lei. Ero io il mostro. Come avrebbe potuto vedermi in un altro modo? Se avesse saputo la verità su di me, l'avrebbe spaventate e disgustata. Come una vittima designata in un film dell'orrore, sarebbe corsa via, gridando di terrore.

Ricordai il suo primo giorno a biologia... e seppi esattamente quale sarebbe stata la sua reazione.

Era folle immaginare che, se fossi stato io a chiederle dello stupido ballo, avrebbe cancellato in fretta i suoi piani e accettato di uscire con me.

Non ero io quello a cui era destinata a dire sì. Sarebbe stato qualcun altro, qualcuno di umano e caloroso. E non avrei potuto permettermi, un giorno, quando avrebbe detto di sì, di cacciarlo e poi ucciderlo, perché lei lo meritava, chiunque fosse. Meritava felicità e amore con chiunque avrebbe scelto.

Glielo dovevo, fare la cosa giusta; non potevo più fingere che fossi in pericolo di innamorarmi di questa ragazza.

Dopo tutto, non importava se fossi partito, perché Bella non mi avrebbe mai visto nel modo in cui speravo mi vedesse. Non mi avrebbe mai visto come qualcuno degno di amore.

Mai.

Poteva un cuore morto e freddo spezzarsi? Mi sembrò che il mio potesse farlo.

“Edward,” disse Bella.

Rimasi di ghiaccio, fissando i suoi occhi chiusi.

Si era svegliata, scoprendomi qui? Sembrava addormentata, però la sua voce era stata così chiara...

Sospirò calma, e poi si mosse di nuovo irrequieta, rotolando da un lato, ancora addormentata e sognante.

“Edward,” mormorò dolcemente.

Mi stava sognando.

Poteva un cuore morto e freddo battere di nuovo? Mi sembrò che il mio fosse sul punto di farlo.

“Resta,” sospirò. “Non andare. Ti prego... non andare.”

Mi stava sognando, e non era neanche un incubo. Voleva che restassi con lei, lì in quel sogno.

Lottai per riuscire a descrivere i sentimenti che m'inondarono, ma non avevo parole abbastanza forti per fermarli. Per un lungo momento, annegai in essi.

Quando risalii in superficie, non ero lo stesso uomo che ero stato.

La mia vita era un'infinita, un'immutata mezzanotte. Per me era necessario che rimanesse tale. Come poteva essere possibile che il sole stesse sorgendo adesso, nel mezzo della mia mezzanotte?

Da quando ero diventato vampiro, scambiando la mia anima e la mia mortalità per l'immortalità nell'infiammante dolore della trasformazione, ero stato davvero congelato. Il mio copro si era trasformato in qualcosa di più vicino alla roccia che alla carne, resistente e immutato. Anche il me stesso si era ghiacciato per com'era, la mia personalità, il miei gusti e le mie avversioni, i miei umori e i miei desideri; avevano tutti un posto fisso.

Era lo stesso per il resto di loro. Eravamo tutti congelati. Pietre viventi.

Quando arrivava per noi un cambiamento, era una cosa rara e permanente. Lo avevo visto accadere con Carlisle, e una decina di anni dopo con Rosalie. L'amore li aveva cambiati in modo eterno, un modo che non sarebbe mai svanito. Erano passati più di ottant'anni da quando Carlisle aveva trovato Esme, e ancora la guardava con gli occhi incredibili del primo amore. Per loro sarebbe stato così per sempre.

Sarebbe stato così per sempre anche per me. Avrei sempre amato questa fragile ragazza umana, per il resto della mia infinita esistenza.

Osservai il suo viso inconscio, sentendo questo amore sistemarsi in ogni parte del mio corpo di pietra.

Dormiva molto più calma adesso, un leggero sorriso sulle sue labbra.

Sempre guardandola, iniziai a complottare.

L'amavo, e quindi avrei potuto provare ad essere forte abbastanza da lasciarla. Sapevo che non ero così forte. Avrei dovuto lavorarci. Ma forse ero abbastanza risoluto da eludere il suo futuro in un altro modo.

Alice aveva visto solo due futuri per Bella, e adesso li compresi entrambi.

Amarla non mi avrebbe trattenuto dall'ucciderla, se avessi permesso a me stesso di fare errori.

Anche adesso non potevo sentire il mostro, non riuscivo a trovarlo da nessuna parte.

Forse l'amore lo aveva zittito per sempre. Se ora l'avessi uccisa, non sarebbe stato intenzionale, ma soltanto un orribile incidente.

Avrei dovuto essere eccessivamente attento. Non sarei mai, mai stato capace di abbassare la guardia. Avrei dovuto controllare ogni mio respiro. Avrei dovuto mantenere sempre una distanza di sicurezza.

Non avrei commesso errori.

Finalmente capii quel secondo futuro. Ero stato deviato da quella visione, come era possibile che Bella risultasse prigioniera di questa mezza vita immortale? Adesso, devastato dall'amore per la ragazza, compresi come avrei potuto, per imperdonabile egoismo, chiedere a mio padre quel favore. Chiedergli di prendersi la sua vita e la sua anima così che io avrei potuto averla per sempre.

Meritava di meglio.

Ma vidi un altro futuro, dove sarei stato capace di camminare sopra un filo sottile, se avessi saputo mantenere l'equilibrio.

Potevo? Stare con lei e lasciarla umana?

Di proposito, presi un respiro profondo, e poi un altro, lasciando che il suo odore mi strappasse via come un lampo. La stanza era densa del suo profumo; la sua fragranza era posata su ogni superficie. Mi girò la testa, ma lottai contro lo stordimento. Dovevo abituarmi, se avevo intenzione di tentare un qualsiasi tipo di rapporto con lei. Presi un altro profondo, infiammante respiro.

La osservai dormire mentre il sole sorgeva ad est dietro le nuvole, complottando e respirando.

Tornai a casa giusto prima che gli altri partissero per la scuola. Mi cambiai velocemente, evitando gli occhi indagatori di Esme. Vide la febbrile luce nel mio volto, e sentì preoccupazione e sollievo. La mia lunga malinconia l'aveva addolorata, era felice che sembrasse finita.

Corsi a scuola, arrivando pochi secondi dopo i miei fratelli. Non si girarono, sebbene almeno Alice doveva sapere che ero lì nel denso bosco che delimitava il marciapiede. Aspettai che nessuno guardasse, e poi rotolai casualmente fuori dagli alberi dentro il parcheggio pieno di macchine.

Sentii il rumore del pick up di Bella dietro l'angolo, e mi fermai dietro un Suburban, dove potevo osservare senza essere visto.

Guidò dentro il parcheggio, guardando la mia Volvo per un lungo momento prima di parcheggiare in un posto più distante, un cipiglio sul suo viso.

Era strano ricordare che probabilmente era arrabbiata con me, e con tutte le buone ragioni.

Volevo ridere di me stesso, o tirarmi un calcio. Tutti i miei complotti e piani erano completamente messi in discussione se a lei non importava di me, no? Il suo sogno poteva esser stato un caso fortuito. Ero un così pazzo arrogante.

Bene, era meglio per lei se non si interessava a me. Non mi avrebbe fermato dal perseguirla, ma le avrei dato un chiaro avvertimento mentre la seguivo. Glielo dovevo.

Camminai silenziosamente diritto, pensando al miglior modo per avvicinarla.

Lo rese facile. Le chiavi della sua macchina le scivolarono tra le dita mentre usciva, e caddero in una profonda pozzanghera.

Si abbassò, ma le presi prima io, recuperandole prima che mettesse le dita nell'acqua fredda.

Mi poggiai contro il suo pick up mentre trasaliva e poi si raddrizzava.

“Ma come fai?” domandò.

Sì, era ancora arrabbiata.

Le offrii le chiavi. “Come faccio cosa?”

Tese la mano, e lasciai che le chiavi le cadessero sul palmo. Presi un respiro profondo, trascinando il suo odore.

“Ad apparire dal nulla,” chiarì.

“Bella, non è colpa mia se tu sei straordinariamente distratta.” Le parole erano beffarde, quasi uno scherzo. C'era qualcosa che non notava?

Aveva sentito la mia voce avvolgere il suo nome come una carezza?

Mi guardò torva, senza apprezzare il mio umorismo. Il suo battito accelerò, per la rabbia?

Per la paura? Dopo un momento, abbassò lo sguardo.

“Perché l'ingorgo, ieri sera?” chiese senza incontrare i miei occhi. “Pensavo avessi deciso di fingere che non esisto, non di irritarmi a morte.”

Ancora molto arrabbiata. Serviva molta più fatica per migliorare le cose. Ricordai il mio proposito di essere sincero con lei...

“L'ho fatto per Tyler. Dovevo concedergli una possibilità.” E poi risi. Non seppi trattenermi, pensando alla sua espressione di ieri.

“Razza di...” rantolò, e poi si bloccò, sembrando troppo furiosa per finire. Eccola, la stessa espressione. Soffocai un'altra risata. Era già abbastanza furibonda.

“E non sto fingendo che tu non esista,” finii. Era buono mantenersi casuali, canzonatori. Non avrebbe capito se le avessi fatto vedere come mi sentivo realmente. L'avrei spaventata. Dovevo mantenere i miei sentimenti sotto controllo, mantenermi sul leggero...

“Allora hai deciso di irritarmi a morte, visto che il furgoncino di Tyler non è riuscito a farmi fuori?”

Un veloce guizzo di rabbia mi vibrò. Poteva onestamente crederci?

Era così irrazionale per me essere insultato, non aveva visto la trasformazione che era accaduta quella notte. Ma allo stesso tempo ero arrabbiato.

“Bella, sei totalmente assurda,” sbottai.

Il suo viso arrossì, e mi girò la schiena. Iniziò a camminare via.

Rimorso. Non avevo diritto di arrabbiarmi.

“Aspetta,” pregai.

Non si fermò, così la seguii.

“Scusa se sono stato maleducato. Non dico che non sia vero,” era assurdo immaginare che avevo voluto ferirla in quel modo, “ma è stato maleducato dirtelo, ecco.”

“Perché non mi lasci stare?”

Credimi, volevo dirle. Ci ho provato.

Oh, e anche, sono infelicemente innamorato di te.

Mantenermi sul leggero.

“Volevo chiederti una cosa, ma mi hai fatto perdere il filo del discorso.” Un corso di recitazione mi avrebbe scoperto, e risi.

“Soffri di disordini da personalità multipla?” chiese.

Doveva essere così. Il mio umore era irregolare, così tante emozioni mi stavano attraversando.

“Non sviarmi un'altra volta” puntualizzai.

Sospirò. “Va bene. Cosa vuoi?”

“Mi chiedevo se, sabato prossimo...” vidi lo shock attraversarle il viso, e soffocai un'altra risata. “Hai presente, il giorno del ballo di primavera...”

M'interruppe, finalmente riportando i suoi occhi dentro i miei. “Mi stai prendendo in giro?”

Sì. “Per cortesia, posso finire di parlare?”

Aspettò in silenzio, i denti premuti contro il suo labbro inferiore.

Quella vista mi distrasse per un secondo. Strane, sconosciute reazioni si agitarono profonde nel mio dimenticato cuore umano. Cercai di scacciarle così avrei potuto recitare la mia parte.

“Ti ho sentita dire che quel giorno hai in programma di andare a Seattle e volevo chiederti se accetteresti un passaggio,” offrii. Avevo realizzato che invece di domandarle dei suoi piani, avrei potuto farvene parte.

Mi fissò assente. “Cosa?”

“Vuoi un passaggio fino a Seattle?” Solo nella macchina con lei, la mia gola bruciò al pensiero. Presi un respiro profondo. Abituati.

“Da chi?” chiese, i suoi occhi ancora spalancati e confusi.

“Da me, ovviamente,” dissi lento.

“Perché?”

Era un così grande shock il fatto che volessi tenerle compagnia? Doveva aver usato i peggiori significati possibili per il mio comportamento passato.

“Beh...” dissi più indifferente possibile, “avevo intenzione di fare un salto a Seattle nelle prossime settimane e, onestamente, non sono sicuro che il tuo pick up possa farcela.” Sembrava più facile sottoporle il problema difficile piuttosto che permettermi di essere serio.

“Il mio pick up funziona più che bene, molte grazie per l'interessamento,” disse con voce sorpresa. Iniziò a camminare di nuovo. Mantenni il suo passo.

Non aveva risposto di no in realtà, così mi spinsi su quel vantaggio.

Avrebbe risposto di no? Cosa avrei fatto se lo avesse detto?

“Il tuo pick up ce la fa anche con un solo pieno di benzina?”

“Non credo siano affari tuoi,” borbottò.

Non era ancora un no. E il suo cuore stava battendo ancora più veloce, il suo respiro diventava più svelto.

“Lo spreco di riserve non rinnovabili è affare di tutta la comunità.”

“Seriamente, Edward, non riesco a seguirti. Pensavo non volessi essermi amico.”

Un brivido mi colpì quando pronunciò il mio nome.

Come potevo mantenermi sul leggero ed essere onesto allo stesso tempo? Bene, era molto più importante essere onesti. Soprattutto su questo punto.

“Ho detto che sarebbe meglio se non diventassimo amici, non che non voglio.”

“Oh, grazie, adesso è tutto molto più chiaro,” disse sarcasticamente.

Si fermò sotto il tetto della caffetteria, e incontrò di nuovo il mio sguardo. Il suo battito farfugliò. Era spaventata?

Scelsi le mie parole attentamente. No, non potevo lasciarla, ma forse lei era abbastanza intelligente da lasciare me, prima che fosse troppo tardi.

“Sarebbe molto più... prudente che tu non diventassi mia amica.” Fissando il cioccolato sciolto nelle profondità dei suoi occhi, persi la mia stretta sul leggero. “Ma sono stanco di costringermi ad evitarti, Bella.” Le parole bruciarono con troppo fervore.

Il suo respiro si fermò, e nel secondo che impiegò a ripartire, mi preoccupò.

Quanto l'avevo spaventata? Beh, lo avrei scoperto.

“Vieni con me a Seattle?” domandai, ad un punto cieco.

Annuì, il suo cuore tamburellando forte.

Sì. Mi aveva detto di sì.

E allora la mia coscienza mi scosse. Quanto le sarebbe costato?

“Sarebbe meglio se stessi lontana da me,” la avvertii. Mi aveva sentito? Sarebbe scappata dal futuro in cui la stavo rinchiudendo? Non avrei potuto far nulla per salvarla da me?

Mantieniti sul leggero, gridai a me stesso. “Ci vediamo a lezione.”

Dovetti concentrarmi a fermare me stesso dal correre mentre fuggivo.

6. Gruppo Sanguigno

La seguii per tutto il giorno attraverso gli occhi degli altri, appena consapevole di ciò che mi circondava.

Non attraverso gli occhi di Mike Newton, non avrei potuto sopportare oltre le sue offensive fantasie, e neanche quelli di Jessica Stanley, perché il suo risentimento per Bella mi faceva arrabbiare in un modo che non sarebbe stato sicuro per quella meschina ragazza. Angela Weber era una buona scelta per me, quando i suoi occhi erano disponibili; era buona – la sua testa era un posto sereno. A volte erano gli insegnanti che fornivano la vista migliore.

Fui sorpreso, guardandola inciampare nel corso della giornata – incespicando su crepe nel marciapiede, su libri sparsi, e, molto più spesso, sui suoi stessi piedi – che le persone che origliavo di nascosto pensassero che Bella fosse goffa.

Lo presi in considerazione. Era vero che spesso aveva problemi a stare dritta. La ricordai inciampare nel banco il primo giorno, scivolare sul ghiaccio prima dell’incidente, cadere sul bordo della porta ieri...Che strano, avevano ragione. Lei era goffa.

Non sapevo perché la trovassi così divertente, ma risi rumorosamente mentre camminavo dall’Aula di Storia verso quella di Inglese e diverse persone mi lanciarono occhiate diffidenti. Come avevo fatto a non essermene mai accorto prima? Forse perché c’era qualcosa di molto aggraziato in lei quando era ferma, il modo in cui reggeva il suo capo, l’arco del suo collo...

Adesso non c’era niente di aggraziato in lei. Il professor Varner la osservò mentre la punta del suo stivale si impigliava nel pavimento e cadeva letteralmente sulla sedia.

Risi ancora.

Il tempo trascorreva con inesorabile pigrizia, mentre io aspettavo la mia occasione per poterla vedere con i miei occhi. Finalmente, la campanella suonò. Mi diressi a grandi passi verso la caffetteria per assicurarmi un posto. Fui uno dei primi. Scelsi un tavolo che solitamente rimaneva vuoto, e che sicuramente sarebbe rimasto tale finché io vi fossi rimasto seduto.

Quando la mia famiglia entrò e mi vide seduto da solo in un nuovo posto, non furono sorpresi. Alice doveva averli avvertiti.

Rosalie camminò impettita oltrepassandomi senza uno sguardo.

Idiota.

Rosalie ed io non avevamo mai avuto rapporto facile – l’avevo offesa la prima volta che mi aveva udito parlare, e da allora andava sempre peggio – ma sembrava che in questi ultimi giorni fosse addirittura più stizzosa. Sospirai. Rosalie agiva soltanto per il proprio interesse personale.

Jasper mi fece un mezzo sorriso quando mi passò vicino.

Buona fortuna, pensò con un’aria dubbiosa.

Emmett alzò gli occhi al cielo e scosse la testa.

Ha perso la testa, povero ragazzo.

Alice era raggiante, i suoi denti risplendevano troppo chiaramente.

Posso parlare con Bella ora??

“Stanne fuori,” dissi sibilando.

Chinò il capo, ma poi si illuminò di nuovo.

Bene. Testardo. E’ solo una questione di tempo.

Sospirai ancora.

Non dimenticarti della lezione di biologia di oggi, mi ricordò.

Annuii. No, non l’avevo dimenticato.

Mentre aspettavo l’arrivo di Bella, la seguii attraverso gli occhi delle matricole che camminavano alle spalle di Jessica diretti alla caffetteria. Jessica stava blaterando dell’imminente ballo, ma Bella non diceva nulla. Non che Jessica gliene desse mai l’occasione.

Nel momento in cui Bella attraversò la porta della caffetteria, i suoi occhi scattarono verso il tavolo nel quale stavano seduti i miei fratelli. Li fissò per un istante, e poi accigliò tristemente e abbassò il suo sguardo a terra. Non mi aveva notato.

Sembrava così...triste. Sentii un bisogno irrefrenabile di alzarmi e portarmi al suo fianco, per consolarla in qualche modo, solo non sapevo cosa averebbe trovato confortante. Non avevo idea di cosa la facesse stare in quel modo. Jessica continuava a chiacchierare del ballo senza sosta. Bella era triste perché se lo sarebbe perso? Non sembrava logico...

Ma si poteva trovare un rimedio, se lo desiderava.

Comprò una bibita per pranzo e nient’altro. Era giusto? Non aveva bisogno di più nutrimento di quello? Non avevo mai prestato molta attenzione alla dieta degli umani prima d'ora.

Gli umani erano così esasperatamente fragili! C’erano milioni di cose diverse delle quali preoccuparsi…

“Edward Cullen ti sta fissando di nuovo,” sentii dire Jessica. “Chissà come mai oggi se ne sta da solo.”

Fui grato a Jessica, sebbene adesso fosse persino più risentita, perché la testa di Bella si alzò di scatto e i suoi occhi si misero alla ricerca finché non incontrarono i miei.

Ora non c’era traccia di infelicità sul suo viso. Lasciai che la speranza mi suggerisse che era triste perché pensava che avessi lasciato presto la scuola, e questa speranza mi fece sorridere.

Con il dito le feci segno di unirsi a me. Sembrò così stupita da questo fatto che mi venne voglia di stuzzicarla ancora.

Così le feci l’occhiolino, e la sua bocca si spalancò.

“Ce l’ha con te?” chiese Jessica scortesemente.

“Forse ha bisogno d’aiuto per i compiti di biologia,” disse con voce debole, incerta, “Uhm, penso che mi toccherà andare a sentire cosa vuole.”

Questo era un altro sì.

Incespicò due volte sul percorso verso il mio tavolo, sebbene non ci fosse nulla a intralciarla ma solo il linoleum perfettamente piatto. Seriamente, come avevo potuto lasciarmelo sfuggire prima? Avevo prestato più attenzione ai suoi pensieri silenziosi, ipotizzai...Cos’altro mi ero perso?

Sii onesto, sii chiaro, cantilenai a me stesso.

Si fermò dietro la sedia davanti a me, esitante. Inalai profondamente, dal naso stavolta anziché dalla bocca.

Senti il bruciore, pensai secco.

“Perché non mi fai compagnia, oggi?” le chiesi.

Tirò fuori la sedia e si sedette, fissandomi per l’intera durata dell’operazione. Sembrava nervosa, ma la sua accettazione fisica era ancora un sì.

Aspettavo che parlasse.

Gli occorse un momento, ma, finalmente, disse, “Così è diverso.”

“Beh...” esitai. “Ho pensato che se proprio devo andare all’inferno, tanto vale andarci in gran stile.”

Cosa mi aveva spinto a dirlo? Pensai che era onesto, almeno. E forse lei aveva udito l’esplicito avvertimento che le mie parole implicavano. Magari si sarebbe resa conto che avrebbe dovuto alzarsi e andarsene il più velocemente possibile...

Non si alzò. Mi fissava, in attesa, come se avessi lasciato la mia frase incompiuta.

“Sai bene che non ho la più pallida idea di cosa tu stai dicendo,” disse quando non continuai.

Era un sollievo. Sorrisi.

“Certo che lo so.”

Era difficile ignorare i pensieri che mi strillavano addosso da dietro la sua schiena – e avrei voluto comunque cambiare discorso.

“Credo che i tuoi amici siano arrabbiati con me perché ti ho rapita.”

Non sembrò preoccuparla. “Sopravvivranno.”

“Non è detto che ti restituisca, però.” Non sapevo ancora se adesso stessi cercando di essere onesto, o semplicemente se la stessi prendendo in giro. Stare vicino a lei rendeva difficile dare un senso ai miei pensieri.

Bella deglutì rumorosamente.

Risi della sua espressione. “Sembri preoccupata.” Non avrebbe dovuto proprio essere divertente...

Avrebbe dovuto preoccuparsi.

“No.” Era una pessima bugiarda; e la sua voce rotta non aiutò. “Sorpresa, più che altro...a cosa devo tutto questo?”

“Te l’ho detto,” le ricordai. “Sono stanco di sforzarmi di starti lontano. Perciò ci rinuncio.” Trattenni il sorriso sul mio volto con un piccolo sforzo. Non stava funzionando per niente – cercare di essere onesto e disinvolto allo stesso tempo.

“Rinunci?” ripeté, perplessa.

“Sì – rinuncio a sforzarmi di fare il bravo.” E, apparentemente, anche a sembrare disinvolto. “D’ora in poi farò solo ciò che mi va e mi prenderò quel che viene.”

Era abbastanza onesto. Lasciarle vedere il mio egoismo. Lasciare che ciò la mettesse in allarme, anche.

“Mi sono persa un’altra volta.”

Ero abbastanza egoista da essere lieto che fosse questo il caso. “Quando parlo con te mi lascio sempre scappare troppe cose – questo è uno dei problemi.”

Piuttosto insignificante, in confronto al resto.

“Non ti preoccupare,”mi tranquillizzò lei. “Tanto non ne capisco una.”

Bene. Allora sarebbe rimasta. “Ci conto.”

“La traduzione di tutto questo è che ora siamo amici?”

Riflettei per un secondo. “Amici...” ripetei. Non suonava bene. Non era abbastanza.

“Oppure no,” mormorò, imbarazzata.

Pensava di non piacermi così tanto?

Sorrisi. “Beh, possiamo provarci, immagino. Ma ti avviso da subito che non sarò un buon amico, per te.”

Rimasi in attesa della sua risposta, squarciato in due – sperando che avesse finalmente udito e capito, pensando che avrei potuto morire se l’avesse fatto. Che melodrammatico. Stavo ragionando da umano.

Il suo cuore iniziò a battere più veloce. “Continui a ripeterlo.”

“Sì, perché tu non mi dai ascolto,” dissi, di nuovo troppo intensamente. “Sto ancora aspettando che tu ci creda. Se sai quello che fai, cercherai di evitarmi.”

Ah, ma le avrei permesso di farlo, se ci avesse provato?

I suoi occhi si ridussero a una fessura. “A quanto pare ti sei fatto un’opinione piuttosto precisa della mia intelligenza.”

Non ero molto sicuro di quello che volesse dire, ma sorrisi per scusarmi, intuendo che dovevo averla offesa accidentalmente.

“Perciò,” disse lentamente. “Dato che per ora non so quello che faccio, possiamo provare ad essere amici?”

“Mi sembra una proposta sensata.”

Abbassò lo sguardo, fissando intensamente la bottiglia di limonata fra le sue mani.

La curiosità mi tormentava.

“A cosa stai pensando?” chiesi, fu un sollievo alla fine cacciare fuori quelle parole ad alta voce.

Incontrò il mio sguardo, e il suo respiro accelerò mentre le sue guance si tinsero di un lieve rosa. Inspirai, gustandomi l’aria.

“Sto cercando di capire cosa sei.”

Continuai a sorridere, bloccando i miei lineamenti in quell’espressione, mentre il panico mi contorceva.

Ovvio che se lo domandasse. Non era stupida. Non potevo sperare che sarebbe rimasta ignara di una cosa così evidente.

“E hai fatto qualche passo avanti?”, chiesi più disinvolto che potei.

“Non molti,”ammise lei.

Ridacchiai subito sollevato. “Hai una teoria?”

Non avrebbero potuto essere peggiori della realtà, non importava con cosa fosse venuta fuori,

Le sue guance avvamparono di nuovo di un rosso chiaro, e non disse nulla.

Potevo sentire il calore dell'imbarazzo nell’aria.

Provai a utilizzare su di lei il mio tono persuasivo. Funzionava bene sui normali umani.

“Non me la vuoi dire?” sorrisi incoraggiante.

Scosse la testa. “Troppo imbarazzante.”

Ugh. Non sapere era peggio di ogni altra cosa. Perché le sue considerazioni l’avrebbero imbarazzata? Non potevo sopportare di non saperlo.

“È una grossa frustrazione, lo sai.”

Le mie lamentele fecero scattare qualcosa in lei. I suoi occhi lampeggiarono e le sue parole scorsero con più rapidità del solito.

“No, non riesco proprio a immaginare cosa ci sia di frustrante, nel fatto che qualcuno si rifiuti di dirti cosa pensa e nel frattempo faccia anche piccole osservazioni criptiche proprio per toglierti il sonno quando ti sforzi di interpretarle...Cosa ci sarà mai di frustrante in tutto questo?”

Aggrottai le sopracciglia, turbato per aver capito che lei aveva ragione. Non mi stavo comportando correttamente.

Lei andò avanti. “Oppure, ammettiamo che questo qualcuno abbia anche fatto una serie di gesti strani. dal salvarti la vita in circostanze incredibili un giorno al trattarti come un’emarginata il giorno dopo, senza mai spiegare il suo comportamento, malgrado avesse promesso di farlo. Anche questo sarebbe estremamente non-frustrante?”

Era il discorso più lungo che le avessi sentito fare, e diede una nuova qualità per il mio elenco.

“Sbaglio o sei un po’ in collera?”

“Non mi piace il 'due pesi e due misure'.”

La sua irritazione era più che giustificata, naturalmente.

Guardai Bella, chiedendomi come potessi fare qualcosa di giusto per lei, fino a che l’urlare silenzioso nella testa di Mike Newton mi distrasse.

Era così furioso che mi fece ridere sotto i baffi.

“Cosa?”domandò.

“Il tuo amichetto è convinto che io sia scortese con te – sta decidendo se venire o no a interrompere il litigio.” L’avrei visto provare con piacere. Risi ancora.

“Non so di chi tu stia parlando,” disse gelida. “Ma sono sicura che ti sbagli.”

Mi piacque molto il modo in fui fece finta di non conoscerlo con quella sua frase sprezzante.

“Invece no. Te l’ho detto, di solito sono molto bravo a leggere le persone.”

“A parte me, ovviamente.”

“Sì. A parte te.” Sarebbe stata l’eccezione ad ogni cosa? Non sarebbe stato più giusto, considerando tutto il resto che avrei dovuto affrontare ora, se avessi potuto almeno sentire qualcosa dalla sua testa? Era chiedere tanto? “Chissà perché?”

Fissai i suoi occhi, provando ancora...

Distolse lo sguardo. Aprì la limonata e ne prese un sorso veloce, gli occhi fissi sul tavolo.

“Non hai fame?” chiesi.

“No.” Adocchiò il tavolo vuoto fra di noi. “E tu?”

“No, non ho fame,” dissi. Chiaramente non lo ero.

Osservò il tavolo con le labbra contratte. Aspettai.

“Mi faresti un favore?” chiese, incrociando di nuovo all’improvviso il mio sguardo.

Cosa avrebbe voluto da me? Avrebbe chiesto la verità che non mi era permesso rivelarle – la verità che non avrei mai, mai voluto che conoscesse?

“Dipende da quello che vuoi.”

“Non è granché,” mi promise.

Rimasi in attesa, di nuovo curioso.

“Mi chiedevo...”disse lentamente, concentrandosi sulla bottiglia di limonata, seguendone i contorni con le piccole dita. “Se ti andrebbe di farmelo sapere, la prossima volta che decidi di ignorarmi per il mio bene. Così mi posso preparare.”

Voleva un avvertimento? Quindi essere ignorata da me doveva essere una brutta cosa...sorrisi.

“Mi sembra corretto,” concordai.

“Grazie,” disse, alzando lo sguardo. Il suo volto era così sollevato che mi venne voglia di ridere del mio sollievo personale.

“In cambio, posso avere una risposta?” chiesi speranzoso.

“Una sola,” accettò.

“Spiegami una teoria.”

Arrossì. “Quella no.”

“Non hai specificato, mi hai solo promesso una risposta,” puntualizzai.

“Tu sei ancora in debito di una promessa,” ribatté lei.

Mi aveva in pugno.

“Solo una teoria: giuro che non mi metto a ridere.”

“Oh sì, lo farai.” Ne sembrava davvero certa, malgrado non potessi immaginare nulla al riguardo che potesse essere divertente.

Diedi un’altra opportunità alla mia persuasione. Fissai i suoi occhi intensamente – una cosa facile da fare con occhi così profondi – e sussurrai, “Per favore?”

Sbatté le ciglia, e il suo viso si sbiancò.

Beh, questa non era esattamente la reazione verso cui puntavo.

“Ehm, cosa?” chiese. Sembrava frastornata. Che problema aveva?

Ma non mi sarei arreso.

“Per favore, raccontami solo una teoria, una piccola,” mi appellai alla mia voce morbida e non-spaventosa, imprigionando i suoi occhi nei miei.

Con mia sorpresa e soddisfazione, finalmente funzionò.

“Ehm, dunque, sei stato morso da un ragno radioattivo?”

Fumetti? Non c’era da meravigliarsi se pensava che mi sarei messo a ridere.

“Poco originale,” la criticai, provando a nasconderle il mio sollievo.

“Scusa, ma di più non riesco a fare,” disse offesa.

Questo mi confortò anche di più. Ero ancora in grado di prenderla in giro.

“Non ci siamo proprio.”

“Niente ragni?”

“Nah.”

“Niente radioattività?”

“Niente.”

“Acci...,” sospirò.

“E la kriptonite non mi fa niente,” dissi velocemente – prima che lei potesse chiedere qualcosa riguardo ai morsi - e lì mi venne da ridere, perché lei pensava che io fossi un supereroe.

“Alt, avevi detto che non avresti riso.”

Serrai le labbra.

“Prima o poi capirò,” mi promise.

E quando lo avrebbe fatto, sarebbe scappata.

“Meglio che non ci provi,” dissi, mettendo da parte gli scherzi.

“Perché?”

Mi scocciava la sua onestà. Così, continuai a cercare di sorridere, e di rendere le mie parole meno spaventose. “E se non fossi il supereroe? Se fossi il cattivo?”

I suoi occhi si spalancarono per una frazione di secondo e le sue labbra si incurvarono ad un lato. “Oh,” disse.

E poi, dopo un altro secondo, “Capisco.”

Finalmente mi aveva dato retta.

“Davvero?” domandai, cercando di nascondere la mia agonia.

“Sei pericoloso?” intuì. Il suo respiro accelerò e quasi le venne il batticuore.

Non potei risponderle. Era il mio ultimo momento con lei? Sarebbe scappata adesso? Mi sarebbe stato permesso di dirle che l’amavo prima che se ne andasse? O l’avrebbe spaventata di più?

“Ma non cattivo,” sussurrò, scuotendo il capo, nessuna paura nei suoi occhi sereni. “No, non credo che tu sia cattivo.”

“Ti sbagli,” soffiai.

Certo che ero cattivo. Non stavo esultando ora, alla certezza che lei mi considerasse in un modo migliore di quello che meritavo? Se fossi stato una brava persona, sarei stato lontano da lei.

Allungai le mie mani sul tavolo, afferrando il tappo della limonata come distrazione. Non si ritrasse all’improvvisa vicinanza delle mie mani con le sue. Non era davvero spaventata da me. Non ancora.

Invece che guardare lei, fissavo il tappo che stavo facendo roteare come una trottola. I miei pensieri erano un ringhio.

Scappa, Bella, scappa. Non potevo permettermi di dire quelle parole ad alta voce.

Scattò in piedi. “Arriveremo in ritardo,” disse, proprio mentre iniziavo a preoccuparmi che lei avesse sentito il mio silenzioso avvertimento.

“Oggi non vengo a lezione.”

“Perché no?”

Perché non voglio ucciderti. “Saltare qualche volta le lezioni fa bene alla salute.”

Per essere precisi, era salutare per gli umani se i vampiri bigiassero i giorni in cui veniva versato sangue umano. Il professor Banner faceva la lezione sui gruppi sanguigni quel giorno. Alice aveva già saltato la sua lezione quella mattina.

“Beh, io ci vado,” disse. La cosa non mi stupì. Lei era responsabile – faceva sempre la cosa giusta.

Lei era il mio opposto.

“Allora ci vediamo più tardi,” dissi, cercando ancora di essere disinvolto, lo sguardo basso fisso al tappo roteante. E, comunque sia, ti adoro...in un modo spaventoso e pericoloso.

Lei esitò, e per un momento sperai che dopo tutto restasse con me.

Ma la campanella suonò e lei si affrettò ad andare.

Aspettai finché non se ne fosse andata, quindi mi misi il tappo in tasca, un ricordo di quella conversazione così ricca, e mi diressi attraverso la pioggia verso la mia macchina.

Misi il mio CD rilassante preferito – lo stesso che stavo ascoltando il primo giorno – ma non mi concentrai sulle note di Debussy per molto. Altre note mi stavano scorrendo in testa, un frammento di un motivo che mi ispirava e mi intrigava. Abbassai lo stereo e diedi ascolto alla musica nella mia mente, suonando quel frammento finché non divenne un’armonia completa.

Istintivamente, le mie dita si mossero nell’aria sopra i tasti di un pianoforte immaginario.

La nuova composizione mi stava venendo davvero bene quando la mia attenzione venne catturata da un’ondata di angoscia mentale.

Mi voltai verso quella sofferenza.

Sta per svenire? Cosa faccio? Mike era in preda al panico

Un centinaio di metri più in là, Mike Newton stava adagiando il corpo fiacco di Bella sul marciapiede. Lei si curvò indifferente sull’umido calcestruzzo, i suoi occhi chiusi, la sua pelle bianca come quella di un cadavere.

Quasi staccai la portiera dalla macchina.

“Bella?” urlai.

Non ci fu cambiamento nel suo volto senza vita quando strillai il suo nome.

Il mio intero corpo si fece più freddo del ghiaccio.

Fui consapevole della crescente sorpresa di Mike quando setacciai furiosamente i suoi pensieri. Stava solo pensando alla sua rabbia verso di me, quindi non sapevo che cosa avesse Bella. Se le aveva fatto qualcosa di male, l’avrei annientato.

“Cos’è successo – si è fatta male?” domandai, cercando di focalizzare i suoi pensieri. Era esasperante essere costretti a camminare a velocità umana. Non avrei dovuto richiamare l’attenzione sul mio arrivo.

Poi potei sentire il suo cuore palpitante e il suo respiro regolare. Mentre la controllavo, chiuse gli occhi strizzandoli con più forza. Questo gesto alleviò parte del mio panico.

Vidi un tratto dei ricordi di Mike, uno schizzo di immagini della classe di Biologia. La testa di Bella sul nostro tavolo, la sua pelle chiara colorarsi di verde. Gocce rosse sopra foglietti bianchi...

Determinazione del gruppo sanguigno.

Mi fermai lì dov’ero, trattenendo il respiro. Il suo profumo era una cosa, ma il suo sangue che scorreva era tutt’altro.

“Temo che sia svenuta,” disse Mike, ansioso e risentito allo stesso tempo. “Non so cos’è successo, non si è nemmeno punta il dito.”

Il sollievo scivolò dentro me, e respirai ancora, assaporando l’aria. Ah, potevo sentire nell’aria il piccolo flusso proveniente dalla puntura di Mike. Tempo fa, avrebbe potuto attrarmi.

Mi inginocchiai al suo fianco mentre Mike indugiò vicino a me, furioso del mio intervento.

“Bella. Mi senti?”

“No,” bofonchiò. “Vattene.”

Il sollievo fu così avvenente che scoppiai a ridere. Stava bene.

“La stavo portando dall’infermiera,” spiegò Mike. “Ma si è intestardita a rimanere qui.”

“La porto io. Tu puoi tornare in classe.” dissi sprezzante.

Mike serrò i denti. “No. È compito mio.”

Non avevo intenzione di stare a litigare con quel miserabile.

Eccitato e terrorizzato, mezzo grato e mezzo afflitto dalla difficile situazione la quale mi metteva nelle condizioni di doverla toccare, era una necessità, sollevai delicatamente Bella dal marciapiede e la presi tra le mie braccia, toccandone solo i vestiti, mantenendo maggiore distanza possibile tra i nostri corpi. Stavo procedendo dritto davanti a me a grandi passi, nell’impazienza di salvarla, più lontano possibile da me, in altre parole.

I suoi occhi si spalancarono di botto, attoniti.

“Rimettimi giù!” ordinò con voce debole – di nuovo imbarazzata, lo intuii dalla sua espressione. Non le piaceva mostrare debolezza.

Sentii a malapena le urla di protesta di Mike dietro di noi.

“Sei conciata proprio male,” le dissi, ridacchiando perché non c’era nulla che non andasse in lei tranne che vertigini e stomaco debole.

“Rimettimi sul marciapiede,” disse. Le sue labbra erano bianche.

“Perciò la vista del sangue ti fa perdere i sensi?” Avrebbe potuto essere più ironico?

Chiuse gli occhi e strinse le labbra.

“E dire che non era nemmeno il tuo,” il mio ghigno si allargò.

Eravamo davanti la segreteria. La porta era tenuta aperta di qualche millimetro, e la scalciai via dalla mia strada.

La signorina Cope sobbalzò, sorpresa. “Oh, cielo,” esclamò, mentre esaminava la cinerea ragazza fra le mie braccia.

“È svenuta durante biologia,” spiegai, prima che la sua immaginazione potesse farsi prendere troppo la mano.

La signorina Cope si affrettò ad aprire la porta dell’infermeria. Gli occhi di Bella erano ancora aperti, guardandola. Sentii la meraviglia interna dell’anziana infermiera mentre poggiavo la ragazza sul letto logoro. Appena Bella fu fuori dalle mie braccia, frapposi fra di noi la larghezza della stanza. Il mio corpo era troppo esaltato, troppo insaziabile, i miei muscoli tesi e il veleno abbondante. Era così calda e profumata.

“Ha avuto un leggero mancamento,” rassicurai la signora Hammond. “È reduce dalla lezione sui gruppi sanguigni.”

Lei annuì, comprensiva. “C’è sempre qualcuno che fa questa fine.”

Soffocai una risata. Ovvio che Bella fosse quel qualcuno.

“Resta un po’ sdraiata, piccola,” disse la signora Hammond. “Passerà.”

“Lo so,” disse Bella.

“Ti succede spesso?” chiese l’infermiera.

“Ogni tanto,” ammise Bella.

Provai a mascherare la mia risata con un colpo di tosse.

Questo portò su di me l’attenzione dell’infermiera. “Tu puoi tornare in classe,” disse.

La guardai dritto negli occhi e mentii con perfetta sicurezza. “Devo restare con lei.”

Hmm. Chissà...oh bene. La signora Hammond annuì.

Funzionò perfettamente con lei. Perché con Bella doveva essere così difficile?

“Vado a prenderti un po’ di ghiaccio da metterti sulla fronte, cara,” disse l’infermiera, leggermente a disagio a causa del mio sguardo – il modo in cui un umano si sarebbe dovuto sentire – e lasciò la stanza.

“Avevi ragione,” si lamentò Bella, chiudendo gli occhi.

Cosa voleva dire? Saltai alla conclusione peggiore: aveva accettato i miei avvertimenti.

“Certo, come al solito,” dissi provando a mantenere il tono divertito nella mia voce; che ora suonava acida. “Ma a cosa ti riferisci adesso, di preciso?”

“Saltare le lezioni fa davvero bene alla salute,” sospirò lei.

Ah, di nuovo sollievo.

Poi restò in silenzio. Si limitava a respirare lentamente. Le sue labbra iniziavano a ridiventare rosa. La sua bocca era leggermente fuori equilibro, il suo labbro inferiore un po’ troppo pieno per eguagliare quello superiore. Osservare la sua bocca mi fece sentire strano. Mi faceva venire voglia di avvicinarmi a lei, che non era proprio una buona idea.

“Per qualche minuto mi hai messo davvero paura,” dissi per rincominciare la conversazione così che potessi udire di nuovo la sua voce. “Pensavo che Mike Newton stesse trafugando il tuo cadavere per seppellirlo nel bosco.”

“Divertente,” disse.

“Seriamente, ho visto cadaveri con un colorito migliore.” Questa era la verità effettivamente. “Ero preoccupato di dover vendicare il tuo omicidio.” E lo avrei fatto.

“Povero Mike,” esalò. “Gli saranno saltati i nervi.”

La furia pulsò dentro di me, ma la contenni rapidamente. La sua preoccupazione di certo era solo compassione. Era gentile. Ecco tutto.

“Mi detesta con tutte le sue forze,” le dissi, acclamando l’idea.

“Non puoi saperlo.”

“La sua espressione era inconfondibile.” Probabilmente era vero che leggere il suo viso mi avrebbe dato abbastanza informazioni per fare quella deduzione. Tutta questa pratica con Bella aveva affilato la mia abilità a interpretare le espressioni umane.

“Come hai fatto a vedermi? Pensavo avessi marinato la scuola.” Il suo viso sembrava migliorato, la sfumatura verde era svanita dalla sue pelle tralucida.

“Ero in macchina, ascoltavo un CD.”

I suoi lineamenti si contrassero, come se la mia comune risposta l’avesse sorpresa in qualche modo.

Aprì gli occhi quando la signora Hammond ritornò con un pacco di ghiaccio.

“”Ecco qui, cara,”disse l’infermiera mentre lo posizionava sulla fronte di Bella. “Mi sembra che vada meglio.”

“Penso di sì,” disse Bella, e si sedette mettendo via l’impacco ghiacciato. Ovviamente. Non le piaceva essere al centro dell’attenzione.

Le mani rugose della signora Hammond si mossero verso la ragazza, come se avesse intenzione di rimetterla sdraiata, ma a quel punto la signorina Cope aprì la porta dell’ufficio sporgendosi al suo interno. Con la sua comparsa giunse l’odore di sangue fresco, solo uno colpo di vento.

Invisibile nell’ufficio dietro di lei, Mike Newton era ancora molto arrabbiato, sperando che il pesante ragazzo che stava trascinando ora fosse la ragazza che era qui con me.

“Ce n’è un altro,” annunciò la signorina Cope.

Bella saltò giù rapidamente dalla branda, ansiosa di allontanarsi dai riflettori.

“Tenga,” disse, restituendo l’impacco alla signora Hammond. “Non mi serve più.”

Mike spinse Lee Stevens oltre la porta con un grugnito. Il sangue stava ancora colando lungo la mano che Lee teneva sul viso, scorrendo piano verso il polso.

“Oh no.” Questo fu il segnale che per me era ora di andarmene,e anche quello di Bella, sembrava. “Esci, torna in segreteria, Bella.”

Lei mi fissò con occhi sconcertati.

“Fidati – vai.”

Girò rapida su se stessa e afferrò la porta prima che si chiudesse, passandoci in fretta attraverso l’ufficio. La seguii, pochi centimetri dietro di lei. I suoi capelli svolazzanti mi sfiorarono la mano...

Si girò a guardarmi, gli occhi ancora spalancati.

“Mi hai obbedito all’istante.” Era un inizio.

Storse il suo piccolo naso. “Ho sentito odore di sangue.”

La fissai, con espressione vuota, sorpreso. “L’odore del sangue non si sente.”

“Beh, io lo sento – ecco perché mi viene la nausea. Sa di ruggine...e di sale.”

Il mio viso si irrigidì, continuando a fissarla.

Davvero era ancora umana? Lei sembrava umana. Era soffice come un’umana. Odorava di umana, beh, meglio a dire il vero. Agiva come un umana...tipo. Ma non pensava come un’umana, né reagiva come tale.

Quali altre opzioni c’erano, quindi?

“Che c’è?”domandò.

“Niente.”

Poi Mike Newton ci interruppe, entrando nella stanza con pensieri violenti, pieni di risentimento.

“Sembra che tu stia meglio,” le disse scortese.

Le mie mani si contrassero, avrei voluto insegnargli le buone maniere. Dovevo controllarmi, o avrei finito veramente per uccidere questo ragazzo odioso.

“Basta che tu tenga la mano in tasca,” lo avvertì lei. Per un secondo di follia, pensai che stesse parlando con me.

“Non sanguina più,” le rispose controvoglia. “Rientri in classe?”

“Scherzi? Dovrei fare dietrofront appena arrivata per tornarmene qui.”

Questo era molto gradevole. Avevo pensato che avrei perso un’ora intera con lei, e ora invece avevo del tempo in più. Mi sentivo bramoso, sommerso ogni minuto da onde di avidità.

“Beh, immagino...” borbottò Mike. “Allora vieni, questo fine settimana? Alla spiaggia?”

Ah, avevano dei progetti. La rabbia mi immobilizzò sul posto. Era una gita di gruppo, dopo tutto. Avevo visto una cosa del genere nelle menti degli altri studenti. Non erano soli loro due. Ero ancora furioso. Mi appoggiai al bancone immobile, cercando di controllarmi.

“Certo, ho già detto che ci sarò,” gli promise.

Quindi gli aveva già detto di sì. La gelosia bruciava, più dolorosa della sete.

No, questa è solo un’escursione di gruppo, provai a convincere me stesso. Avrebbe semplicemente trascorso la giornata con gli amici. Niente di più.

“Appuntamento al negozio di mio padre alle dieci.” E Cullen NON È invitato.

“Ci sarò,” gli disse.

“D’accordo. Ci vediamo in palestra.”

“Ci vediamo,” replicò.

Si allontanò verso la sua classe strascicando i piedi, i suoi pensieri pieni d’ira. Cosa ci vedrà mai in quel mostro? Certo, è ricco, immagino. Le ragazze pensano che sia attraente, ma io non vedo nulla di tutto questo. Troppo...troppo perfetto. Scommetto che suo padre sperimenta la chirurgia plastica su tutti loro. Ecco perché sono tutti così belli e bianchi. Non è naturale. E lui è tipo...spaventoso. A volte, quando mi guarda, giurerei che sta pensando di uccidermi...criminale...

Mike non era poi così poco perspicace.

“No...ginnastica,” disse Bella piano. Un gemito.

La guardai, e mi accorsi che era ancora triste per qualcosa. Non ero sicuro del perché, ma era chiaro che non voleva andare alla sua lezione seguente con Mike, e io ero favorevole a quel piano.

Andai al suo fianco e mi curvai vicino al suo viso, sentendo il calore della sua pelle che veniva irradiato sulle mie labbra. Non respirai.

“Me ne occupo io, “mormorai. “Siediti e impallidisci.”

Fece quanto gli avevo chiesto, si sedette su una delle sedie pieghevoli e poggiò la sua testa all’indietro contro il muro, mentre, dietro di me, la signorina Cope usciva dall’infermeria e si dirigeva al suo bancone. Con gli occhi chiusi, sembrava che Bella fosse svenuta di nuovo. Il suo colorito non era ancora completamente tornato.

Mi girai verso la segretaria. Speravo sardonicamente che Bella prestasse attenzione a tutto questo. Questo era il modo in cui gli umani avrebbero dovuto rispondere.

“Signorina Cope?” chiesi, servendomi di nuovo della mia voce persuasiva.

Le sue ciglia sbatterono, e il battito del suo cuore accelerò. Troppo giovane, riprendi il controllo!

“Sì?”

Questo era interessante. Quando il battito cardiaco di Shelly Cope si faceva più frenetico, era perché mi trovava fisicamente attraente, non perché fosse spaventata da me. Ero abituato a questo con le femmine umane...non avevo ancora considerato quella spiegazione per l’accelerazione delle pulsazioni del cuore di Bella.

Mi piacque molto. Troppo, infatti. Sorrisi, e il respiro della signorina Cope si fece più rumoroso.

“La prossima lezione di Bella è in palestra, e non credo che si senta abbastanza bene. A dire la verità, credo sarebbe più opportuno che l’accompagnassi a casa. Potrebbe preparare una giustificazione per lei?” La guardai in quegli occhi poco penetranti, compiacendomi per la strage che causò nei suoi processi mentali. Era possibile che Bella...?

La signoria Cope dovette deglutire rumorosamente prima di rispondere. “Anche tu hai bisogno di una giustificazione, Edward?”

“No, io ho la professoressa Goff. Per lei non sarà un problema.”

Ora non stavo più prestandole molta attenzione. Stavo esplorando questa nuova possibilità. Hmm. Mi piaceva pensare che Bella mi trovasse attraente come gli altri umani, ma quando Bella aveva mai avuto le stesse reazioni degli altri umani? Non dovevo alimentare queste speranze.

“Bene, è tutto sistemato. Ti senti meglio, Bella?”

Bella annuì debolmente, esagerando un poco.

“Riesci a camminare o vuoi che ti porti ancora in braccio?” chiesi, divertito dalle sue scarse doti teatrali. Sapevo che avrebbe voluto camminare, non avrebbe voluto essere debole.

“Cammino,” disse.

Ancora giusto. Stavo migliorando.

Si alzò, esitante per un momento come per controllare il suo equilibrio. Le tenni la porta aperta, e uscimmo nella pioggia.

Osservai come sollevava il viso con gli occhi chiusi verso la debole pioggia, un sorriso leggero sulle labbra. Cosa sta pensando? Qualcosa in questa azione stonava, e capii velocemente perché quel comportamento mi paresse poco famigliare. Le ragazze normali di solito non alzavano il viso alla pioggia in quel modo; di solito le normali ragazze umane portavano il trucco, persino qui in questo posto umido.

Bella non si truccava mai, ne avrebbe dovuto. L’industria di cosmetici faceva milioni di dollari all’anno grazie a donne che provavano a realizzare una pelle come la sua.

“Grazie,” disse, sorridendomi ora. “Pur di saltare ginnastica vale quasi la pena di ammalarsi.”

Guardai oltre al campo, chiedendomi come potessi prolungare il mio tempo con lei. “Quando vuoi,”dissi.

“Allora sei in partenza? Questo sabato, intendo.” Aveva l’aria speranzosa.

Ah, la sua calma era rilassante. Voleva che ci fossi io con lei, non Mike Newton. E io avrei voluto dire di sì. Ma c’erano così tante altre cose da considerare. Per primo, questo sabato avrebbe brillato il sole...

“Dove andate, di preciso?” provai a mantenere il mio tono di voce neutro, come se non importasse molto. Comunque, Mike aveva detto spiaggia. Non c’erano molte possibilità di evitare il sole là.

“Giù a La Push, a First Beach.”

Dannazione. Beh, era impossibile, quindi.

Ad ogni modo, Emmett si sarebbe irritato se avessi cancellato i nostri programmi.

Abbassai lo sguardo su di lei, sogghignando ironicamente. “Non mi sembra di essere stato invitato.”

Lei sospirò, già rassegnata. “Ti sto invitando ora.”

“Per questa settimana è meglio che io e te non esageriamo, con il povero Mike. Non è il caso di fargli saltare i nervi.” Pensai a me stesso che faceva saltare il povero Mike, e l’immagine mentale mi piacque intensamente.

“Povero Mike,” disse, di nuovo sprezzante. Sorrisi ampiamente.

Poi iniziò a camminare allontanandosi da me.

Senza pensare alle mie azioni, la raggiunsi e l’afferrai dal retro della giacca a vento. Si fermò di colpo.

“Dove pensi di andare?” Ero quasi arrabbiato che mi stesse lasciando.

Non avevo passato abbastanza tempo con lei. Non poteva andarsene, non ancora.

“Vado a casa,” disse, perplessa che questo mi turbasse.

“Non hai sentito? Ho promesso di portarti a casa sana e salva. Pensi che ti lasci guidare in quelle condizioni?” Sapevo che non le sarebbe piaciuto, la mia implicazione alla sua debolezze. Ma avevo bisogno di allenarmi per l’uscita a Seattle, comunque. Vedere se potevo sopportare la sua vicinanza in uno spazio chiuso. Questo era un viaggio molto più corto.

“Quali condizioni?” domandò. “E il mio pick-up?”

“Te lo faccio riportare da Alice dopo la scuola.” La tirai indietro verso la mia auto con attenzione, siccome sapevo che camminare in avanti era già abbastanza impegnativo per lei.

“Mollami!” disse, attorcigliandosi di lato e quasi inciampando. Sporsi fuori una mano per acchiapparla, ma si raddrizzò prima che fosse necessario. Non avrei dovuto cercare scuse per toccarla. Questo mi fece pensare alla reazione che la signora Cope aveva avuto nei miei confronti, ma la archiviai per un altro momento. C’era così tanto da considerare su quel punto.

La lasciai andare di fianco alla mia macchina, e lei incespicò sbattendo sulla portiera. Avrei dovuto essere ancora più premuroso, tenere conto del suo scarso equilibrio...

“Quanto sei prepotente!”

“È aperta.”

Andai dalla mia parte e avviai la macchina. Lei teneva il suo corpo rigido, ancora fuori, nonostante la pioggia fosse aumentata e io sapevo che detestava il freddo e il bagnato. L’acqua le stava inzuppando i folti capelli, rendendoli più scuri quasi neri.

“Sono perfettamente in grado di guidare fino a casa!”

Certo che lo era – ero io che semplicemente non ero in grado di lasciarla andare.

Abbassai il finestrino e mi allungai verso di lei. “Sali, Bella.”

I suoi occhi si restrinsero, e intuii che stava considerando se scappare o no.

“Tanto ti riprendo,” promisi, gradendo il dispiacere sul suo volto quando capì che facevo sul serio.

Con il mento rigido, aprì la portiera e salì. I suoi capelli le gocciolavano sulla pelle e i suoi stivali squittivano l’uno contro l’altro.

“Non ce n’è bisogno,” disse freddamente. Pensai che sotto la rabbia si sentisse imbarazzata.

Mi limitai a accendere il riscaldamento cosicché non si sentisse a disagio, e misi la musica ad un gradevole livello di sottofondo. Guidai fuori verso l’uscita, osservandola con la coda dell’occhio. Il suo labbro inferiore sporgeva ostinatamente. Lo fissai, esaminando come mi facesse sentire...pensando di nuovo alla reazione della segretaria...

All’improvviso lei guardò lo stereo e sorrise, i suoi occhi si spalancarono. “Clair de lune?”chiese.

Una fan dei classici? “Conosci Debussy?”

“Non bene,” disse. “Mia madre ascolta sempre un sacco di musica classica in casa, io riconosco solo i miei preferiti.”

“È anche uno dei miei preferiti.” Osservai la pioggia, riflettendo. Curiosamente, avevo qualcosa in comune con la ragazza. Avevo iniziato a pensare che fossimo opposti in tutto.

Sembrava più rilassata adesso, osservando la pioggia come me, senza vedere nulla. Mi servii della sua momentanea distrazione per provare a respirare.

Inspirai dal naso con attenzione.

Potente.

Afferrai con forza il volante. La pioggia rendeva il suo profumo migliore. Non avrei pensato che fosse possibile. Stupidamente, immaginai che sapore avrebbe avuto.

Provai a deglutire per placare le fiamme nella mia gola, a pensare a qualcos’altro.

“Com’è tua madre?” chiesi per distrarmi.

Bella sorrise. “Mi somiglia molto, ma è più carina.”

Ne dubitavo.

“Io ho troppo in comune con Charlie,” continuò. “Lei è più estroversa di me, e più coraggiosa”

Anche di questo ne dubitavo.

“Ed è una persona irresponsabile e piuttosto eccentrica, nonché cuoca imprevedibile. È la mia migliore amica.” La sua voce era diventata malinconica; la sua fronte era aggrottata.

Di nuovo, suonò più come se fosse un genitore piuttosto che una figlia.

Mi fermai di fronte a casa sua, chiedendomi troppo tardi se avessi dovuto sapere dove viveva. No, non avrebbe destato sospetti in una città tanto piccola, con suo padre come figura pubblica...

“Quanti anni hai, Bella?” Doveva essere più grande dei suoi coetanei. Forse aveva iniziato la scuola più tardi, o era stata bocciata...non era verosimile, comunque.

“Diciassette,” rispose.

“Non li dimostri.”

Rise.

“Che c’è?”

“Mia madre dice sempre che quando sono nata avevo già trentacinque anni e che ormai sono vicina alla mezza età.” Rise di nuovo, e sospirò. “Beh, qualcuno dovrà pur fare la parte dell’adulto.”

Questo mi chiarì le cose. Potevo vedere ora...come la madre irresponsabile aiutasse a spiegare la maturità di Bella. Aveva dovuto crescere presto, per prendersi cura di tutto.

Ecco perché non sembrava che le importasse, lo sentiva come se fosse il suo lavoro.

“Neanche tu hai tanto l’aria di uno studente del terzo anno,” disse, distraendomi dalle mie fantasticherie.

Feci una smorfia. Per ogni cosa che riuscivo a percepire di lei, lei ne percepiva troppe in cambio. Cambiai discorso.

“Come mai tua madre ha sposato Phil?”

Esitò un minuto prima di rispondere. “Mia madre... si sente più giovane della sua età. Penso che Phil la faccia sentire ancora più giovane. E comunque, è pazza di lui.” Scosse la testa in modo indulgente.

“Approvi?” le chiesi.

“Importa qualcosa?” chiese lei. “Voglio che sia felice...e lui è ciò che desidera.”

L’altruismo del suo commento mi avrebbe impressionato, se non avesse calzato troppo con quello che avevo imparato del suo carattere.

“Mi sembra un atteggiamento come minimo...generoso.”

“Cosa?”

“Pensi che si comporterebbe allo stesso modo con te? Su chiunque cadesse la tua scelta?”

Era una domanda sconsiderata, e non potei mantenere la mia voce disinvolta mentre gliela chiedevo.

Quanto era stupido ritenere che qualcuno potesse mai approvare me per le loro figlie. Quanto era stupido pensare che Bella mi scegliesse.

“P-penso di sì,” balbettò, in qualche modo reagendo al mio sguardo. Paura o...attrazione?

“Ma in fin dei conti la mamma è lei. È un po’ diverso,” terminò.

Sorrisi ironicamente. “Niente ragazzi spaventosi, quindi.”

Ghignò. “Cosa intendi per “spaventosi”? Piercing facciali multipli e tatuaggi dappertutto?”

“Anche...per esempio.” Una definizione davvero poco minacciosa, ai miei occhi.

“E cos’altro, secondo te?”

Chiedeva sempre la cosa sbagliata. O esattamente la domanda giusta, forse.

Quelle a cui non volevo rispondere, ad ogni modo.

“Pensi che io potrei essere spaventoso?” le chiesi, provando un po' a sorridere.

Ci pensò su prima di rispondermi con voce seria. “Hmm...penso che potresti esserlo, se volessi.”

Anche io ero serio. “In questo momento hai paura di me?”

Rispose subito, senza pensarci. “No.”

Sorrisi più facilmente. Non pensavo che mi stesse dicendo tutta la verità, ma non mi stava veramente mentendo. Almeno, non era abbastanza spaventata da andarsene. Mi chiesi come si sarebbe sentita se le avessi detto che stava discutendo con un vampiro. Rabbrividii dentro di me pensando alla sua reazione.

“Adesso mi racconti tu qualcosa della tua famiglia? Senz’altro è una storia molto più interessante della mia.”

Una più terrificante, almeno.

“Cosa vuoi sapere?” chiesi circospetto.

“È vero che i Cullen ti hanno adottato?”

“Sì.”

Esitò, poi parlò con voce ridotta. “Cos’è successo ai tuoi genitori?”

Non era così dura; non avrei dovuto nemmeno mentirle. “Sono morti parecchi anni fa.”

“Mi dispiace,” mormorò, chiaramente preoccupata di avermi ferito.

Lei era preoccupata per me.

“Non ricordo granché di loro,”le assicurai. “Carlisle e Esme sono i miei genitori da parecchio tempo.”

“E gli vuoi bene,”dedusse.

Sorrisi. “Sì. Non potrei immaginare due persone migliori.”

“Sei molto fortunato.”

“Lo so.” In quella circostanza, parlando dei genitori, la mia fortuna non poteva essere negata.

“E i tuoi fratelli?”

Se l’avessi lasciata fare pressione per troppi dettagli, avrei dovuto mentirle. Diedi un’occhiata all’orologio, abbattuto che il mio tempo con lei fosse finito.

“Mio fratello e mia sorella, oltre a Jasper e a Rosalie, si innervosiranno parecchio se gli toccherà aspettarmi sotto la pioggia.”

“Oh, scusa, immagino che tu sia in ritardo.”

Non si mosse. Anche lei non voleva che il nostro tempo terminasse. Questo mi piacque davvero, davvero tanto.

“E immagino che tu rivoglia indietro il tuo pick-up prima che l’ispettore Swan torni a casa, così non dovrai dirgli dell’incidente di biologia.” Sorrisi ricordando il suo imbarazzo fra le mie braccia.

“Di sicuro sa già tutto. A Forks non ci sono segreti.” Disse il nome della città con palese disgusto.

Risi alle sue parole. Niente segreti, sicuramente. “Divertiti alla spiaggia.” Lanciai un’occhiata alla pioggia scrosciante, sapendo che non sarebbe durato, e sperando con più forza del solito che durasse. “C’è il tempo giusto per prendere il sole.” Beh, ci sarebbe stato di Sabato. Le sarebbe piaciuto.

“Domani non ci vediamo?”

La preoccupazione del suo tono mi fece piacere.

“No. Io ed Emmett anticipiamo il weekend.” Adesso ero furioso con me stesso per avere fatto programmi. Avrei potuto disdire...ma non c’era cosa come cacciare troppo a quel punto, e la mia famiglia si stava preoccupando abbastanza del mio comportamento senza che rivelassi loro quanto stessi diventando ossessivo.

“Cosa fate?” chiese, la sua voce non suonava felice dopo la mia rivelazione.

Bene.

“Andiamo a fare trekking nella riserva di Goat Roks, a sud del monte Rainier.”

Emmett era ansioso della stagione degli orsi.

“Oh be’, divertitevi,” disse incerta. La sua mancanza di entusiasmo mi rese ancora felice.

Mentre la guardavo, iniziai a sentirmi quasi agonizzato al pensiero di doverla salutare, seppure momentaneamente. Era così tenera e vulnerabile. Sembrava temerario lasciarla fuori dalla mia vista, dove le sarebbe potuto accadere di tutto. Eppure, la cose peggiori che sarebbero potute accaderle avrebbero dovuto cominciare stando con me.

“Faresti una cosa per me, questo weekend?” le chiesi serio.

Annuì, i suoi occhi spalancati e sconcertati dall’intensità dei miei.

Sii chiaro.

“Non offenderti, ma tu sembri il classico genere di persona che attrae gli incidenti come una calamita. Perciò...cerca di non cadere nell’oceano, di non farti investire, o chissà cos’altro, d’accordo?”

Le sorrisi addolorato, sperando che non potesse vedere la tristezza nei miei occhi. Quanto desideravo che non fosse meglio lontano da me, non importava cosa sarebbe potuto accaderle.

Scappa, Bella, scappa. Ti amo troppo, per il tuo bene o il mio.

Si offese dalla mia provocazione. Mi fissò fredda. “Ci proverò,” disse secca, saltando fuori nella pioggia e sbattendo la porta più forte che poté dietro di lei.

Come un gattino arrabbiato che crede di essere una tigre.

Strinsi la mano sulla chiave che le avevo appena preso dalla tasta della giacca, e sorrisi mentre mi allontanavo guidando.

7. Melodia

Dovetti aspettare prima di far ritorno a scuola. L'ultima ora non era ancora finita. Bene, visto che avevo alcune cose a cui pensare e avevo bisogno di farlo da solo.
Il suo odore indugiava nella macchina. Tenni i finestrini alzati, lasciando che mi assalisse, cercando di abituarmi alla sensazione di intenzionale bruciore della mia gola.
Attrazione.
Era da considerare una cosa problematica. Così sfaccettata, così piena di diversi significati e strati. Non la stessa cosa dell'amore, ma legata ad esso in modo inestricabile.
Non avevo idea se Bella era attratta da me. (Il silenzio della sua mente sarebbe diventato ancora e ancora più frustrante tanto da condurmi alla pazzia? O infine avrei raggiunto il limite?)
Provai a paragonare le sue risposte fisiche a quelle delle altre, come la segretaria e Jessica Stanley, ma il paragone fu inconcludente. Le stesse caratteristiche, cambio del battito e lo schema del respiro, potevano soltanto significare paura o shock o ansia, come avevano dimostrato. Sembrava improbabile che Bella potesse intrattenersi con lo stesso tipo di pensieri che Jessica Stanley era solita avere. Dopo tutto, Bella sapeva benissimo che c'era qualcosa di sbagliato in me, anche se non sapeva cosa esattamente. Aveva toccato la mia pelle ghiacciata, e poi ritirato la mano dal freddo.
E ancora... ricordavo quelle fantasie che mi avevano disgustato, ma ricordarle con Bella al posto di Jessica...
Stavo respirando più velocemente, il fuoco che mi attanagliava su e giù lungo la gola.
E se Bella mi avesse immaginato stringere il suo corpo delicato tra le mie braccia? Spingendola stretta verso il mio petto e per poi prenderle il mento tra le mani? Separando la pesante cortina di capelli neri dal suo viso arrossato? Tracciando la forma delle sue labbra piene con il mio dito? Abbassando il mio volto vicino al suo, dove avrei potuto sentire il calore del suo respiro sulla mia bocca? Muovendomi ancora più vicino...
Ma poi mi scossi dalle mie fantasie, sapendo, come sapevo mentre Jessica immaginava queste cose, cosa sarebbe accaduto se mi fossi avvicinato a lei.
L'attrazione era un dilemma impossibile, perché ero già troppo attratto da Bella nel modo sbagliato.
Volevo che Bella fosse attratta da me, come una donna da un uomo?
Questa era una domanda sbagliata. La domanda giusta era: volevo che Bella fosse attratta da me in quel modo?, e la risposta era no. Perché io non ero umano, e non sarebbe stato giusto per lei.
Con ogni fibra del mio essere, desiderai essere un uomo normale, così avrei potuto tenerla tra le braccia senza rischiare la sua vita. Così avrei potuto essere libero di vorticare tra le mie fantasie, fantasie che non sarebbero mai finite con il sangue tra le mie mani, il suo sangue scintillante dentro i miei occhi.
Il mio attaccamento verso di lei era indifendibile. Che tipo di relazione potevo offrirle, quando non potevo rischiare di toccarla?
Poggiai la testa tra le mani.
Era tutto molto confuso perché non mi ero mai sentito tanto umano nella mia intera esistenza, neanche quando ero ancora mortale, per quello che potevo ricordare. Quando ero stato in vita, i miei pensieri erano tutti rivolti alla gloria da soldato. La Grande Guerra imperversava durante i miei anni giovanili, e quando aveva colpito l'influenza mancavano soltanto nove mesi al mio diciottesimo compleanno... Avevo solo una vaga impressione di quegli anni da umano, i ricordi bui svanivano con il passare dei decenni. Ricordavo mia madre molto più chiaramente, e avvertii l'antico dolore al pensiero del suo volto. Richiamai alla mente in modo indistinto come avesse detestato il futuro che avevo rincorso con desiderio, pregando ogni notte mentre lei a cena con chiedeva che “l'orribile guerra” finisse... Non avevo ricordi di altri tipi di desiderio. Oltre l'amore di mia madre, non c'era nessun altro amore che mi avrebbe fatto sperare di rimanere...
Questo per me era completamente nuovo. Non avevo confronti da eguagliare, né paragoni da fare. L'amore che provavo per Bella era arrivato in modo puro, ma ora le acque si erano infangate. Volevo davvero essere capace di toccarla. Si sentiva anche lei nello stesso modo?
Non importava, cercai di convincere me stesso.
Fissai le mie mani bianche, odiando la loro durezza, la loro freddezza, la loro forza disumana...
Saltai quando la porta del passeggero si aprì.
Ah. Colto di sorpresa. C'è sempre una prima volta, pensò Emmett mentre scivolava sul sedile. “Scommetto che la professoressa Goff pensa che ti droghi, ultimamente ti sei comportato in modo così strano. Dove sei stato oggi?”
“Ero a fare... buone azioni.”
Eh?
Ridacchiai. “Prendersi cura dei malati, cose del genere.”
Lo confusi di più, ma poi inspirò e catturò il suo odore in macchina.
“Oh. Ancora la ragazza?”
Feci una smorfia.
Questo sta diventando strano.
“Dimmi che ne pensi,” mormorai.
Inspirò di nuovo. “Hmm, ha un sapore abbastanza buono, no?”
Un ringhiò proruppe dalle mie labbra prima che registrassi del tutto le sue parole, una risposta automatica.
“Calma, ragazzo, stavo solo facendo una considerazione.”
Poi arrivarono gli altri. Rosalie notò l'odore e mi lanciò uno sguardo torvo, la sua irritazione non era ancora passata. Pensai a quale fosse il suo problema, ma tutto ciò che riuscii a sentire furono solo insulti.
Non mi piacque neanche la reazione di Jasper. Come Emmett, notò l'attrazione di Bella. Non che l'odore fosse per loro una milionesima parte dell'attrazione che era per me. Ero soltanto turbato che il suo sangue gli sembrasse dolce. Jasper aveva poco controllo...
Alice saltò in macchina accanto a me e tese la mano per le chiavi del pick up di Bella.
“Ho visto solo questo,” disse, ermetica come sempre. “Mi dirai il perché.”
“Questo non vuol dire che...”
“Lo so, lo so. Aspetterò. Non durerà a lungo.”
Sospirai e le diedi le chiavi.
La seguii verso casa di Bella. La pioggia colpiva come milioni di piccoli martelli, così forte che forse le orecchie umane di Bella non avrebbero sentito il tuono del motore del pick up. Osservai la sua finestra, ma non venne a guardare. Forse non era lì. Non c'erano atri pensieri da sentire.
Mi rese triste non poter sentire abbastanza per controllarla, per essere sicuro che fosse felice, o in salvo, almeno.
Alice montò su e corremmo verso casa. La strada era vuota, così impiegammo solo pochi minuti. Ci radunammo in casa, e poi ci dedicammo ai vari passatempi.
Emmett e Jasper erano nel mezzo di un'elaborata partita a scacchi, utilizzando otto tavole (distribuite lungo il muro di vetro) e sulle loro complicate regole. Non mi avrebbero lasciato giocare, solo Alice giocava con me.
Alice si avviò verso il suo computer vicino l'angolo e potei sentire il monitor accendersi. Alice stava lavorando a dei progetti di moda per il guardaroba di Rosalie, ma Rosalie oggi non vi avrebbe preso parte, rimanendo dietro di lei e conducendo i tagli e i colori mentre la mano di Alice disegnava sopra una lavagnetta sensibile(Carlisle ed io dovemmo modificare il sistema, visto che molte lavagnette rispondevano alla temperatura). Oggi invece, Rosalie si sdraiò arcigna sul divano e iniziò a cambiare venti canali al secondo sullo schermo ultrapiatto, senza fermarsi. Potevo sentirla mentre decideva se andare o meno in garage e aggiustare ancora una volta la sua BMW.
Esme era di sopra, canticchiando sopra un nuovo set di tessuti lavanda.
Alice sporse la testa dall'angolo per un momento e iniziò a svelare i successivi movimenti di Emmett, seduto sul pavimento con la schiena rivolta verso di lei, a Jasper, il quale mantenne la sua espressione calma mentre mangiava il cavallo preferito di Emmett.
E io, mi vergognai per quanto tempo era passato, andai a sedermi al raffinato pianoforte posizionato vicino l'entrata.
Feci correre gentilmente le mie dita lungo i tasti, provando il timbro. Gli accordi erano ancora perfetti.
Di sopra, Esme si bloccò e piegò la testa di lato.
Iniziai il primo sparito di note che mi avevano ispirato oggi in macchina, lieto che suonassero anche meglio di come le avevo immaginate.
Edward sta suonando di nuovo, pensò Esme con gioia, un sorriso le attraversò il viso. Si alzò dalla scrivania, e volteggiò silenziosamente verso le scale.
Aggiunsi una riga armonizzante, lasciando che la melodia centrale vi s'intrecciasse.
Esme sospirò di felicità, seduta sullo scalino più alto, appoggiando la testa contro la balaustra. Una nuova canzone. E' da tanto tempo. Che melodia deliziosa.
Lasciai che la melodia prendesse una nuova direzione, seguendola con toni bassi.
Edward sta componendo di nuovo? Pensò Rosalie, e i suoi denti si strinsero in un intenso risentimento.
In quel momento, fece un errore, e riuscii a leggere tutta l'implicita offesa. Vidi perché era in collera con me. Perché uccidere Isabella Swan non avrebbe turbato più di tanto la sua coscienza.
Con Rosalie, era sempre una questione di vanità.
La musica si fermò all'improvviso, e risi prima che potessi impedirmelo, un acuto latrato di divertimento che si spezzò velocemente mentre mi portavo la mano sulla bocca. Rosalie si voltò a lanciarmi uno sguardo feroce, i suoi occhi brillavano di un umuliante furia.
Anche Emmett e Jasper si voltarono a guardarmi, e sentii la confusione di Esme. Esme scese in un baleno, fermandosi a lanciare un'occhiata a me e Rosalie.
“Non fermarti, Edward,” m'incoraggiò Esme dopo un momento di tensione.
Ricominciai a suonare di nuovo, girando la mia schiena a Rosalie mentre cercavo con difficoltà di controllare il ghigno sul mio viso. Lei si alzò in piedi e si avviò fuori la stanza, più arrabbiata che imbarazzata. Ma sicuramente abbastanza imbarazzata.
Se dici qualcosa ti darò la caccia come un cane.
Trattenni un'altra risata.
“Che c'è Rose?” la chiamò Emmett. Rosalie non si girò. Continuò, la schiena dritta, verso il garage e poi si contorse sotto la sua macchina come se si stesse seppellendo.
“Cosa c'è?” mi chiese Emmett.
“Non ne ho la minima idea,” mentii.
Emmett borbottò, frustrato.
“Continua a suonare,” m'incitò Esme. Le mie mani si erano fermate di nuovo.
Feci come aveva chiesto, e venne dietro di me, poggiando le mani sulla mia schiena.
La canzone era interessante, ma incompleta. Giocai con un accordo, ma non sembrò in qualche modo corretto.
“E' affascinante. Ha un nome?” chiese Esme.
“Non ancora.”
“Vi è una storia collegata?” domandò, un sorriso nella sua voce. Questo le dava un immenso piacere, e mi sentii in colpa per averle negato la mia musica per così tanto tempo. Ero stato egoista.
“E'... una ninna nanna, suppongo.” Trovai l'accordo giusto. Si legò con facilità al movimento successivo, prendendo vita da solo.
“Una ninna nanna,” ripeté a se stessa.
Vi era una storia dietro questa melodia, e una volta che lo capii, tutti i pezzi si ricomposero facilmente. La storia era una ragazza addormentata in uno stretto letto, dai capelli neri folti e arruffati e contorta come un'alga sopra il cuscino...
Alice lasciò Jasper alle sue congetture e venne a sedersi accanto a me sulla panca. Nella sua trillante, melodiosa voce, abbozzò una canzone senza parole superiore alla melodia di due ottave.
“Mi piace,” mormorai. “Ma che ne dici di questo?”
Aggiunsi la sua fila alla melodia, le mie mani volavano attraverso i tasti ora che i pezzi si erano ricomposti, modificandola un po', portandola in una nuova direzione...
Catturò l'inclinazione e cantò.
“Sì. Perfetta,” dissi.
Esme mi strinse la spalla.
Ma adesso potevo vedere la fine, ora che la voce di Alice sorgeva sopra la melodia e la portava verso altre parti. Potevo vedere come doveva finire la canzone, perché la ragazza addormentata era perfetta così com'era, e qualsiasi cambiamento sarebbe stato sbagliato, malinconico. La canzone vagò verso la comprensione, più lenta e più bassa adesso. Anche la voce di Alice si abbassò, e divenne solenne, una melodia che apparteneva ad archi echeggianti di una cattedrale illuminata da candele.
Suonai l'ultima nota, e poi inchinai la mia testa sulla tastiera.
Esme mi arruffò i capelli. Andrà tutto bene, Edward. Funzionerà per il meglio. Tu meriti la felicità, figlio mio. Il destino te lo deve.
“Grazie,” sussurrai, sperando di poterci credere.
L'amore non arriva sempre ad offerte vantaggiose.
Risi senza umorismo.
Tu, rispetto a chiunque su questo pianeta, sei forse il miglior equipaggiato ad affrontare una tale difficoltà. Sei il migliore e il più brillante tra tutti noi.
Sospirai. Ogni madre pensa lo stesso del proprio figlio.
Esme era piena di gioia che il mio cuore dopo tutto questo tempo fosse stato finalmente toccato, non importava la tendenza alla tragedia. Aveva pensato che sarei per sempre rimasto solo...
Ti amerà, pensò all'improvviso, cogliendomi di sorpresa per la direzione dei suoi pensieri. Se è una ragazza sveglia. Sorrise. Ma non posso immaginare nessuno così lento da non cogliere quello che sei.
“Smettila, mamma, mi stai facendo arrossire,” la presi in giro. Le sue parole, per quanto improbabili, mi risollevarono.
Alice rise e scelse una parte alta di “Cuore e Anima.” Sorrisi e completai la semplice armonia con lei. Poi la favorii con una performance di “Chopsticks”.
Ridacchiò, poi sospirò. “Spero che mi dirai perché stavi ridendo di Rosalie prima,” disse Alice. “Ma posso vedere che non lo farai.”
“Nah.”
Mi tirò le orecchie.
“Sii buona, Alice,” la rimproverò Esme. “Edward si sta comportando da gentiluomo.”
“Ma io voglio saperlo.”
Risi del suo tono lamentoso. Poi dissi, “Ecco, Esme,” e iniziai a suonare la sua canzone preferita, un innominato tributo all'amore tra lei e Carlisle per così tanti anni.
“Grazie, caro,” mi strinse di nuovo la spalla.
Non dovevo concentrarmi a suonare il pezzo familiare. Invece pensai a Rosalie, ancora umiliata in garage, e sorrisi a me stesso.
Aver scoperto la potenza della sua gelosia nei miei confronti aveva aumentato la mia pietà per lei. Era un modo miserabile di sentirsi. Certo, la sua gelosia era un milione di volte più meschino del mio. Abbastanza quanto la volpe in una scena del presepio.
Riflettei come la vita e la personalità di Rosalie sarebbero state diverse se non fosse stata sempre bellissima. Sarebbe stata una persona più felice se la sua bellezza non fosse stata tutte le volte il suo più forte e ingannevole scopo? Meno egocentrica? Più compassionevole? Beh, supposi che era inutile pensarci, perché non si poteva cambiare il passato, e lei era sempre stata bella. Anche da umana, aveva vissuto la sua avvenenza sotto i riflettori. Non che se ne preoccupasse. Anzi l'opposto, amava essere ammirata più di ogni altra cosa. Non era cambiato nulla con la perdita della sua mortalità.
Non era una sorpresa quindi, prendendo il suo bisogno come un dono, che si fosse sentita offesa quando io, sin dall'inizio, non aveva venerato la sua bellezza come si aspettava che tutti gli uomini facessero. Non che lei mi volesse in quel senso, era molto lontana. Però le seccava che non la volessi, dopotutto. Era abituata ad essere desiderata.
Era diverso con Jasper e Carlisle, entrambi erano già innamorati. Io ero completamente libero, e ancora rimanevo ostinatamente freddo.
Pensavo che quel vecchio risentimento fosse stato sepolto. Che l'avesse superato.
E così era stato... fino al giorno in cui, infine, avevo scoperto qualcuno la cui bellezza mi toccava in un modo che la sua non aveva mai fatto.
Rosalie era stata confortata dal fatto che non avessi trovato la sua bellezza degna di venerazione, allora di sicuro nessun'altra bellezza avrebbe potuto raggiungermi. Si era infuriata nel momento in cui avevo salvato la vita di Bella, indovinando, con la sua acuta intuizione femminile, l'interesse di cui ero ancora inconscio.
Rosalie era offesa a morte che trovassi un'insignificante umana più attraente di lei.
Trattenni il desiderio di ridere.
Mi disturbava, comunque, il modo in cui vedeva Bella. Rosalie in realtà pensava che la ragazza fosse brutta. Come poteva crederlo? Mi sembrava incomprensibile. Un prodotto della sua gelosia, senza dubbio.
“Oh!” Disse Alice all'improvviso. “Jasper, indovina?”
Vidi quello che aveva appena visto, e le mie mani si bloccarono sulla tastiera.
“Cosa, Alice?”
“Peter e Charlotte verrano a farci visita la prossima settimana! Saranno nelle vicinanze, non è bello?”
“Cosa c'è, Edward?” chiese Esme, avvertendo la tensione nelle mie spalle.
“Peter e Charlotte stanno venendo a Forks” sibilai ad Alice.
Alzò gli occhi verso di me. “Calmati, Edward. Non è la loro prima visita.”
Strinsi i denti. Era la loro prima visita da quando era arrivata Bella, e il suo sangue dolce non era attraente solo per me.
Alice si accigliò alla mia espressione. “Non hanno mai cacciato qui. Lo sai.”
Ma il fratello di Jasper e la piccola vampira che amava non erano come noi; loro cacciavano nel solito modo. Non potevano avere obblighi verso Bella.
“Quando?” domandai.
Strinse tristemente le sue labbra, però mi disse ciò che volevo sapere. Lunedì mattina. Nessuno farà del male a Bella.
“No,” concordai, e poi le voltai la schiena. “Sei pronto, Emmett?”
“Pensavo partissimo di mattina.”
“Torneremo domenica a mezzanotte. Penso che spetti a te quando partire.”
“Okay, va bene. Fammi salutare Rosalie.”
“Certo.” Con l'umore in cui era Rosalie, sarebbe stato un saluto veloce.
Sei davvero fuori, Edward, pensò mentre si dirigeva verso la porta sul retro.
“Suppongo di sì.”
“Suonami la nuova canzone, un'altra volta,” chiese Esme.
“Se lo desideri,” accettai, sebbene fossi un po' esitante a seguire la nuova melodia nella sua inevitabile fine, la fine che sembrava ferirmi in un insolito modo. Pensai per un momento, e poi presi il tappo di bottiglia dalla mia tasca e lo poggiai dove sfociava la musica. Aiutò un poco, il mio piccolo promemoria del suo sì.
Annui, e iniziai a suonare.
Esme ed Alice si scambiarono un'occhiata, ma nessuna parlò.


“Non te l'ha mai detto nessuno di non giocare con il cibo?” gridai ad Emmett.
“Oh, ehi Edward!” urlò in risposta, sorridendo e dimenandosi. L'orso si avvantaggiò della sua distrazione per graffiare il petto di Emmett con la grossa zampa. Gli artigli affilati gli strapparono la maglietta, e stridettero contro la sua pelle.
L'orso muggì col naso color pece.
Diavolo, me l'ha regalata Rose questa maglietta!
Emmett ruggì all'animale furioso.
Sospirai e mi sedetti su una pietra vicina. Questo avrebbe impiegato un po' di tempo.
Ma Emmett aveva quasi fatto. Lasciò che l'orso cercasse di strappargli la testa con un altro attacco della zampa, ridendo mentre il colpo rimbalzava e spediva l'orso barcollante sulla schiena. L'orso ruggì ed Emmett ringhiò in risposta attraverso le sue risate. Poi si lanciò verso l'animale, che in piedi sulle zampe posteriori era alto una spanna in più, e caddero aggrovigliati sul terreno, portando giù con loro un giovane abete. I ringhi dell'orso si spezzarono con un gorgoglio.
Qualche minuto più tardi, Emmett corse verso dove lo stavo aspettando. La sua maglietta distrutta, lacerata e sanguinante, appiccicosa di bava e ricoperta di peli. I suoi capelli ricci non avevano una forma migliore. Aveva un grande sorriso stampato in faccia.
“Era uno forte. L'ho quasi sentito quando mi ha artigliato.”
“Sei proprio un bambino, Emmett.”
I suoi occhi adocchiarono la mia liscia, pulita e abbottonata camicia. “Non sei capace di inseguire quel leone di montagna, allora?”
“Certo che sì. Soltanto non voglio mangiarlo come un selvaggio.”
Emmett rise con la sua rimbombante risata. “Spero siano più forti. Sarà più divertente.”
“Nessuno ha detto che devi combattere contro il tuo cibo.”
“Sì, ma con chi altri posso lottare? Tu ed Alice imbrogliate, Rose non vuole rovinarsi i capelli, ed Esme impazzisce se io e Jasper facciamo sul serio.”
“Che vita dura, eh?”
Emmett sogghignò, spostando il suo peso così che fu improvvisamente pronto a caricare.
“Andiamo, Edward. Spegnilo un minuto e gioca pulito.”
“Non si può spegnere,” gli ricordai.
“Pensi che quell'umana ti tenga fuori?” meditò Emmett. “Forse potrebbe darmi qualche indicazione.”
Il mio buon'umore svanì. “Stai lontano da lei,” ringhiai tra i denti.
“Suscettibile.”
Sospirai. Emmett venne a sedersi accanto a me sulla roccia.
“Scusa. Lo so che è un tasto dolente. Sto davvero cercando di non fare troppo l'idiota insensibile, ma visto che è parte della mia natura...”
Aspettò che ridessi della sua battuta, poi fece una smorfia.
Sei sempre così serio. Cosa ti disturba adesso?
“Pensare a lei. Beh, in realtà preoccuparmi.”
“Cosa c'è da preoccuparsi. Tu sei qui.” rise forte.
Ignorai di nuovo la sua battuta, ma risposi alla sua domanda. “Hai mai pensato a quanto sono fragili? Quanto cose brutte possono capitare ad un mortale?”
“Per niente. Capisco cosa intendi, comunque. Non ero alla pari con l'orso di prima, no?”
“Orsi,” mormorai, aggiungendo una nuova paura alla lista. “Sarebbe la sua fortuna, vero? Un orso smarrito in città. Di certo andrebbe diritto da Bella.”
Emmett ridacchiò. “Sembri un pazzo, lo sai?”
“Immagina soltanto per un minuto, Emmett, che Rosalie sia umana. E che potrebbe imbattersi in un orso... o essere investita da una macchina... o essere fulminata... o cadere dalle scale... o ammalarsi, beccarsi una malattia grave!” Le parole mi bruciarono come una tempesta. Era un sollievo lasciarle uscire, mi avevano amareggiato per tutto il fine settimana. “Fuoco e terremoti e uragani. Ugh! Quand'è stata l'ultima volta che hai visto il notiziario? Hai mai visto le cose che possono accadergli? Rapine e omicidi...” Strinsi i denti, e fui improvvisamente così infuriato dall'idea che qualche umano potesse ferirla, che non riuscii a respirare.
“Ehi, ehi! Rilassati, ragazzo. Vive a Forks, ricordi? Si bagnerà soltanto di pioggia.” fece spallucce.
“Penso che abbia molta sfiga, Emmett, davvero. Guarda l'evidenza. Tra tutti i posti del mondo in cui poteva andare, finisce a vivere in una città dove i vampiri fanno parte della piccola porzione dei cittadini.”
“Sì, ma noi siamo vegetariani. Non è così sfigata, no?”
“Con il modo in cui profuma? Definitivamente sì. E poi, ancora più sfiga, il modo in cui profuma per me.” Guardai torvo verso le mie mani, odiandole ancora.
“Ad eccezione che tu hai un controllo quasi uguale a quello di Carlisle. Di nuovo fortuna.”
“Il furgone?”
“Quello era solo un incidente.”
“Avresti dovuto vedere come andava verso di lei. Ancora e ancora. Giuro, era come se avesse tipo qualche calamita.”
“Ma tu eri lì. Quella si che era fortuna.”
“Cosa? Non è la peggiore possibilità che un umano possa avere, quella di un vampiro innamorato?”
Emmett rifletté per un momento. Immaginò la ragazza nella sua mente, e trovò l'immagine priva di interesse. Onestamente, non riesco a capire l'attrazione.
“Beh, neanche io non riesco a capire il fascino di Rosalie” dissi sgarbato. “Onestamente, richiede una fatica che non è degna di un qualsiasi bel viso.”
Emmett ridacchiò. “Facciamo che non l'hai detto...”
“Non so quale sia il suo problema, Emmett,” mentii con un improvviso, aperto sorriso.
Vidi le sue intenzioni in tempo per sostenermi. Cercò di togliermi dalla roccia, e ci fu un sonoro crack mentre una fessura di apriva sulla pietra tra di noi.
“Imbroglione,” mormorò.
Aspettai che provasse di nuovo, ma i suoi pensieri presero una direzione diversa.
Stava immaginando di nuovo Bella, ma più bianca, e con brillanti occhi rossi...
“No,” dissi, la mia voce strozzata.
“Risolverebbe i tuoi problemi sulla mortalità, no? E poi non vorrai neanche più ucciderla. Non è il modo migliore?”
“Per me? O per lei?”
“Per te,” rispose semplicemente. Il suo tono aggiunge un ovvio.
Sorrisi senza divertimento. “Risposta sbagliata.”
“Non mi preoccupa molto,” mi ricordò.
“A Rosalie sì.”
Sospirò. Sapevamo entrambi che avrebbe fatto qualsiasi cosa, rinunciando a tutto, per poter tornare di nuovo umana. Anche ad Emmett.
“Sì, Rosalie sì.” acconsentì con calma.
“Non posso... non potrei... non ho intenzione di rovinare la vita di di Bella. Non sentiresti lo stesso, se fosse Rosalie?”
Emmett ci pensò per un momento. La ami... davvero?
“Non riesco a descriverlo, Emmett. All'improvviso, è diventata tutto il mio mondo. Il resto non ha senso senza di lei.”
Ma non la cambierai? Non vivrà per sempre, Edward.
“Lo so,” gemetti.
E, come hai puntualizzato, è molto fragile.
“Credimi... so anche questo.”
Emmett non era una persona piena di tatto, e le discussioni delicate non erano il suo forte. Adesso si stava sforzando, per non essere offensivo.
La toccherai mai? Voglio dire, se la ami... non vorresti, beh, toccarla...?
Emmett e Rosalie dividevano un amore fisico intenso. Aveva difficoltà a capire come qualcuno potesse amare senza quell'aspetto.
Sospirai. “Non ci posso pensare, Emmett.”
Wow. Allora quali sono le tue opzioni?
“Non lo so,” sussurrai. “Sto cercando di immaginare un modo per... per lasciarla. Non riesco a capire come starle lontano...”
Con un grande senso di soddisfazione, improvvisamente realizzai che era giusto per me restare, per adesso almeno, con Peter e Charlotte per la strada. Era più al sicuro qui con me, temporaneamente, che se fossi partito. Per un periodo, avrei potuto essere il suo protettore.
Il pensiero mi rese ansioso, desiderai tornare indietro per poter indossare quel ruolo il più a lungo possibile.
Emmett notò il cambiamento della mia espressione. Cosa stai pensando ora?
“Proprio adesso,” ammisi un po' imbarazzato, “Sto morendo dalla voglia di tornare a Forks per controllarla. Non so se riesco ad aspettare fino a domenica notte.”
“Uh-uh! Non andrai via così presto. Lascia che Rosalie si calmi un po'. Per favore! Per la mia salute.”
“Proverò a restare,” dissi, dubitandone.
Emmett picchiettò il cellulare nella mia tasca. “Alice avrebbe chiamato se ci fossero state le basi per un tuo attacco di panico. E' strana almeno quanto te verso la ragazza.”
Feci una smorfia. “Bene. Non starò più di domenica.”
“Non c'è fretta di tornare, comunque oggi ci sarà il sole. Alice ha detto che siamo liberi dalla scuola fino a mercoledì.”
Scossi rigidamente la testa.
“Peter e Charlotte sanno come comportarsi.”
“Non m'importa molto, Emmett. Con la fortuna di Bella, si perderà nella foresta nel momento più sbagliato e...” sobbalzai. “Peter non sa controllarsi. Tornerò domenica.”
Emmett sospirò. Esattamente come un pazzo.


Bella stava dormendo beata quando attraversai la finestra della sua stanza lunedì mattina presto. Ricordai l'olio questa vola, e la finestra si mosse più silenziosa.
Potevo dire dal modo in cui i suoi capelli giacevano sul cuscino che stava avendo una notte meno irrequieta dell'altra volta che ero stato lì. Aveva le mani piegate sotto le guance come una bambina, e la bocca leggermente aperta. Potevo sentire il respiro lento tra le sue labbra.
Era un sorprendente sollievo essere lì, capace di vederla ancora. Mi resi conto che non ero del tutto calmo finché non venivo qui. Niente andava bene quando ero lontano da lei.
Non che tutto andasse per il verso giusto quando ero con lei, comunque. Sospirai, lasciando che il fuoco della sete mi raschiasse la gola. Ero stato lontano troppo a lungo. Il tempo speso senza dolore e tentazione rendeva tutto più forte. Era così intenso che ero spaventato da andare ad inginocchiarmi vicino al suo letto per poter leggere i titoli dei suoi libri. Volevo conoscere le storie nella sua mente, ma ero più spaventato per la mia sete, spaventato che se mi fossi permesso di avvicinarmi avrei voluto esserle ancora più vicino...
Le sue labbra sembravano così soffici e calde. Riuscivo a immaginare di toccarle con la punta del mio dito. Leggermente...
Quello era esattamente il tipo di errore che dovevo evitare.
I miei occhi corsero al suo viso ancora e ancora, esaminando i cambiamenti. I mortali cambiano col tempo, ero triste al pensiero di essermi perso qualcosa...
Pensai che sembrasse...stanca. Come se non avesse dormito abbastanza questo fine settimana. Era uscita?
Risi silenzioso e cauto per quanto mi agitava. E quindi, se l'avesse fatto? Non mi doveva nulla. Non era mia.
No, non era mia... e mi sentii ancora turbato.
Una delle sue mani si contrasse, e notai che vi erano graffi leggeri e quasi guariti lungo il palmo. Si era ferita? Anche se non era un danno evidente, mi disturbò lo stesso. Considerai il posto, e decisi che doveva essere caduta. Sembrava una spiegazione ragionevole, considerando le altre cose.
Era confortante sapere che non avrei dovuto raccapezzarmi per sempre con gli altri piccoli misteri. Eravamo amici adesso, o almeno, stavamo provando ad esserlo. Potevo chiederle a proposito del suo weekend, a proposito della spiaggia, e qualsiasi altra attività notturna l'avesse resa così esausta. Avrei potuto chiederle delle sue mani. E avrei potuto ridere un po' se avesse conformato la mia teoria.
Sorrisi gentilmente mentre consideravo se fosse o meno caduta nell'oceano. Pensavo se avesse avuto una piacevole uscita. Riflettevo se mi aveva pensato. Se gli ero mancato anche una piccola parte di quanto mi era mancata lei.
Cercai di immaginarla al sole sulla spiaggia. L'immagine era incompleta, comunque, perché non ero mai stato a First Beach. Sapevo solo come appariva nelle foto...
Avvertii un po' di inquietudine mentre pensavo alla ragione per cui non ero mai stato alla piccola spiaggia lontana giusto un paio di minuti da casa mia. Bella aveva passato un giorno a La Push, un posto a me proibito dal patto. Un luogo dove pochi uomini anziani ricordavano le storie a proposito dei Cullen, che ricordavano e credevano. Un posto dove il nostro segreto era conosciuto.
Scossi la testa. Non avevo niente di cui preoccuparmi. Anche i Quileute erano legati al patto. Anche se Bella fosse incappata in uno di quei saggi, non avrebbero potuto rivelarle nulla.
E perché l'argomento avrebbero dovuto essere affrontato? Perché avrebbe dovuto dar voce alla sua curiosità? No, i Quileute erano forse l'unica cosa di cui non dovevo preoccuparmi.
Mi arrabbiai quando il sole iniziò a sorgere. Mi ricordai che non potevo soddisfare la mia curiosità per i giorni a venire. Perché aveva scelto di splendere adesso?
Con un sospiro, mi tuffai fuori dalla sua finestra prima che fosse abbastanza chiaro da poter farmi vedere da qualcuno. Avevo intenzione di rimanere nella fitta foresta vicina casa sua e osservarla andare a scuola, ma quando raggiunsi gli alberi, fui sorpreso di trovare la traccia del suo odore indugiare sul sentiero.
Lo seguii velocemente, con curiosità, diventando sempre più preoccupato mentre si dirigeva nell'oscurità più profonda. Cosa aveva fatto Bella qui fuori?
La traccia si fermò all'improvviso, in mezzo al nulla. Era andata giusto pochi passi lontano dal sentiero, nelle felci, doveva aveva toccato il tronco di un albero caduto. Forse si era seduta lì...
Mi accomodai dov'era stata lei, e mi guardai intorno. Tutto quello che era riuscita a vedere erano felci e foresta. Probabilmente aveva piovuto, aveva lavato via l'odore, che non si era fissato in modo profondo nell'albero.
Perché Bella avrebbe dovuto sedersi qui da sola, ed era sola, senza dubbio, in mezzo alla foresta umida oscura?
Non aveva senso, e a differenza delle altre curiosità, potevo difficilmente portarlo in una conversazione casuale.
Sai, Bella, ho seguito il tuo odore attraverso la foresta dopo aver lasciato la tua stanza, dov'ero stato per osservarti dormire... Sì, sarebbe stato abbastanza da spezzare il ghiaccio.
Non avrei mai saputo cosa stava pensando e facendo qui, e strinsi i denti frustrato. Peggio, era molto più lontano dallo scenario che avevo immaginato con Emmett, Bella vagante nel mezzo della foresta, dove il suo odore avrebbe chiamato chiunque avesse avuto i sensi per inseguirlo...
Lanciai un gemito. Non solo aveva sfortuna, ma le andava anche incontro.
Beh, per il momento ero il suo protettore. L'avrei sorvegliata, tenendola lontana dal pericolo, per quanto riuscivo a giustificarlo.
Improvvisamente mi ritrovai a sperare che Peter e Charlotte estendessero la loro visita.

8. Spettro

Non vidi gli ospiti di Jasper molto in giro per i due giorni di sole che rimasero a Forks. Tornavo a casa solo per non far preoccupare Esme. D'altro canto, la mia esistenza sembrava più vicina a quella di uno spettro che ad un vampiro. Stavo nascosto, invisibile nelle ombre, dove potevo osservare l'oggetto del mio amore e della mia ossessione, dove potevo vederla e sentirla nelle menti dei fortunati umani che camminavano accanto a lei sotto il sole, a volte sfiorandole la mano con la loro. Non reagiva mai a quel contatto; le loro mani erano calde come le sue.
La forzata assenza da scuola non era mai stata così sofferta prima. Però il sole sembrava renderla felice, dunque non potevo risentirne molto. Qualsiasi cosa le facesse piacere era nelle mie buone grazie.
Lunedì mattina, origliai una conversazione che ebbe la potenza di distruggere la mia sicurezza e di rendere il tempo lontano da lei una tortura. Mentre terminava, comunque, mi aggiustò la giornata.
Doveo sentire un po' di rispetto per Mike Newton; non aveva rinunciato del tutto ed era sgattaiolato a leccarsi le ferite. Aveva molto più coraggio di quanto credessi. Stava tentando di provarci di nuovo.
Bella era arrivata a scuola molto presto e, intenzionata a godersi il sole finché durava, si accomodò sulle panchine all'aperto usate di rado mentre aspettava che suonasse la campanella della prima ora. I suoi capelli catturavano il sole in modi inaspettati, dandogli riflessi rossi che non avevo previsto.
Mike la trovò lì, che scarabocchiava ancora, e si emozionò della sua buona fortuna.
Era agonizzante poter solo guardare, impotente, confinato nelle ombre della foresta per colpa della luce accecante.
Lo salutò con un entusiasmo che lo rese estatico, e me l'opposto.
Siii, le piaccio. Non avrebbe sorriso in questo modo se non fosse così. Scommetto che vuole andare al ballo con me. Chissà che c'è di così importante a Seattle...
Percepì il cambiamento dei suoi capelli. “Non mi sono mai accorto... hai una sfumatura di rosso nei capelli.”
Per sbaglio sradicai un giovane abete su cui stavo poggiando le mani, quando strinse una ciocca dei suoi capelli tra le dita.
“Solo quando c'è il sole,” disse. Per mia grande soddisfazione, si tirò leggermente indietro quando le aggiustò la ciocca dietro l'orecchio.
Mike impiegò un minuto per ricostruire il suo coraggio, perdendo un po' di tempo nella chiacchierata.
Lei gli ricordò del saggio che avevamo per mercoledì. Dalla leggera espressione compiaciuta sul suo viso, il suo era già finito. Lui l'aveva completamente dimenticato, e quello diminuiva di molto il suo tempo libero.
Acc... stupido saggio.
Infine arrivò al dunque - strinsi i denti così forte che avrei potuto polverizzare il granito - e poi, non riuscì a farle la domanda diretta.
“Stavo per chiederti se ti andava di uscire.”
“Ah,” disse lei.
Ci fu un breve silenzio.
Ah? Che vuol dire? Dirà di sì? Aspetta, in realtà non gliel'ho chiesto.
Deglutì rumorosamente.
“Beh, potremmo uscire a cena o qualcosa del genere... e il saggio lo preparo dopo.”
Stupido, è un'altra questione.
“Mike...”
L'agonia e la furia della mia gelosia pizzicava potente come la scorsa settimana. Ruppi un altro albero per trattenermi. Desideravo tantissimo attraversare il campo, troppo veloce per occhi umani, e afferrarla, rubarla dal ragazzo che odiavo così tanto in questo momento che avrei potuto ucciderlo e divertirmene.
Gli avrebbe risposto di sì?
“Non credo che sarebbe un'idea grandiosa.”
Respirai di nuovo. Il mio corpo irrigidito si rilassò.
Seattle è solo una scusa, dopotutto. Non avrei dovuto chiedere. Cosa stavo pensando? Ma è quel mostro, Cullen...
“Perché?” le chiese risentito.
Esitò. “Se osi ripetere quel che ti sto dicendo ti ammazzo, ma penso...”
Risi ad alta voce al suono dell'omicidio sulle sue labbra. Una ghiandaia trillò, spaventata, e si lanciò lontano da me.
“...penso che feriresti i sentimenti di Jessica.”
“Jessica?” Cosa? Ma... oh. Okay. Penso... Dunque... Huh.
I suoi pensieri diventarono incoerenti.
“Mike, stai scherzando o sei cieco?”
I suoi sentimenti echeggiarono i miei. Non doveva aspettarsi che tutti fossero intuitivi come lei, ma quest'esempio era oltremodo evidente. Con tutti quei problemi che si era fatto Mike per chiedere a Bella di uscire, non aveva immaginato perché non fosse difficile con Jessica? Era l'egoismo che lo rendeva così cieco. E Bella era altruista, vedeva ogni cosa.
Jessica. Huh. Wow. Huh. “Ah,” riuscì a dire.
Bella usò la sua confusione per trovare un'uscita.
“Iniziano le lezioni, e non posso arrivare ancora in ritardo.”
Mike divenne un'inaffidabile punto di vista. Scoprì, mentre l'idea di Jessica gli vorticava ancora e ancora nella mente, che gli piaceva molto il pensiero che lei lo trovasse attraente. Era un secondo posto, non così tanto come se Bella lo avesse visto in quel modo.
Comunque è carina, credo,. Un corpo discreto. Una pollastrella in mano...
Era fuori, perso nelle fantasie che erano volgari quanto quelle su Bella, ma adesso mi irritavano soltanto invece di infuriarmi. Quanto poco meritava una ragazza; erano quasi intercambiabili per lui. Dopo di che rimasi fuori dalla sua mente.
Quando non fu in vista, mi piegai contro il freddo tronco di un enorme albero e danzai da una mente all'altra, tenendola d'occhio, sempre felice quando Angela Weber era disponibile. Sperai ci fosse un modo per ringraziare la Weber solo per essere una brava persona. Mi faceva sentire meglio sapere che Bella aveva un'amica degna di questo nome.
Osservai il viso di Bella da ogni possibile angolazione, e riuscii a vedere che era ancora triste. Questo mi sorprese, pensavo che il sole fosse abbastanza da farla sorridere. A pranzo, la vidi lanciare un'occhiata più volte verso il tavolo vuoto dei Cullen, e quello mi emozionò. Mi dava una speranza. Forse anche io le mancavo.
Era d'accordo di uscire con le altre ragazze, in automatico organizzai il mio piano di sorveglianza, ma quei piani furono posticipati quando Mike invitò Jessica all'appuntamento che aveva organizzato per Bella.
Poi andai dritto a casa sua, facendo un veloce giro nella foresta per assicurarmi che nessun pericolo si stesse avvicinando. Sapevo che Jasper aveva avvertito suo fratello di evitare la città, citando la mia follia come spiegazione e avvertimento, ma non volevo rischiare. Peter e Charlotte non avevano intenzione di causare animosità con la mia famiglia, ma le intenzioni erano mutabili...
Va bene, stavo esagerando. Lo sapevo.
Come se sapesse che stessi guardando, come si stesse prendendo gioco dell'agonia che sentivo quando non potevo vederla, Bella uscì nel giardino dopo una lunga ora dentro casa. Aveva un libro tra le sue mani e una coperta sotto il braccio.
Silenziosamente, mi arrampicai sul ramo più alto dell'albero più vicino per sbirciare.
Stese la coperta sull'erba umida e si stese pancia in giù e iniziò a sfogliare le pagine del libro consumato, come stesse cercando di trovare il segno. Lessi sopra le sue spalle.
Ah, classici. Era una fan della Austen.
Lesse velocemente, incrociando le caviglie in continuazione nell'aria. Stavo guardando la luce e il vento giocare con il suo capelli quando il suo corpo s'irrigidì improvvisamente, e le sue mani s'immobilizzarono su una pagina. Tutto quello che vidi fu che era arrivata al capitolo tre quando bruscamente afferrò una leggera parte della pagina e la piegò in mezzo.
Catturai un'occhiata del titolo, Mansfiel Park. Stava iniziando una nuova storia, il libro era una raccolta di opere. Pensai al perché avesse interrotto così all'improvviso una storia.
Qualche momento più tardi, chiuse il libro di colpo arrabbiata. Con un intenso cipiglio sul viso, lo spinse via e si girò di schiena. Prese un profondo respiro, come per calmarsi, si alzò le maniche e chiuse gli occhi. Ricordai il romanzo, ma non potevo pensare a niente di offensivo che potesse averla turbata. Un altro mistero. Sospirai.
Giaceva immobile, muovendosi soltanto per togliersi i capelli dal viso. Le si aprirono a ventaglio sopra la sua testa, un fiume color castagna. E poi fu di nuovo immobile.
Il suo respiro rallentò. Dopo molti lunghi minuti le sue labbra iniziarono a tremare.
Mormorava nel sonno.
Impossibile resistere.
Ascoltai più lontano che potei, catturando le voci nelle case vicine.
Due cucchiai di farina... una tazza di latte...
Andiamo! Accerchialo! Oh, andiamo!
Rosso, o blu... o forse dovrei indossare qualcosa di più informale...
Non c'era nessuno vicino. Saltai giù, atterrando sulle punte silenzioso.
Questo era davvero sbagliato, molto rischioso. Con quanta condiscendenza avevo giudicato Emmett per i suoi modi spensierati e Jasper per la sua mancanza di disciplina, e adesso stavo consapevolmente contravvenendo a tutte le regole con un abbandono così selvaggio che faceva sembrare gli errori cose di poche conto. Ero abituato ad essere quello responsabile.
Sospirai, ma nonostante tutto strisciai alla luce del sole.
Evitai di guardarmi al bagliore accecante del sole. Era già abbastanza brutto che la mia pelle all'ombra fosse come pietra e inumana; non volevo osservare Bella e me stesso vicini alla luce. La differenza tra di noi era già insormontabile, abbastanza dolorosa senza quest'altra immagine nella mia testa.
Ma non potevo ignorare lo sfavillare arcobaleno che si rifletteva sulla sua pelle quando mi avvicinai. Strinsi la mascella alla vista. Potevo essere più mostruoso? La immaginai spaventarsi se avesse aperto gli occhi in quel momento...
Iniziai a ritirarmi, ma mormorò ancora, trattenendomi lì.
“Mmm... Mmm.”
Niente di comprensibile. Beh, avrei aspettato un po'.
Le rubai con attenzione il suo libro, allungando le braccia e trattenendo il respiro mentre mi avvicinavo, giusto in caso. Cominciai nuovamente a respirare quando fui qualche metro lontano, assaggiando il modo in cui il sole e l'aria aperta influenzavano il suo odore. Il calore sembrava addolcire il profumo. La mia gola s'infiammò di desiderio, il fuoco ancora fresco e intenso perché ero stato lontano da lei troppo a lungo.
Impiegai un momento per controllarlo, e poi, sforzandomi a respirare dal naso, lasciai che il suo libro si aprisse tra le mie mani. Aveva iniziato con il primo libro... Voltai velocemente le pagine fino al terzo capitolo di Ragione e Sentimento, cercando qualcosa di potenzialmente offensivo nella prosa troppo cortese della Austen.
Quando i miei occhi si fermarono automaticamente al mio nome, il personaggio Edward Ferrars veniva introdotto per la prima volta, Bella parlò di nuovo.
“Mmm. Edward,” sospirò.
Questa volta non temetti che si fosse svegliata. La sua voce era solo un basso, assorto mormorio. Non il grido di paura che avrebbe lanciato se mi avesse visto adesso.
La gioia lottò contro la riluttanza. Almeno mi stava ancora sognando.
“Edmund. Ahh. Troppo... vicino...”
Edmund?
Ah! Non mi stava sognando del tutto, realizzai in lutto. La riluttanza ritornò in forze. Stava sognando un personaggio immaginario. Troppo per il mio orgoglio.
Riposi il suo libro, e ritornai al coperto tra le ombre, dove appartenevo.
Il pomeriggio passò e io guardavo, sentendomi ancora disorientato, mentre il sole affondava lentamente nel cielo e le ombre strisciavano verso di lei. Volevo spingerle via, ma l'oscurità era inevitabile; le ombre la presero. Quando la luce se ne andò, la sua pelle divenne troppo pallida, spettrale. I suoi capelli ritornarono di nuovo scuri, quasi neri contro il suo viso.
Era una cosa spaventosa da vedere, come essere testimone della realizzazione delle visioni di Alice. Bella era ferma, il forte battito del cuore era l'unica rassicurazione, il suono che teneva lontano questo momento dal diventare un incubo.
Fui sollevato quando suo padre arrivò a casa.
Potevo sentire poco da lui mentre guidava verso la strada di casa. Qualche vago disturbo... passato, qualcosa nella sua giornata di lavoro. Attesa unita a fame, pensavo non vedesse l'ora di mangiare. Ma i suoi pensieri erano così calmi e contenuti che non potevo esser sicuro di aver ragione; avevo solo afferrato la loro essenza.
Pensai a come sarebbe stata sua madre, che combinazione genetica l'aveva resa così unica.
Bella iniziò a svegliarsi, mettendosi seduta quando le gomme della macchina del padre colpirono il marciapiede di mattoni. Si guardò intorno, sembrando confusa dall'oscurità inaspettata. Per un breve momento, i suoi occhi toccarono le ombre dove mi nascondevo, ma volarono via velocemente.
“Charlie?” chiese a bassa voce, ancora sbirciando tra gli alberi che circondavano il piccolo giardino.
La porta della sua macchina sbatté, e lei si voltò verso il suono. Si rimise velocemente in piedi e raccolse le sue cose, gettando un'ultima occhiata verso la foresta.
Mi mossi tra i gli alberi più vicini alla finestra sul retro della piccola cucina, e ascoltai la loro serata. Era interessante paragonare le parole di Charlie ai suoi tenui pensieri. Il suo amore e la sua attenzione per l'unica figlia erano irresistibili, e anche le sue parole erano sempre concise e noncuranti. La maggior parte del tempo, sedevano in un silenzio socievole.
La sentii discutere dei suoi piani per il pomeriggio successivo a Port Angeles, e ridefinii i miei di piani mentre ascoltavo. Jasper non aveva avvisato Peter e Charlotte di stare a distanza da Port Angeles. Sebbene sapessi che si erano nutriti di recente e che non avevano intenzione di cacciare nelle vicinanze di casa nostra, avrei voluto osservarla, giusto in caso. Dopo tutto, c'erano sempre altri della mia specie lì fuori. E poi, tutti quei pericoli umani che non avevo mai considerato prima.
La sentii esprimere ad alta voce la sua preoccupazione per lasciare che il padre si preparasse la cena da solo, e sorrisi per questa prova della mia teoria, sì lei si prendeva cura di tutti.
E poi me ne andai, sapendo che sarei ritornato quando si fosse addormentata.
Non volevo invadere la sua privacy nel modo in cui avrebbe fatto un maniaco spione. Ero lì per proteggerla, non guardarla con la stessa malizia che Mike Newton avrebbe senza dubbio avuto, fosse o meno abbastanza abile da muoversi sull'albero come potevo fare io. Non l'avrei trattata in modo così grossolano.
La mia casa era vuota quando tornai, il che era un bene per me. Non mi mancavano i confusi o disprezzanti pensieri che si domandavano della mia salute mentale. Emmett aveva lasciato un messaggio attaccato alla lavagnetta dei post-it.
Football al campo Rainier, vieni! Per favore?
Trovai una penna e scarabocchiai la parola scusa sotto la sua domanda. Le squadre erano uguali anche senza di me, in ogni caso.
Andai per il più breve viaggio di caccia, accontentandomi della più piccola, gentile creatura che non aveva il sapore dei predatori, e poi andai a cambiarmi in un baleno con abiti puliti prima di correre verso Forks.
Bella non dormì bene la notte. Si agitava tra le coperte, il suo viso a volte preoccupato, a volte triste. Pensai a quale incubo la stesse inseguendo... e poi capii che forse non volevo saperlo.
Quando parlava, la maggior parte delle volte mormorava avvilenti cose verso Forks con voce depressa. Solo una volta, quando aveva sospirato le parole “Torna indietro” e le sue mani si erano aperte, una preghiera senza parole, avevo avuto la possibilità che dovesse star sognando di me.
Il giorno di scuola successivo, l'ultimo giorno in cui il sole mi avrebbe tenuto prigioniero, fu lo stesso del giorno prima. Bella sembrava ancora più triste di ieri, e pensai se avrebbe cambiato i suoi piani visto che non sembrava dell'umore adatto.
Ma, essendo Bella, avrebbe probabilmente messo in primo piano il divertimento dei suoi amici piuttosto che il proprio.
Indossava una camicia blu scuro oggi, e il colore si addiceva perfettamente alla sua pelle, rendendola come crema fresca.
La scuola finì, e Jessica acconsentì ad andare a prendere le ragazze, usciva anche Angela, al quale ero grato.
Andai a casa a prendere la mia macchina. Quando vi trovai Peter e Charlotte, decisi che avrei potuto sforzarmi di dare alle ragazze una o più ore per partire. Non sarei mai stato capace di seguirle, guidando al limite di velocità, che pensiero orrendo.
Entrai dalla cucina, annuendo vagamente ai saluti di Emmett ed Esme mentre li oltrepassavo dalla stanza di fronte e mi dirigevo al pianoforte.
Divertiti a Port Angeles stasera, pensò allegramente Alice. Fammi sapere quando avrò il permesso di parlare con Bella.
Sei patetico. Non posso credere che ti sei perso la partita della scorsa notte solo per guardare qualcuno dormire, borbottò Emmett.
Jasper non mi prestò attenzione, anche quando la canzone che suonavo diventò più tempestosa di quanto volessi. Era una canzone vecchia, con un tema familiare: l'impazienza. Jasper stava salutando i suoi amici, che mi lanciarono un'occhiata curiosa.
Che strana creatura, stava pensando Charlotte, piccola quanto Alice, e dai capelli biondi quasi bianchi. Era così normale e gradevole l'ultima volta che siamo venuti.
I pensieri di Peter erano in sincronia con i suoi, come al solito.
Devono essere gli animali. La mancanza di sangue umano alla fine li conduce alla pazzia, concluse. I suoi capelli erano chiari come quelli di lei, e quasi della stessa lunghezza. Erano così simili, eccetto per la taglia, lui era alto quasi quanto Jasper, sia in aspetto che in pensieri. Una coppia perfetta, avevo sempre pensato.
Dopo un po' tutti eccetto Esme smisero di pensare a me, e suonai una melodia più mite per attirare meno sguardi.
Non gli prestai attenzione, lasciando che la musica mi distraesse dall'inquietudine. Era difficile avere la ragazza lontano dalla vista e dalla mente. Riportai la mia attenzione alla loro conversazione quando gli addii arrivarono alla fine.
“Se vedete di nuovo Maria,” stava dicendo Jasper, con un po' di cautela, “ditele che spero stia bene.”
Maria era il vampiro che aveva creato sia Jasper che Peter, Jasper nella seconda metà del diciannovesimo secolo, Peter molto più di recente, negli anni quaranta. Aveva visto una volta Jasper quando eravamo in Calagary. Era stata una visita movimentata, ci eravamo trasferiti immediatamente. Jasper le aveva educatamente chiesto di mantenere in futuro le distanze.
“Non penso avverrà presto,” disse Peter con una risata, Maria era innegabilmente pericolosa e non vi era mai stato molto affetto tra lei e Peter. Peter, dopotutto, era stato utile alla diserzione di Jasper. Jasper era sempre stato il preferito di Maria; considerava un dettaglio di poco conto il fatto che avesse programmato di ucciderlo. “Ma, se dovesse accadere, lo farò di sicuro.”
Poi si strinsero le mani, preparandosi alla partenza. Lasciai che la canzone che stavo suonando si concludesse con una fine insoddisfacente, e mi alzai in fretta.
“Charlotte, Peter,” dissi, annuendo.
“E' stato bello vederti di nuovo, Edward” disse Charlotte dubbiosa. Peter annuì di rimando.
Pazzo, mi lanciò Emmett.
Idiota, pensò Rosalie allo stesso momento.
Povero ragazzo. Esme.
Ed Alice, in tono di rimprovero. Andranno diritto verso est, a Seattle. Nessun posto vicino Port Angeles. Mi mostrò la prova delle sue visioni.
Finsi di non sentirla. Le mie scuse erano già abbastanza frivole.
Una volta in macchina, mi sentii più rilassato; il vigoroso ronzio del motore che Rosalie aveva aumentato per me - l'anno scorso, quando era di umore migliore - era rilassante. Era un sollievo essere in movimento, sapere che mi stavo avvicinando a Bella con ogni miglio che volava sotto le mie ruote.

9. Port Angeles

Quando raggiunsi Port Angeles, era troppo luminoso per me per guidare in città; il sole era ancora troppo alto, e, nonostante i miei finestrini fossero oscuranti, non c'era ragione di correre inutili rischi. Ancora più inutili rischi, avrei dovuto dire.
Ero certo di riuscire a trovare la mente di Jessica a distanza, i suoi pensieri erano più rumorosi di quelli di Angela, ma una volta che l'avrei trovata, avrei potuto ascoltare la seconda. In seguito, quando le ombre si sarebbero allungate, avrei potuto avvicinarmi. Per adesso, uscii dalla strada per una più coperta, proprio fuori città, che appariva usata meno di frequente.
Sapevo le direzioni generali per cercare, c'era un unico posto per comprare vestiti a Port Angeles. Non passò molto prima che trovassi Jessica girare di fronte a tre specchi, e riuscii a vedere Bella, nella sua visione periferica, apprezzare il lungo vestito nero che indossava.
Bella sembra ancora arrabbiata. Ah ah. Angela aveva ragione, Tyler ha esagerato. Non posso credere che sia così triste per questo, comunque. Almeno sa che avrebbe potuto fare marcia indietro per avere un appuntamento al ballo. E se Mike non dovesse divertirsi al ballo, e non mi chiederà di uscire di nuovo? E se chiede a Bella di andarci? Avrebbe chiesto a Mike per il ballo se non le avessi detto nulla? Lui pensa che lei sia più carina di me? Lei lo pensa che è più carina di me?
“Penso che il blu ti stia meglio. Mette in risalto i tuoi occhi.”
Jessica sorrise a Bella con falso calore, mentre la squadrava sospettosamente.
Lo pensa davvero? O vuole solo che sembri una mucca sabato?
Ero già stanco di sentire Jessica. Cercai Angela, ah, ma Angela si stava cambiando di vestito, e scivolai velocemente fuori dalla sua testa per concederle un po' di privacy.
Beh, non c'erano molti guai in cui Bella avrebbe potuto cacciarsi ai grandi magazzini. Le avrei lasciate fare shopping e poi raggiunte una volta finito. Non impiegò molto a diventare buio, le nuvole iniziarono a ritornare, trascinandosi da ovest. Riuscii solo a cogliere barlumi di esse attraverso la fitta vegetazione, ma potei vedere come avrebbero incalzato il tramonto.
Le festeggiai, desiderandole molto più di quanto avevo desiderato prima la loro ombra. Domani avrei potuto sedermi di nuovo vicino a Bella a scuola, monopolizzando ancora la sua attenzione a pranzo. Avrei potuto chiederle tutte quelle domande che avevo messo da parte...
Così, era furiosa per la presunzione di Tyler. L'avevo visto nella sua mente, che ci credeva davvero quando aveva parlato del ballo, che l'aveva preso come una pretesa. M'immaginai la sua espressione dell'altro pomeriggio, l'offesa incredulità, e risi. Pensai a cosa gli avrebbe detto a questo proposito. Non volevo perdermi la sua reazione.
Il tempo scorreva lento mentre aspettavo che le ombre si allungassero. Controllavo costantemente Jessica; la sua voce mentale era facile da trovare, ma non mi piaceva indugiarci molto. Vidi il luogo dove avevano programmato di mangiare. Sarebbe stato buio per l'ora di cena... forse avrei scelto per coincidenza lo stesso ristorante. Toccai il telefono nella tasca, pensando di invitare Alice a mangiare... L'avrebbe adorato, ma anche lei avrebbe voluto parlare con Bella. Non ero sicuro se ero pronto a coinvolgerla nel mio mondo. Un unico vampiro non era già abbastanza problematico?
Controllai per routine di nuovo Jessica. Stava pensando ai gioielli, chiedendo l'opinione di Angela.
“Forse dovrei riportare la collana. Ne ho una a casa che probabilmente starà bene. E ho speso più di quando dovevo...” Mia madre uscirà fuori di testa. Che stavo pensando?
“Non mi dispiace tornare ai magazzini. Pensi che Bella ci cercherà, comunque?”
Cosa? Bella non era con loro? Prima fissai con gli occhi di Jessica, poi con quelli di Angela. Erano sul marciapiede di fronte una fila di negozi, proprio dietro l'altra strada. Bella non era in vista.
Oh, chi se ne frega di Bella? Pensò Jessica impaziente, prima di rispondere alla domanda di Angela. “Starà bene. Arriveremo al ristornante in orario, anche se torniamo indietro. Comunque, penso che voglia stare da sola.” Catturai un breve barlume della libreria dove Jessica pensava fosse andata Bella.
“Sbrighiamoci allora,” disse Angela. Spero che Bella non pensi che l'abbiamo abbandonata. Prima è stata così carina con me in macchina... E' davvero una persona dolce. Però mi è sembrata molto giù di morale per tutto il giorno. Magari è per Edward Cullen? Scommetto che era per questo che mi ha domandato della sua famiglia...
Avrei dovuto prestare maggiore attenzione. Che mi ero perso? Bella stava girovagando da sola, e aveva chiesto di me prima? Angela ora stava prestando attenzione a Jessica, che stava blaterando a proposito di quell'idiota di Mike, e non riuscii a sentire nient'altro da lei.
Giudicai le ombre. Il sole sarebbe tornato presto dietro le nuvole. Se fossi stato dalla parte occidentale della strada, dove gli edifici facevano ombra dalla luce dissolvente...
Iniziai a sentirmi ansioso mentre guidavo per il traffico sparso al centro della città. Non era qualcosa che aveva pensato, Bella da sola, e non avevo idea di come cercarla. Avrei dovuto prenderlo in considerazione.
Conoscevo abbastanza bene Port Angeles; guidai dritto verso la libreria nella mente di Jessica, sperando che la mia ricerca fosse breve, ma dubitando che fosse così facile. Quando mai Bella lo rendeva facile?
Senza dubbio, il piccolo negozio era vuoto eccetto per l'anacronistica donna dietro il bancone. Questo non sembrava il tipo di posto che avrebbe interessato Bella, troppo new age per una persona concreta. Pensai se l'avesse infastidita entrare dentro.
C'era una nuova macchia di ombre dove potevo parcheggiare... Creava un sentiero buio per la sporgenza del negozio. Non avrei davvero dovuto. Girovagare durante le ore di luce non era prudente. Se il passaggio di una macchina avesse gettato il riflesso della luce nell'ombra nel momento sbagliato?
Ma non sapevo dove altro cercare Bella!
Parcheggiai e uscii, tenendomi nel lato profondo di ombre. Entrai velocemente nel negozio, nessuna traccia dell'odore di Bella nell'aria. Era stata qui, sul marciapiede ma non c'era sentore del suo profumo all'interno.
“Benvenuto! Posso aiutarl...” Iniziò a dire la commessa, ma ero già fuori la porta.
Seguii l'odore di Bella per quanto a lungo lo permettessero le ombre, fermandomi quando arrivai al confine con la luce del sole.
Come mi faceva sentire impotente, paralizzato dalla linea tra buio e luce che si espandeva lungo il marciapiede di fronte a me. Così limitato.
Potevo solo ipotizzare che avesse continuato per la strada, puntando a sud. Non c'era molto in quella direzione. Si era persa? Beh, la possibilità non sembrava molto lontana considerato il personaggio.
Tornai in macchina e guidai lentamente attraverso le strade, cercandola. Saltai fuori in altre macchie d'ombra, ma potevo solo catturare il suo odore ancora una volta, e la direzione mi confuse. Dove stava cercando di andare?
Guidai avanti e indietro tra la libreria e il ristorante per un po' di volte, sperando di vederla sulla via. Jessica e Angela erano già lì, cercando di decidere se ordinare, o aspettare Bella. Jessica stava premendo per ordinare subito.
Iniziai a volteggiare tra le menti degli estranei, guardando attraverso i loro occhi. Di sicuro, qualcuno doveva averla vista da qualche parte.
Più a lungo restava dispersa più ansioso diventavo. Non avevo mai considerato prima quanto sarebbe stato difficile provare a rintracciarla una volta che, come ora, era fuori dalla mia vista e fuori dalle sue strade normali. Non mi piacque.
Le nuvole si stavano ammassando all'orizzonte, e in pochi minuti, sarei stato libero di rintracciarla a piedi. Non ci avrei impiegato molto. Adesso era soltanto il sole a rendermi inutile. Soltanto pochi minuti, e poi il vantaggio sarebbe stato di nuovo mio e sarebbe stato il mondo umano ad essere impotente.
Un'altra mente, e un'altra ancora. Così tanti futili pensieri.
...penso che il bambino abbia un'altra infezione all'orecchio...
Era sei quattro zero o sei zero quattro...?
Tardi di nuovo. Dovrei dirglielo...
Eccola qui! Aha!
Lì, alla fine, vi era il suo viso. Finalmente, qualcuno l'aveva notata!
Il sollievo durò la frazione di un secondo, e poi lessi per intero i pensieri dell'uomo che stava gongolando all'ombra.
La sua mente mi era estranea, e ancora, non del tutto sconosciuta. Una volta avevo cacciato esattamente quel tipo di mente.
“NO!” ruggii, e una raffica di ringhi proruppe dalla mia gola. Il mio piede spinse l'acceleratore a terra, ma dove stavo andando?
Sapevo la posizione generale dei suoi pensieri, ma la conoscenza non era abbastanza specifica. Qualcos'altro, doveva esserci qualcos'altro, il segno di una strada, la facciata di un negozio, qualcosa nella sua vista che potesse darmi la sua posizione. Ma Bella era profonda nell'oscurità, e i suoi occhi erano solo focalizzati sulla sua espressione spaventata, divertendosi della paura.
Il suo viso era sfocato nella sua mente dal ricordo di altri volti. Bella non era la sua prima vittima.
Il suono del mio ringhio scosse il telaio della macchina, ma non mi distrasse.
Non c'erano finestre nel muro dietro di lei. Qualche zona industriale, lontano dal quartiere di negozi più popolato. La mia macchina stridette all'angolo, deviando un altro veicolo, dirigendosi verso quella che speravo fosse la giusta direzione. Prima che l'altro veicolo suonasse, era già lontano dietro di me.
Guardala come trema! L'uomo ridacchiò in anticipo. La paura era la parte che lo attirava, la parte che lo divertiva.
“Stammi lontano.” La sua voce era bassa e salda, non un grido.
“Non fare così bellezza.”
La guardò indietreggiare verso una rumorosa risata che veniva da un'altra direzione. Era irritato dal rumore – Chiudi il bello, Jeff! Pensò – ma lo divertiva il modo in cui lei si rannicchiava.
Lo eccitava. Iniziò a immaginarla pregante, il modo in cui avrebbe supplicato... non mi resi conto che c'erano altri con lui finché non sentii la rumorosa risata. Esaminai fuori di lui, disperato per qualcosa che potevo usare. Stava facendo il primo passo verso di lei, piegando le sue mani.
I pensieri attorno a lui non erano una fogna come la sua. Erano tutte leggermente intossicate, nessuno di loro sembrava rendersi conto quanto lontano quell'uomo di nome Lonnie avesse programmato di andare. Loro seguivano il comando di Lonnie ciecamente. Gli aveva promesso un po' di divertimento...
Uno di loro lanciò un'occhiata verso la strada, nervoso, non voleva essere catturato a molestare la ragazza, e mi diede quello di cui avevo bisogno. Riconobbi l'incrocio che aveva guardato.
Volai sotto il rosso, scivolando attraverso uno spazio abbastanza grande tra due macchine nel traffico. I clacson squillarono dietro di me.
Il telefono vibrò nella mia tasca. Lo ignorai.
Lonnie si muoveva lentamente verso la ragazza, attirando la suspense, il momento di terrore che lo eccitava. Aspettò che urlasse, preparandosi ad assaporarlo.
Ma Bella strinse la mascella e si fece coraggio. Rimase sorpreso, si aspettava che cercasse di correre. Sorpreso e leggermente deluso. Gli piaceva inseguire la sua preda, l'adrenalina della caccia.
Coraggiosa, questa. Meglio forse, credo... più lotta.
Ero ad un ingorgo. Il mostro poteva sentire il ruggire del mio motore adesso, ma non vi prestò attenzione, troppo intento nella sua vittima.
Avrei visto come si sarebbe divertito quando fosse stato lui la preda. Avrei visto cosa avrebbe pensato del mio stile di caccia.
In un altro scomparto della mia mente, stavo già selezionando la gamma di torture di cui ero stato testimone durante i miei anni da vigilante, cercando il più doloroso. Avrebbe sofferto per questo. Si sarebbe contorto nell'agonia. Gli altri per la loro parte sarebbero soltanto morti, ma il mostro chiamato Lonnie avrebbe supplicato fino alla morte prima che gli facessi quel dono.
Ero in strada, attraversando verso di lei.
Svolai secco l'angolo, i miei anabbaglianti bucarono la scena e li congelarono sul posto. Avrei potuto correre verso il capo, che si era lanciato fuori dalla strada, ma era una morte troppo facile per lui.
Lasciai che la mia macchina si girasse, sgommando così che stavo di nuovo fronteggiando la strada di ritorno e la portiera del passeggero verso Bella. L'aprii, e lei stava già correndo verso la macchina.
“Sali,” ringhiai.
Ma che diavolo?
Sapevo che era una cattiva idea! Non è sola.
Dovrei correre?
Penso che sto per vomitare...
Bella saltò attraverso la porta aperta senza esitare, chiudendola dietro di lei.
E poi mi guardò con la più fiduciosa espressione che avessi visto su un viso umano, e tutti i miei piani violenti crollarono.
Ci misi molto, molto meno di un secondo per capire che non avrei potuto lasciarla in macchina per affrontare i quattro uomini in strada. Cosa le avrei detto, di non guardare? Ah! Quando mai faceva quello che le chiedevo? Quando mai faceva la cosa giusta?
Li avrei trascinati via, fuori dalla sua vista, lasciandola sola qui? Sarebbe stata una possibilità remota che un altro umano pericoloso si stesse aggirando per le strade di Port Angeles questa sera, ma era una possibilità remota che poteva accadere una prima volta! Come una calamita, attirava tutte le cose pericolose verso di sé. Non potevo lasciarla fuori dalla mia vista.
Sembrò parte dello stesso movimento mentre acceleravo, portandola lontana dai suoi inseguitori così velocemente che spalancarono la bocca alla mia macchina con un incomprensibile espressione. Non avrebbe riconosciuto il mio istante di esitazione. Avrebbe assunto che il mio era un piano di fuga sin dall'inizio.
Non potevo nemmeno colpirlo con la mia macchina. L'avrebbe spaventata.
Volevo la sua morte così selvaggiamente che quel bisogno risuonò nelle mie orecchie e mi annebbiò la vista e insaporì la mia lingua. I miei muscoli contratti dall'impulso, dal desiderio, dal bisogno. Dovevo ucciderlo. L'avrei scorticato lentamente da parte, pezzo per pezzo, pelle dai muscoli, muscoli dalle ossa...
Ad eccezione che quella ragazza, l'unica al mondo, si stava avvinghiando al sedile con entrambe le mani, fissandomi, i suoi occhi ancora spalancati e completamente fiduciosi. La vendetta avrebbe potuto aspettare.
“Allacciati la cintura,” ordinai. La mia voce era rauca per l'odio e la sete di sangue. Non la solita sete. Non mi sarei sporcato ad avere nessuna parte di quell'uomo dentro di me.
Chiuse la cintura al suo posto, sobbalzando leggermente al suono che fece. Quel piccolo suono la fece saltare, anche se non indietreggiava mentre svoltavo verso la città, ignorando gli altri guidatori nel traffico. Potevo sentire i suoi occhi su di me. Sembrava stranamente rilassata. Per me non aveva molto senso, non con quello che aveva appena passato.
“Stai bene?” chiese, la sua voce rauca per la tensione e la paura.
Lei voleva sapere se io stavo bene?
Pensai alla sua domanda per una frazione di secondo. Non abbastanza per farle notare la mia esitazione. Stavo bene?
“No,” realizzai, e il mio tono ribolliva di rabbia.
La portai alla stessa strada inutilizzata dove avevo passato il pomeriggio impegnato nella più misera sorveglianza mai tenuta. Adesso era buio sotto gli alberi.
Ero così furioso che il mio corpo s'immobilizzò, improvvisamente fermo. Le mie mani di ghiaccio strette in un pugno desideravano attaccare il suo assalitore, ridurlo in pezzi così lacerati che il suo corpo non sarebbe potuto mai più essere identificato...
Ma questo avrebbe implicato lasciarla da sola, indifesa nella notte oscura.
“Bella?” chiesi tra i denti.
“Si?” la sua voce era ancora densa... di paura, senza dubbio.
E quindi non avrei potuto lasciarla.
Anche se non fosse stata in un costante rischio per qualche esasperante ragione – l'universo mi stava giocando qualche brutto scherzo – anche se fossi stato sicuro che sarebbe stata perfettamente in salvo in mia assenza, non potevo lasciarla sola nel buio.
Doveva essere terrorizzata.
Eppure non ero in condizione di confortarla, anche se avessi saputo esattamente come farlo, il che era improbabile. Di sicuro poteva sentire irradiare da me brutalità, di sicuro era molto evidente. L'avrei spaventata di più se non fossi riuscito a calmare il desiderio di massacro che mi bolliva dentro.
Avevo bisogno di pensare a qualcos'altro.
“Per favore, fai qualcosa per distrarmi,” la pregai.
“Che cosa?”
Avevo a mala pena il controllo per cercare di spiegare cosa mi serviva.
“Chiacchiera di qualcosa di poco importante finché non mi calmo,” le spiegai, la mia mascella ancora serrata. Soltanto il fatto che lei aveva bisogno di me mi teneva dentro la macchina. Potevo sentire i pensieri dell'uomo, la sua delusione e rabbia... Sapevo dove trovarlo... Chiusi gli occhi, sperando di non poter vedere oltre...
“Uhm...” esitò, cercando di dare un senso alla mia richiesta, immaginai. “Forse domani prima che inizino le lezioni investirò Tyler Crowley?” La disse come fosse una domanda.
Sì, questo era quello di cui avevo bisogno. Ovvio che Bella se ne uscisse con qualcosa di inaspettato. Come prima, la minaccia di violenza venire dalle sue labbra era divertente, così comica che stonava. Se non avessi bruciato per l'urgenza di uccidere, avrei riso.
“Perché?” latrai, per spingerla a parlare ancora.
“Va dicendo a tutti che mi porterà al ballo di fine anno,” disse, la sua voce offesa come quella di un gattino-tigre, “O è impazzito, oppure sta ancora cercando di scusarsi per avermi quasi ammazzata... be', ti ricordi,” introdusse seccamente. “E secondo lui quel ballo è chissà perché il modo migliore per farlo. Perciò, immagino che se metterò la sua vita a repentaglio saremo pari e non si sentirà più in dovere di risarcirmi. Non ci tengo ad avere nemiche, e probabilmente anche Lauren smetterebbe di tormentarmi se lui mi lasciasse perdere. Mi toccherà fare a pezzi la sua Sentra, credo.” continuò, pensierosa adesso. “È un guaio, perché senza auto non potrà dare a nessuno un passaggio per il ballo di fine anno...”
Era incoraggiante vedere che a volte arrivava a conclusioni sbagliate. L'insistenza di Tyler non aveva niente a che fare con l'incidente. Non sembrava rendersi conto dell'attrazione che esercitava per i ragazzi umani della scuola. Non vedeva neanche l'attrazione che aveva su di me?
Ah, stava funzionando. I processi devianti della sua mente mi monopolizzavano sempre. Stavo iniziando ad aumentare il controllo su me stesso, a vedere qualcos'altro oltre la vendetta e la tortura...
“M'era giunta voce,” le dissi. Aveva smesso di parlare, e avevo bisogno che continuasse.
“Fino a te?”, chiede incredula. E poi la sua voce si arrabbiò più di prima. “Beh, forse se resta paralizzato dal collo in giù non potrà partecipare, al ballo.”
Sperai potesse esserci un qualche modo per poterle chiedere di continuare con le minacce di morte e dolori corporei senza sembrare un folle. Non avrebbe potuto scegliere modo migliore per calmarmi. E le sue parole, solo sarcastiche nel suo caso, erano un caro ricordo di ciò che avevo bisogno in questo momento.
Sospirai, e aprii gli occhi.
“Va meglio?” chiede timidamente.
“Non proprio.”
No, ero calmo, ma non andava meglio. Perché avevo appena realizzato che non potevo uccidere il mostro chiamato Lonnie, e ancora rimaneva quasi la cosa che più desideravo al mondo. Quasi.
L'unica cosa in questo momento che volevo di più di commettere un assai giustificabile assassinio, era la ragazza. E, sebbene non potessi, solo il pensiero di averla mi rendeva impossibile andare a fare festa di omicidi stasera, non importava.
Bella meritava meglio di un assassino.
Avevo passato sette decenni per cercare di essere qualcos'altro, qualcosa di più di un omicida. Quegli anni di sforzi non mi avrebbero mai reso degno della ragazza seduta accanto a me. E ancora, sentivo che se fossi ritornato a quella vita, la vita di un assassino, per una sola sera, l'avrei sicuramente resa fuori dalla mia portata per sempre. Anche se non avessi bevuto il loro sangue, anche se non avessi avuto l'evidenza del brillante rosso nei miei occhi, non avrebbe avvertito la differenza?
Stavo cercando di essere abbastanza buono per lei. Era una meta impossibile. Avrei continuato a provare.
“Cosa c'è che non va?” sussurrò.
Il suo respiro mi riempì le narici, e mi ricordai che non potevo essere degno di lei. Dopo tutto questo, anche con tutto l'amore che provavo per lei... mi faceva ancora venire l'acquolina in bocca.
“Ogni tanto ho dei problemi di impulsività, Bella.” Fissai la notte buia, sperando sia che avesse avvertito l'orrore inerente alle mie parole sia che non lo avesse fatto. Di più la seconda. Scappa, Bella, scappa. Rimani, Bella, rimani. “Ma non sarebbe affatto una buona cosa fare marcia indietro e assalire quei...” solo il pensiero mi spingeva fuori dalla macchina. Presi un respiro profondo, lasciando che il suo odore mi bruciasse la gola. “Perlomeno, è ciò di cui sto tentando di convincermi.”
“Oh.”
Non disse nulla. Cosa aveva sentito nelle mie parole? Le lanciai un'occhiata furtiva, ma il suo viso era illeggibile. Privo di shock, comunque. Beh, non stava gridando. Non ancora.
Ci fu silenzio per un momento. Lottai con me stesso, cercando di essere quello che dovevo essere. Che non potevo essere.
“Jessica e Angela saranno preoccupate,” disse con calma. La sua voce era molto tranquilla, e non ero sicuro di come avrebbe potuto essere. Era scioccata? Forse gli eventi di stanotte non l'avevano ancora colpita. “Mi stavano aspettando.”
Voleva allontanarsi da me? O era solo preoccupata per le sue amiche?
Non le risposi, ma feci partire la macchina e la riportai indietro. Ad ogni centimetro che mi avvinavo alla città, diventava più difficile trattenermi dal mio proposito. Era così vicino a lui...
Se era impossibile, se non avessi mai potuto meritare questa ragazza, allora quale sarebbe stato il senso di lasciare quell'uomo impunito? Di sicuro potevo permettermelo...
No. Non stavo rinunciando. Non ancora. La volevo troppo per cedere.
Eravamo al ristorante dove doveva incontrare le sue amiche prima che iniziassi a dare un senso ai miei pensieri. Jessica e Angela avevano finito di mangiare, ed erano entrambe molto preoccupate per Bella. Erano sul punto di cercarla, dirigendosi verso la strada buia.
Non era una buona serata per loro per vagabondare...
“Coma facevi a sapere...?” la domanda incompiuta di Bella m'interruppe, e mi resi conto di aver fatto un'altra gaffe. Ero stato troppo distratto per ricordarmi di chiederle dove doveva incontrarsi con le amiche.
Ma, invece di finire la domanda ed insistere, Bella scosse la testa e fece un mezzo sorriso.
Cosa voleva dire?
Beh, non avevo tempo per risolvere la sua strana accettazione sulla mia estranea conoscenza. Aprii la portiera.
“Cosa fai?” chiese, suonando spaventata.
Non ti lascio lontano dalla mia vista. Non permetto a me stesso di stare da solo questa notte. In quest'ordine. “Ti porto fuori a cena.”
Beh questo sarebbe dovuto essere interessante. Sembrava passata un'intera notte quando avevo immaginato di portare Alice e fingere di scegliere per caso lo stesso ristorante di Bella e delle sue amiche. E adesso, eccomi qui, praticamente ad un appuntamento con una ragazza. Solo che non contava, perché non le stavo offrendo la possibilità di rifiutare.
Aveva già la portiera mezza aperta prima che camminassi attorno la macchina – di solito non era così frustrante doversi muoversi ad una velocità tanto poco appariscente – invece di aspettare che l'aprissi io. Era perché non era abituata ad essere trattata come una signorina, o perché non pensava a me come ad un gentiluomo?
Aspettai che mi raggiungesse, diventando sempre più ansioso mentre le sue amiche continuavano a dirigersi verso l'angolo buio.
“Vai a fermare Jessica e Angela, non ho intenzione di rincorrere anche loro per Port Angeles,” ordinai velocemente. “Non credo che riuscirei a trattenermi, se dovessi imbattermi di nuovo nei tuoi amichetti.” No, non sarei stato abbastanza forte.
Rabbrividì, e poi velocemente si raccolse. Fece un mezzo passo verso di loro, chiamandole. “Jess! Angela!” ad alta voce. Loro si voltarono, e lei agitò le braccia sopra la testa per attirare la loro attenzione.
Bella! Oh, è salva! Pensò Angela con sollievo.
Così tardi? Mormorò Jessica tra sé, ma poi, anche lei ringraziò che Bella non si fosse persa o ferita. Questo me la fece piacere un po' di più.
Si affrettarono a tornare indietro, e poi si fermarono, quando mi videro dietro di lei.
Uh-uh! Pensò Jessica, stupita. Eccitante!
Edward Cullen? Era andata via per cercarlo? Ma perché avrebbe chiesto delle loro gite se sapeva che era qui... Ebbi un breve flash dell'espressione mortificata di Bella mentre chiedeva ad Angela se la mia famiglia fosse spesso assente da scuola. No, non avrebbe potuto saperlo, decise Angela.
I pensieri di Jessica si stavano muovendo tra la sorpresa e il sospetto. Bella mi sta escludendo.
“Dove sei stata?” domandò, fissando Bella, ma sbirciandomi con la coda dell'occhio.
“Mi sono persa. E poi ho incontrato Edward,” rispose Bella, facendomi un cenno con la mano. Il suo tono notevolmente normale. Come se fosse veramente tutto quello che era successo.
Doveva essere in stato di shock. Era l'unica spiegazione per la sua tranquillità.
“Vi disturba se mi unisco a voi?” chiesi, per essere educato; sapevo che avevano già mangiato.
Cavolo è fico! Jessica pensò, la sua mente all'improvviso incoerente.
Angela non era molto più calma. Peccato che abbiamo mangiato. Wow. Proprio ora. Wow.
Adesso perché non potevo fare lo stesso con Bella?
“Ehm... certo che no,” acconsentì Jessica.
Angela si accigliò. “Uhm, in realtà Bella, abbiamo già mangiato mentre ti aspettavamo,” ammise. “Scusaci.”
Cosa? Chiudi il becco! Si lamentò internamente Jessica.
Bella scrollò le spalle indifferente. Così facile. Definitivamente in shock. “Non c'è problema... Non ho fame.”
“Penso che invece dovresti mangiare qualcosa.” contraddissi. Aveva bisogno di zuccheri nel suo flusso sanguigno, sebbene com'era adesso profumasse abbastanza dolce, pensai beffardo. L'orrore l'avrebbe colpita da un momento all'altro, e uno stomaco vuoto non avrebbe aiutato. Sveniva facilmente, come sapevo per esperienza.
Le ragazze non sarebbero state in pericolo se fossero andate dritte a casa. Il pericolo non le pedinava ad ogni passo.
E preferivo restare da solo con Bella, più di quanto lei desiderasse rimanere da sola con me.
“Vi dispiace se accompagno io a casa Bella, stasera?” dissi a Jessica prima che Bella potesse rispondere. “Così non sarete costrette ad aspettarla mentre mangia.”
“Uhm, non c'è problema, credo...” Jessica fissò intensamente Bella, cercando qualche segno che fosse questo ciò che voleva.
Voglio restare... ma probabilmente lei vuole star sola con lui. Chi non lo vorrebbe? Pensò Jess. Alla stesso tempo, vide Bella farle l'occhiolino.
Bella ammiccare?
“D'accordo,” disse Angela velocemente, impaziente di sparire se era questo quello che Bella voleva. E sembrava che lo volesse. “Ci vediamo domani, Bella... Edward.” Si sforzò di pronunciare il mio nome con un tono indifferente. Poi afferrò la mano di Jessica e iniziò a trascinarla via.
Avrei dovuto trovare qualche modo per ringraziare Angela.
La macchina di Jessica era vicina e in luminoso cerchio di luce proiettato da un lampione. Bella le osservò attentamente, un piccola ruga di preoccupazione tra gli occhi, finché non entrarono in macchina; dunque doveva essere pienamente consapevole del pericolo che aveva corso. Jessica la salutò con la mano mentre guidava, e Bella la agitò di rimando. Dopo che la macchina sparì prese un respiro profondo e si voltò a guardarmi.
“Sinceramente non ho fame,” disse.
Perché aveva aspettato che se ne fossero andate per parlare? Voleva realmente stare sola con me, anche adesso, dopo essere stata testimone della mia rabbia omicida?
Qualunque fosse il caso, avrebbe mangiato qualcosa.
“Fammi questo piacere,” dissi.
Le tenni la porta del ristorante aperta e aspettai.
Sospirò, e poi entrò.
Camminai dietro di lei fino al podio dove aspettava la caposala. Bella sembrava ancora interamente al pieno delle sue facoltà. Volevo toccarle la mano, la fronte, controllarle la temperatura. Ma la mia mano fredda l'avrebbe respinta, come l'altra volta.
Oh, mio dio, la voce alquanto alta della mente della caposala si introdusse nella mia coscienza. Mio, oh mio dio.
Sembrava essere la mia sera per far girare la testa. O solo lo stavo notando di più perché speravo tanto che Bella mi vedesse in quel modo? Siamo sempre attratti dalle nostre prede. Non l'avevo mai pensata in questi termini prima d'ora. Di solito – a meno che, con persone come Shelly Cope e Jessica Stanley, vi era una costante ripetizione per offuscare l'orrore – la paura scalciava abbastanza velocemente dopo l'attrazione iniziale...
“Un tavolo per due?” Suggerii.
“Oh, ehm, sì. Benvenuti a La Bella Italia.” Mmm! Che voce! “Per favore seguitemi.” I suoi pensieri erano preoccupati, calcolando.
Forse è sua cugina. Potrebbe essere sua sorella, non si assomigliano. Ma familiari, di sicuro. Lui non può stare con lei.
Gli occhi degli umani erano così offuscati, non vedevano chiaramente. Come poteva questa piccola mente umana trovarmi fisicamente attraente, un tranello per le prede, ed essere ancora incapace di vedere la dolce perfezione della ragazza accanto a me?
Beh, non ho intenzione di prestarle attenzione, in caso, pensò la caposala mentre ci conduceva ad un tavolo formato famiglia al centro della più affollata parte del ristorante. Posso dargli il mio numero mentre lei è qui...? meditò.
Presi una banconota dalla mia tasca posteriore. Le persone erano immancabilmente cooperative quando si parlava con i soldi.
Bella senza esitare stava già prendendo posto dove aveva indicato la caposala. Scossi la testa verso di lei, ed esitò, piegando la testa da un lato per la curiosità. Sì, sarebbe stata davvero curiosa questa sera. Una folla non era il posto ideale per questa conversazione.
“Non c'è qualcosa di più appartato?” chiesi alla caposala, porgendole i soldi. I suoi occhi si spalancarono per la sorpresa, e poi si strinsero mentre la sua mano si chiudeva sulla mancia.
“Certo.”
Sbirciò alla banconota mentre ci conduceva ad una fila di séparé.
Cinquanta dollari per un tavolo migliore? Anche ricco. Ha senso, scommetto che la sua giacca costa più della mia ultima paga. Dannazione. Perché vuole privacy con lei?
Ci offrì un tranquillo angolo del ristorante dove nessuno avrebbe potuto osservarci, osservare le reazioni di Bella a qualsiasi cosa le avessi detto. Non avevo nessun indizio su cosa avrebbe voluto sapere da me questa sera. O cosa le avrei dato.
Quanto aveva capito? Che spiegazioni si era data per gli eventi di stasera?
“Questo va bene?” chiese la caposala.
“Perfetto,” le dissi e, sentendomi leggermente infastidito per l'atteggiamento risentito che aveva riservato a Bella, le sorrisi apertamente, mostrandole i denti. Lasciando che mi vedesse chiaramente.
Whoa. “Uhm... La cameriera arriva subito.” Non può essere vero. Devo star sognando. Forse lei scomparirà... forse scriverò il mio numero sul suo piatto con il ketchup... Vagò via, sbandando da una parte.
Strano. Non era ancora spaventata. Improvvisamente ricordai Emmett prendermi in giro a mensa, qualche settimana fa. Scommetto che potrei spaventarla meglio di questo.
Stavo perdendo il mio vantaggio?
“Non dovresti trattare così le persone,” Bella interruppe i miei pensieri con un tono di disapprovazione. “Non è per niente corretto.”
Fissai la sua espressione critica. Cosa voleva dire? Non avevo spaventato la caposala, a dispetto delle mie intenzioni. “Trattarle come?”
“Abbacinarla in quel modo per fare colpo. Probabilmente è corsa in cucina a cercare di riprendere fiato.”
Hmm. Bella aveva davvero ragione. La caposala non era ancora del tutto coerente al momento, descrivendo il suo giudizio sbagliato su di me alla sua amica, in attesa di personale.
“E dai,” Bella mi rimproverò quando non risposi subito. “Non dirmi che non ti rendi conto dell'effetto che fai.”
“Faccio colpo su tutti?” Era un interessante modo di formulare la frase. Abbastanza fedele alla serata. Pensai al perché della differenza...
“Non te ne sei accorto?” chiese, ancora scettica. “Pensi che chiunque sia capace di fare quel che desidera così facilmente?”
“Abbaglio anche te?” Diedi voce improvvisamente alla mia curiosità, e poi le parole uscirono fuori prima che fosse troppo tardi per rimangiarmele.
Ma prima che avessi il tempo di sprofondare nel rimorso lei rispose, “Spesso.” E le sue guance si tinsero di rosa.
L'abbagliavo.
Il mio cuore silenzioso si gonfiò di una speranza molto più intensa di quanto potessi ricordare di aver mai sentito prima.
“Ciao,” disse qualcuno, la maȋtre, presentandosi. I suoi pensieri erano rumorosi, e molto più espliciti della caposala, ma la chiusi fuori. Fissai il viso di Bella invece di ascoltare, guardando il sangue diffondersi sulle sue guance, notando non come facesse infiammare la mia gola, ma piuttosto come le illuminasse il viso, come mettesse in evidenza la crema della sua pelle...
La maȋtre stava aspettando qualcosa da me. Ah, aveva chiesto le ordinazione delle bevande. Continuai a fissare Bella, e anche la maȋtre si voltò a guardarla con rancore.
“Per me una coca?” disse Bella, come cercando approvazione.
“Due,” la corressi. La sete, normale, umana sete, era segno di shock. Mi sarei assicurato che avesse più zuccheri di una sola bibita nel suo sistema.
Sembrava sana, comunque. Molto più che sana. Sembrava radiosa.
“Cosa c'è?” domandò, chiedendosi perché la stessi fissando, pensai. Ero vagamente consapevole che la maȋtre se n'era andata.
“Come ti senti?” chiesi.
Lei ammiccò, sorpresa dalla domanda. “Bene.”
“Non ti senti scossa, con la nausea, infreddolita?”
Era ancora più confusa adesso. “Dovrei?”
“Beh, in realtà sto aspettando che tu entri in uno stato di shock.” Feci un mezzo sorriso, aspettando che negasse. Non voleva che qualcuno si prendesse cura di lei.
Le ci volle un minuto per rispondermi. I suoi occhi erano leggermente confusi. Appariva in quel modo qualche volta, quando le sorridevo. Era... abbagliata?
Adoravo pensarci.
“Non credo che succederà. Sono sempre stata brava a reprimere gli episodi spiacevoli,” rispose, quasi senza respiro.
Aveva fatto molta esperienza di cose spiacevoli, allora? La sua vita era sempre stata così pericolosa?
“Comunque sia,” le dissi. “Starò meglio quando avrai assunto un po' di cibo e zuccheri.”
La maȋtre tornò con le coca cola e un cestino di pane. Le mise di fronte a me, e chiese la mia ordinazione, cercando di catturare il mio sguardo durante l'operazione. Indicai che doveva aspettare Bella, e poi ritornai a non prestarle attenzione. Aveva una mente volgare.
“Ehm...” Bella diede una veloce occhiata al menù. “Per me ravioli ai funghi.”
La maȋtre si voltò verso di me entusiasta. “E per te?”
“Per me niente.”
Bella fece una leggera smorfia. Hmm. Doveva aver notato che non mangiavo mai. Notava tutto. E io dimenticavo sempre di stare attento quando ero con lei.
Aspettai che fossimo di nuovo da soli.
“Bevi,” insistetti.
Rimasi sorpreso quando acconsentì subito e senza obiezioni. Bevve fino a che il bicchiere non fu completamente vuoto, così spinsi la seconda coca verso di lei, accigliandomi un po'. Sete, o shock?
Bevve un altro poco, e poi rabbrividì.
“Hai freddo?”
“E' la coca,” rispose, ma rabbrividì ancora, le sue labbra tremarono leggermente come se i suoi denti stessero battendo.
La camicia carina che indossava sembrava troppo leggera per proteggerla adeguatamente; le aderiva come una seconda pelle, fragile quasi quanto la prima. Era così delicata, così mortale. “Non hai un giubbotto?”
“Sì,” si guardò intorno, un po' perplessa. “Oh... l'ho lasciato sulla macchina di Jessica.”
Mi tolsi la giacca, sperando che non fosse rovinata dalla mia temperatura. Sarebbe stato più gradevole essere capace di offrirle un cappotto caldo. Lei mi fissò, le sue guance di nuovo accaldate. Cosa stava pensando adesso?
Le porsi la giacca da sopra il tavolo, e lei la indossò, rabbrividendo di nuovo.
Sì, sarebbe stato più gradevole se fosse stata calda.
“Grazie,” disse. Fece un respiro profondo, e poi spinse le maniche troppe lunghe per liberarsi le mani. Prese un altro respiro profondo.
La serata si stava finalmente aggiustando? Il suo colorito era buono; la sua pelle crema e rosa contro il blu scuro della sua maglietta.
“Quel blu dona molto alla tua carnagione,” mi complimentai. Rimanere soltanto onesto.
S'illuminò, aumentando l'effetto.
Sembrava star bene, ma non c'era verso di cambiare scelta. Spinsi il pane verso di lei.
“Davvero,” obiettò, indovinando il motivo. “Non sono in stato di shock.”
“Dovresti: una persona normale reagirebbe così. Non sembri neanche scossa.” La fissai con un sguardo di disapprovazione, pensando al perché non potesse essere normale e poi riflettendo se volevo che lo fosse.
“Vicino a te mi sento così sicura,” disse, i suoi occhi, ancora, pieni di fiducia. Fiducia che non meritavo.
I suoi istinti erano tutti sbagliati – al contrario. Era quello il problema. Non riconosceva il pericolo nel modo in cui sarebbe stato capace di fare un umano. Aveva le reazioni opposte. Invece di correre, lei indugiava, attirata da ciò che avrebbe dovuto spaventarla...
Come potevo proteggerla da me stesso quando nessuno dei due lo voleva?
“E' più complicato di quanto avessi immaginato,” mormorai.
Potevo vedere le mie parole vorticarle nella mente, e pensai a cosa ne avrebbe fatto. Prese un grissino e iniziò a mangiarlo senza interessarsene. Masticò per un momento, e poi piegò la testa da un lato pensierosa.
“Di solito quando hai gli occhi così chiari sei di buon'umore,” disse con tono indifferente.
La sua osservazione, dichiarata così nel mezzo del discorso, mi fece annaspare. “Cosa?”
“Quando hai gli occhi neri sei sempre intrattabile, almeno così mi pare. Ho una teoria,” aggiunse con leggerezza.
Così aveva iniziato con le sue spiegazioni. Certo che l'aveva fatto. Avvertii un profondo senso di timore mentre pensavo a quanto si fosse avvicinata alla verità.
“Un'altra?”
“Già.” Masticò un altro boccone, completamente indifferente. Come se non stesse discutendo degli aspetti di un mostro con il mostro stesso.
“Spero che stavolta tu sia stata un po' più fantasiosa...” mentii quando non continuò. Speravo davvero che fosse sbagliata, lontana mille miglia dalla verità. “O hai preso ancora ispirazione dai fumetti?”
“Beh no, non ho copiato dai fumetti..” disse, un po' imbarazzata. “Ma non è neanche un'invenzione mia.”
“E...?” chiesi tra i denti.
Di sicuro non avrebbe parlato con così tanta calma se era sul punto di urlare.
Mentre esitava, mordendosi le labbra, la maȋtre riapparse con il piatto di Bella. Prestai poca attenzione mentre posava il piatto di fronte a Bella e poi chiedeva se volevo qualcosa.
Declinai, ma chiesi un'altra coca. La maȋtre non aveva notato i bicchieri vuoti. Li prese e se ne andò.
“Dicevi?” la sollecitai ansiosamente appena fummo di nuovo da soli.
“Ti dirò tutto in macchina,” disse a bassa voce. Ah, sarebbe stata una cattiva idea. Non voleva parlare delle sue supposizioni con altri attorno. “Se...” attaccò all'improvviso.
“Ci sono delle condizioni?” Ero così teso che quasi ringhiai le parole.
“Anch'io ho qualche domanda da farti, ovviamente.”
“Ovviamente,” acconsentii, il mio tono duro.
Le sue domande mi avrebbero detto abbastanza su dove i suoi pensieri si stavano dirigendo. Ma come potevo rispondere? Con bugie responsabili? O conducendola lontano dalla verità? O non avrei dovuto dire nulla, incapace di decidere?
Sedemmo in silenzio mentre la maȋtre riempiva fino all'orlo la sua bibita.
“Beh, vai avanti,” dissi quando se ne andò, la mascella stretta.
“Cosa sei venuto a fare a Port Angeles?”
Era una domanda facile, per lei. Non mi portava a nulla, mentre la mia risposta, se veritiera, l'avrebbe condotta molto lontano. Lascia che riveli prima lei qualcosa.
“La prossima,” dissi.
“Ma questa era la più facile!”
“La prossima,” dissi di nuovo.
Era frustrata dal mio rifiuto. Guardò lontano da me, giù verso il cibo. Lentamente, pensando intensamente, fece un morso e masticò con cautela. Bevve un altro sorso di coca, e poi infine mi guardò. I suoi occhi erano stretti nel sospetto.
“D'accordo,” disse. “Diciamo, per ipotesi, certo, che... qualcuno... sia capace di leggere la mente, i pensieri altrui, ecco... con qualche eccezione.”
Poteva essere peggio.
Questo spiegava il mezzo sorriso nella macchina. Era veloce, nessuno aveva mai indovinato. Eccetto per Carlisle, ed era stato oltremodo ovvio, all'inizio, quando rispondevo a tutti suoi pensieri come se li avesse pronunciati. Lo aveva capito prima di me...
La domanda non era tanto male. Nonostante diventasse chiaro che sapeva che c'era qualcosa di sbagliato in me, non era così seria come avrebbe potuto essere. La capacità di leggere il pensiero non era, dopo tutto, una sfaccettatura dei canoni dei vampiri. Avrei assecondato le sue ipotesi.
“Una sola eccezione,” la corressi. “Per pura ipotesi.”
Lottò per reprimere un sorriso, gradiva la mia vaga onestà. “Va bene, con una sola eccezione. Come funziona? Che limiti ci sono? Come può quel... qualcuno... trovare una persona nel posto e nel momento giusto? Come fa ad accorgersi che è in pericolo?”
“Per ipotesi?”
“Certo.” Le sue labbra si piegarono, e i suoi occhi castano liquido si entusiasmarono.
“Beh,” esitai. “Se... quel qualcuno...”
“Chiamiamolo Joe,” suggerì.
Dovevo sorridere al suo entusiasmo. Pensava davvero che la verità fosse una cosa buona? Se i miei segreti erano gradevoli, perché dovevo tenerli lontano da lei?
“Vada per Joe,” acconsentii. “Se Joe avesse fatto attenzione, non sarebbe stato necessario essere tanto tempestivi.” Scossi la testa e repressi un brivido al pensiero di quanto oggi ero stato vicino ad arrivare tardi. “Solo tu sei capace di cacciarti nei guai in una città così piccola. Sai, eri sul punto di rovinare un decennio intero di statistiche locali sulla criminalità.”
La sue labbra si piegarono in giù, e sbottò. “Stavamo parlando di una situazione ipotetica.”
Risi alla sua irritazione.
Le sue labbra, la sua pelle... Sembravano così soffici. Volevo toccarli. Volevo premere le mie dita contro l'angolo accigliato e sollevarlo. Impossibile. La mia pelle sarebbe stata troppo ripugnante per lei.
“Si, certo,” dissi, ritornando alla conversazione prima che potessi deprimermi ancora di più. “La chiamiamo Jane?”
Si sporse sul tavolo verso di me, tutto l'umorismo e l'irritazione spariti dai suoi occhi spalancati.
“Come facevi a saperlo?” chiese, la sua voce bassa e intensa.
Avrei dovuto dirle la verità? E, se così, quanta parte?
Volevo dirglielo. Volevo meritare la fiducia che potevo ancora vedere nel suo volto.
“Di me ti puoi fidare, già lo sai,” sussurrò, e poi allungò una mano come per toccare le mie dove stavano sul tavolo vuoto.
Le tolsi via, odiando il pensiero della sua reazione alla mia pelle di pietra ghiacciata, e abbassò la mano.
Sapevo che potevo fidarmi di lei per proteggere i miei segreti; era completamente degna di fiducia, buona nel cuore. Ma non potevo fidarmi che non ne sarebbe rimasta terrorizzata. Avrebbe dovuto essere terrorizzata. La verità era orribile.
“Non so se ormai mi resta altra scelta,” mormorai. Mi ricordai che l'avevo presa in giro una volta chiamandola 'straordinariamente distratta'. L'avevo offesa, se avevo giudicato correttamente la sua espressione. Beh, potevo aver diritto ad un'ingiustizia, almeno. “Mi sbagliavo, sei molto più leale di quanto ti avessi giudicata.” E, sebbene non avrebbe dovuto essersene resa conto, l'avevo giudicata molto meglio. Non si perdeva niente.
“Pensavo che avessi sempre ragione,” disse, sorridendo mentre mi prendeva in giro.
“Una volta era così.” Ero abituato a sapere cosa stavo facendo. Ero abituato ad essere sempre sicuro della mia rotta. E adesso tutto era nel caos e in tumulto.
Eppure non l'avrei scambiato. Non volevo la vita che non aveva senso. Non se il caos significava che potevo stare con Bella.
“Mi sbagliavo anche a proposito di un'altra cosa,” continuai, sottolineando un altro fatto. “Non sei una calamita che attira incidenti, è una classificazione troppo limitata. Tu attiri disgrazie. Se c'è qualcosa di pericoloso nel raggio di dieci chilometri, puoi scommettere che ti troverà.” Perché lei? Cosa aveva fatto per meritare questo?
Il viso di Bella tornò di nuovo serio. “Tu rientri nella categoria?”
L'onestà riguardo a questa domanda era molto più importante rispetto all altre.
“Senza alcun dubbio.”
I suoi occhi si ridussero leggermente a due fessure, non sospettose, ma stranamente concentrate. Allungò di nuovo la sua mano attraverso il tavolo, lentamente e cautamente. Allontanai la mia mano di un centimetro dalla sua, ma lei lo ignorò, determinata a toccarmi. Trattenni il respiro, non per il suo odore adesso, ma per l'improvvisa, confusa tensione. Paura. La mia pelle l'avrebbe disgustata. Sarebbe scappata via.
Toccò il dorso leggermente con la punta delle dita. Il calore del suo gentile, volontario tocco era qualcosa che non avevo mai sentito prima. Era quasi puro piacere.
Lo sarebbe stato, eccetto per la mia paura. Osservai il suo viso mentre sentiva il freddo ghiaccio della mia pelle, ancora incapace di respirare.
Un mezzo sorriso le piegò gli angoli delle labbra.
“Grazie,” disse, incontrando i miei occhi con un intenso sguardo. “Con questa sono due.”
Le sue soffici dita indugiarono sulla mia mano come se lo trovassero piacevole.
Risposi più casuale che potei. “Facciamo in modo che non ci sia un tre, d'accordo?”
Fece una smorfia, ma annuì.
Allontanai la mia mano dalle sue. Per quanto squisito era il suo tocco, non avevo intenzione che la magia della sua tolleranza passasse, trasformandosi in repulsione. Nascosi la mia mano sotto il tavolo.
Lessi i suoi occhi; sebbene la sua mente era silenziosa, potevo percepire la sincerità e i pensieri lì dentro. Mi resi conto in quel momento che volevo rispondere alle sue domande. Non perché glielo dovevo. Non perché volevo che si fidasse di me.
Volevo che lei mi conoscesse.
“ Ti ho seguita fino a Port Angeles,” le dissi, le parole uscirono troppo velocemente per poterle cambiare. Conoscevo il pericolo della verità, il rischio che stavo correndo. Ad ogni momento, la sua innaturale calma avrebbe potuto frantumarsi in isteria. Al contrario, il saperlo mi faceva parlare più veloce. “Non ho mai tentato di salvare la vita a una singola persona prima d'ora, ed è un'impresa molto più fastidiosa di quanto credessi. Ma probabilmente dipende anche da te. Le persone normali riescono a tornare a casa ogni sera senza scatenare tante catastrofi.”
La guardai, aspettando.
Lei sorrise. Le sue labbra piegate agli angoli, riscaldando i suoi occhi color cioccolato.
Avevo appena ammesso di averla pedinata, e lei stava sorridendo.
“Hai mai pensato che forse la mia ora doveva suonare già la prima volta, con l'incidente del furgoncino, e che tu hai di fatto interferito con il destino?” chiese.
“Quella non era la prima volta,” dissi, fissando in basso verso il tavolo marrone scuro, le mie spalle curvate dalla vergogna. Le mie barriere erano abbattute, la verità stava saltando libera incautamente. “La tua ora è suonata quando ti ho conosciuta.”
Era vero, e mi fece arrabbiare. Ero stato posizionato sopra la sua vita come la lama di una ghigliottina. Era come se fosse stata marchiata a morte da un qualche destino crudele e ingiusto – da quando ero stato provvisto di involontarie capacità – dallo stesso destino che continuava a cercare di giustiziarla. Avevo immaginato la personificazione del destino, un orrenda, gelosa strega, una arpia vendicatrice.
Volevo qualcosa, qualcuno, che fosse responsabile di questo, così che avrei potuto combattere concretamente contro qualcosa. Qualcosa, qualsiasi cosa da distruggere, così Bella sarebbe stata in salvo.
Bella era molto silenziosa; il suo respiro era accelerato.
La guardai, sapendo che infine avrei visto la paura che stavo aspettando. Non avevo appena ammesso che ero stato vicino dall'ucciderla? Più vicino del furgone che era arrivato a pochi centimetri da lei? Eppure il suo viso era ancora calmo, i suoi occhi ancora stretti solo di preoccupazione.
“Ti ricordi?” Doveva ricordarlo.
“Sì,” disse, la sua voce calma e seria. I suoi occhi profondi erano pieni di consapevolezza.
Sapeva. Sapeva che avevo desiderato ucciderla.
Dov'erano le urla?
“Eppure, eccoti qui seduta,” dissi, puntualizzando l'insita contraddizione.
“Sì, sono seduta qui... grazie a te.” La sua espressione cambiò, divenne curiosa, come se avesse sottilmente cambiato il soggetto. “Perché in qualche modo sapevi dove trovarmi oggi?”
Disperatamente, spinsi un'altra volta la barriera che proteggeva i suoi pensieri, disperato di capire. Non aveva nessun senso logico per me. Come poteva preoccuparsi del resto con quell'evidente verità sul tavolo?
Aspettò, solo curiosa. La sua pelle era pallida, il che era naturale per lei, ma ancora mi preoccupava. La sua cena restava intatta davanti a lei. Se avessi continuato a dirle troppo, avrebbe avuto bisogno di un paraurti quando lo shock l'avrebbe consumata.
Pronunciai le mie condizioni. “Tu mangi, io parlo.”
Ci mise mezzo secondo a capire, e poi fece un morso con una velocità che celò la sua calma. Era molto più ansiosa per le mie risposte di quanto lasciassero credere i suoi occhi.
“È più difficile di come dovrebbe essere... non perdere le tue tracce.” Le dissi. “Di solito sono in grado di individuare le persone con molta facilità, mi basta sentire la loro mente una volta sola.”
Osservavo attentamente il suo volto mentre parlavo. Indovinare era una cosa, avere la conferma un'altra.
Era immobile, i suoi occhi spalancati. Sentii i miei denti stringersi mentre aspettavo che entrasse nel panico.
Ma lei ammiccò una volta, inghiottì rumorosamente, e poi raccolse veloce un altro boccone. Voleva che continuassi.
“Tenevo d'occhio Jessica distrattamente,” continuai, osservando come prendesse ogni parola. “Come ti ho detto, solo tu riesci a metterti nei guai a Port Angeles,” non riuscii a resistere ad aggiungerlo. Si era resa conto che gli altri umani non erano così afflitti da esperienze quasi mortali, o pensava di essere normale? Era la cosa più lontana dalla normalità che avessi mai incontrato. “E all'inizio non mi sono accorto che avevi proseguito da sola. Poi, quando ho capito che non eri più con lei, sono venuto a cercarti nella libreria che ho visto nei suoi pensieri. Ho intuito che non c'eri entrata, che ti eri diretta a sud... E sapevo che prima o poi avresti dovuto tornare indietro. Perciò ti stavo aspettando, cercandoti qui e là tra i pensieri dei passanti, nel caso che qualcuno ti avesse incrociata. Non c'era motivo di preoccuparmi... ma sentivo una strana ansia...” Il mio respiro accelerò mentre ricordavo la sensazione di panico. Il suo odore infiammò la mia gola e ne fui lieto. Un dolore che significava che era in vita. Finché bruciava, lei era salva.
“A quel punto ho iniziato a girare in tondo, restando... in ascolto.” Sperai che le parole avessero senso per lei. Questo doveva essere confusionario. “Fortunatamente il sole stava tramontando, così avrei potuto scendere dall'auto e seguirti a piedi. E poi...”
Mentre mi facevo trascinare dal ricordo, perfettamente chiaro e vivido come quel momento, sentii la stessa furia omicida attraversarmi il corpo, bloccandosi al ghiaccio.
Lo volevo morto. Avevo bisogno di averlo morto. Strinsi la mascella mentre concentravo per trattenermi al tavolo. Bella aveva bisogno di me. Era questo che importava.
“Poi cosa?” sussurrò, i suoi occhi scuri spalancati.
“Ho sentito cosa stavano pensando,” dissi attraverso i denti, incapace di trattenere le parole che stavano uscendo come un ringhio. “Ho visto il tuo volto nei loro pensieri.”
Riuscii con difficoltà a resistere all'impulso di uccidere. Sapevo ancora dove trovarlo di preciso. I suoi pensieri oscuri succhiavano il cielo notturno, spingendomi verso di lui...
Mi coprii il viso, sapendo che la mia espressione era quella di un mostro, un cacciatore, un assassino. Fissai la sua immagine dietro i miei occhi chiusi per controllarmi, focalizzandomi sul suo volto. La delicata struttura delle sue ossa, il sottile rivestimento della sua pallida pelle, come seta distesa sul vetro, incredibilmente soffice e facile da distruggere. Era troppo vulnerabile per questo mondo. Aveva bisogno di un protettore. E, per qualche strano caso del destino, ero la cosa più vicina a disposizione.
Cercai di spiegare la mia reazione violenta così che avrebbe capito.
“E' stato molto... difficile, tu non puoi immaginare quanto, limitarmi a portare via te e risparmiare loro... la vita,” sussurrai. “Avrei potuto lasciarti rientrare con Jessica e Angela, ma temevo che se fossi rimasto solo sarei tornato a cercarli.”
Per la seconda volta quella sera, avevo confessato un intenzionale omicidio. Almeno questa volta era difendibile.
Rimase in silenzio mentre lottavo per controllarmi. Le ascoltai il battito del cuore. Il ritmo era irregolare, ma rallentava mentre passava il tempo fino a che non fu di nuovo costante. Anche il suo respiro era basso e regolare.
Ero troppo vicino al limite. Avevo bisogno di accompagnarla a casa prima...
L'avrei ucciso, allora? Sarei diventato di nuovo un assassino quando lei si fidava di me? C'era un modo per fermarmi?
Mi aveva promesso che mi avrebbe spiegato l'ultima teoria quando saremmo stati soli. Volevo ascoltarla? Ero ansioso, ma la ricompensa per la mia curiosità sarebbe stato peggio di non sapere?
Ad ogni modo, aveva avuto abbastanza verità per una sola sera.
La guardai ancora, e il suo viso era più pallido di prima, ma calmo.
“Sei pronta per tornare a casa?” chiesi.
“Sono pronta per andare via di qui,” disse, scegliendo attentamente le parole, come se un semplice 'sì' non potesse esprimere quello che voleva dire.
Frustrante.
La maȋtre ritornò. Aveva sentito l'ultima affermazione di Bella mentre si agitava dietro l'altra parte del séparé, pensando a cosa altro avrebbe potuto offrirmi. Volevo alzare gli occhi al cielo per le cose che aveva in mente di offrire.
“Come andiamo?” mi chiese.
“Siamo pronti per il conto, grazie,” le dissi, i miei occhi su Bella.
Il respiro della maȋtre inchiodò e fu momentaneamente, per usare la frase di Bella, abbagliata dalla mia voce.
In un improvviso momento di intuizione, sentendo il modo in cui la mia voce suonava nelle menti incoerenti degli umani, mi resi conto del perché sembravo attrarre molta più ammirazione questa sera, non danneggiata dalla solita paura.
Era a causa di Bella. Cercando di metterla al sicuro, di essere meno spaventoso, di essere umano, avevo davvero perso il mio vantaggio. Adesso gli altri umani vedevano soltanto la mia bellezza, con il mio innato orrore così attentamente sotto controllo.
Guardi verso la maȋtre, aspettando che si riprendesse. Era quasi divertente, adesso che avevo capito la ragione.
“C-certo,” balbettò lei. “Ecco qui.”
Mi porse la cartellina con il conto, pensando alla carta che aveva fatto scivolare dietro la ricevuta. Un biglietto con il suo nome e il numero di telefono.
Sì, era piuttosto divertente.
Avevo già i soldi pronti. Le ritornai la cartellina, così non avrebbe sprecato tempo ad aspettare una chiamata che non sarebbe mai arrivata.
“Niente resto,” le dissi, sperando che la quantità della mancia alleviasse la sua delusione.
Rimasi in piedi, e Bella velocemente si alzò. Volevo offrirle la mia mano, ma pensai che avrei spinto un po' troppo la mia fortuna di una sera. Ringraziai la maȋtre, i miei occhi non lasciarono mai il viso di Bella. Anche lei sembrava trovarlo divertente.
Andammo verso l'uscita; camminavo accanto a lei per quanto mi potevo permettere. Abbastanza vicino che il calore del suo corpo ero come un tocco fisico contro il lato sinistro del mio. Le tenni la porta aperta, lei sospirò silenziosa, e pensai a quale dispiacere potesse renderla triste. Fissai i suoi occhi, sul punto di chiedere, quando lei improvvisamente guardò a terra, sembrando imbarazzata. M'incuriosì, anche se mi rese riluttante a chiedere. Il silenzio tra di noi continuò mentre le aprivo la portiera e poi entravo in macchina.
Accesi il riscaldamento, la temperatura più calda era improvvisamente terminata; la macchina fredda doveva metterla a disagio. Si rannicchiò nella mia giacca, un leggero sorriso sulle sue labbra.
Aspettai, posticipando la conversazione fino a che le luci del marciapiede svanirono. Mi faceva sentire un po' meglio essere da solo con lei.
Qual era la cosa giusta da fare? Adesso che mi stavo concentrando su di lei, la macchina sembrò molto piccola. Il suo odore vorticava attraverso la corrente del riscaldamento, modellandosi e rafforzandosi. Crebbe con molta più forza, come un'altra entità nella macchina. Una presenza che chiedeva un riconoscimento.
Lo ebbe; bruciai. L'incendio era accettabile, comunque. Mi sembrò stranamente appropriato. Avevo avuto troppo questa sera, più di quanto mi ero aspettato. E lei era qui, volontariamente al mio fianco. Le dovevo qualcosa in cambio. Un sacrificio. Un offerta di fuoco.
Se avessi potuto mantenere solo quello; solo bruciore e nient'altro. Ma il veleno mi riempì la bocca, e i miei muscoli si tesero in attesa, come se stessi cacciando...
Dovevo tenere certi pensieri lontani dalla mia mente. E sapevo cosa mi avrebbe distratto.
“Adesso,” le dissi, la paura della risposta si avvantaggiò sul bruciore. “E' il tuo turno.”



10. Teoria

“Posso farti un’ultima domanda?” mi supplicò invece di rispondere alla mia.
Ero al limite, impaziente del peggio. E anche, come allettato di prolungare quel momento. Di avere Bella vicino a me, volentieri, per ancora un po’ di secondi. Sospirai al dilemma, e dissi, “Una.”
“Beh...,” esitò per un momento, come per decidere a quale richiesta dar voce. “Hai detto di avere intuito che mi ero diretta a sud, anziché entrare in libreria. Mi chiedevo soltanto come avessi fatto.”
Guardai fuori dal parabrezza. Ecco un’altra domanda che non rivelava niente dalla sua parte, e troppo dalla mia.
“Pensavo che avessimo abolito gli atteggiamenti evasivi,” disse, il suo tono critico e deluso.
Che ironia. Lei era incessantemente evasiva, senza neanche provarci.
Bene, voleva che fossi diretto. E questa conversazione non stava andando verso nulla di buono, in ogni caso.
“D’accordo,” dissi. “Ho seguito il tuo odore.”
Volevo guardarla in faccia, ma avevo paura di quello che avrei visto. Invece, ascoltai il suo respiro che accelerava e quindi si stabilizzava. Dopo un momento parlò ancora, la sua voce era più ferma di quanto mi aspettassi.
“Inoltre, non hai ancora risposto ad una delle mie prime domande...” disse.
Guardai in basso verso di lei, aggrottando le sopracciglia. Stava prendendo tempo, anche lei.
“Quale?”
“Come funziona – la faccenda della lettura del pensiero?” chiese, rinnovando la domanda del ristorante. “Riesci a leggere la mente di chiunque, ovunque? Come fai? Anche i tuoi fratelli...?” Lasciò cadere la frase, arrossendo di nuovo.
“Una domanda sola, hai detto,” dissi.
Lei si limitò a fissarmi, aspettando la sua risposta.
E perché non dirglielo? Aveva già intuito molto, ed era un argomento più facile di quello che si prospettava.
“No, è una dote soltanto mia. E non riesco a sentire tutti, ovunque. Devo essere piuttosto vicino alle persone che leggo. Ma più familiare è una 'voce', maggiore è la distanza a cui l’avverto. Mai più di qualche chilometro, comunque.” Provavo a pensare a una maniera per descriverlo così che avrebbe capito. Un’analogia a cui anche lei potesse riferirsi. “È un po’ come essere in una grande sala piena di persone che parlano contemporaneamente. Una specie di rumore di fondo, il ronzio confuso delle voci. Finché non mi concentro su una voce sola e la metto a fuoco: allora sento cosa sta pensando. Il più delle volte semplicemente ignoro, escludo tutto: rischia di distrarmi troppo. Così poi è più facile sembrare normale,” feci una smorfia “ed evitare di rispondere per sbaglio ai pensieri delle persone, anziché alle loro parole.”
“Secondo te, perché non riesci a sentirmi?” mi domandò.
Di nuovo, le diedi la verità ed un’altra analogia.
“Non lo so,” ammisi. “Il mio sospetto è che la tua mente funzioni in modo diverso da tutte le altre. Come se i tuoi pensieri trasmettessero in AM e io ricevessi solo in FM.”
Capii che non sarebbe piaciuta questa analogia. L’anticipazione della sua reazione mi fece sorridere. Non mi deluse.
“La mia mente non funziona come dovrebbe?” chiese, la sua voce crebbe con il dispiacere. “Sono una specie di mostro?”
Ah, l’ironia di nuovo.
“Io sento voci nella mia testa, e tu temi di essere il mostro?” Risi. Aveva capito tutte le piccole cose, eppure sulla più grossa era tornata indietro. Sempre gli istinti sbagliati...
Bella si stava mordicchiando le labbra, e l’increspatura fra i suoi occhi era profondamente incisa.
“Stai tranquilla,” la rassicurai. “È solo una teoria...” E c’era una teoria più importante da discutere. Ero ansioso di farla finita. Ogni secondo che passava stava iniziando a presentarsi come se fosse stato preso in prestito.
“Il che ci riporta a te,” dissi, diviso in due, ansioso e riluttante allo stesso tempo.
Lei sospirò, continuando a mordicchiarsi le labbra – mi preoccupavo che si potesse ferire. Mi fissò negli occhi, il suo viso inquieto.
“Abbiamo abolito le risposte evasive, no?” chiesi tranquillo.
Abbassò lo sguardo, lottando con qualche dilemma interiore. All’improvviso si irrigidì e i suoi occhi si spalancarono. La paura apparve sul suo viso per la prima volta.
“Santo cielo!” boccheggiò.
Andai nel panico. Cosa aveva visto? Come l’avevo spaventata?
Quindi lei urlò, “Rallenta!”
“Cosa c’è?” Non capivo da dove venisse il suo terrore.
“Stai andando a centosessanta!” gridò. Gettò un’occhiata dal finestrino, e indietreggiò alla vista degli alberi neri che sfrecciavano dietro di noi.
Questa piccola cosa, solo un po’ di velocità, l’aveva fatta urlare di terrore?
Alzai gli occhi al cielo. “Rilassati, Bella.”
“Stai cercando di ucciderci?” domandò con la voce alta e tesa.
“Non usciremo di strada,”le promisi.
Inspirò profondamente, e quindi parlò in un tono leggermente più calmo. “Perché tutta questa fretta?”
“Guido sempre così.”
Incontrai il suo sguardo, divertito dalla sua espressione traumatizzata.
“Guarda avanti!” strillò.
“Non ho mai fatto incidenti, Bella. Non ho mai preso neanche una multa.” Ridacchiai e mi toccai la fronte. Era anche più comico, l’assurdità di essere in grado di scherzare con lei su qualcosa di così segreto e strano. “Segnalatore radar incorporato.”
“Divertente,” disse sarcastica, più impaurita che arrabbiata.
“Charlie è un poliziotto, ricordi? Da piccola mi è stato insegnato a rispettare il codice della strada. Inoltre, se ci trasformi in una ciambella di Volvo arrotolata a un albero, l’unico in grado di uscirne senza un graffio sei tu.”
“Probabile,” ripetei, e poi risi senza divertimento. Sì, ce la saremmo passata abbastanza diversamente in caso di incidente stradale. Aveva ragione ad aver paura, malgrado le mie abilità di guidatore...
Con un sospiro, lasciai che la macchina si trascinasse muovendosi appena. “Contenta?”
Adocchiò il tachimetro. “Quasi.”
Era ancora troppo veloce per lei? “Odio andare piano,” bofonchiai, ma lasciando che la lancetta scivolasse giù ancora una tacca.
“Così è piano?” chiese.
“Fine dei commenti sulla mia guida,” dissi impaziente. Quante volte ancora avrebbe raggirato le mie domande? Tre volte? Quattro? Le sue congetture erano così terrificanti?
Dovevo saperlo – immediatamente. “Sto ancora aspettando la tua ultima teoria.”
Si morse ancora le labbra, e la sua espressione divenne agitata, quasi addolorata.
Dominai la mia impazienza e addolcii la mia voce. Non volevo che si angosciasse.
“Non riderò, lo prometto,” la rassicurai, desiderando che fosse solo l’imbarazzo che la facesse sentire riluttante a parlare.
“In realtà temo piuttosto che ti arrabbierai con me,” sussurrò.
Mi sforzai di mantenere la voce calma. “È una teoria così brutta?”
“Abbastanza, sì.”
Guardava in basso, rifiutandosi di incontrare i miei occhi. I secondi passavano.
“Prosegui,” la incoraggiai.
La sua voce era tenue. “Non so da dove cominciare.”
“Perché non cominci dall’inizio?” Le ricordai le sue parole prima di mangiare. “Hai detto che questa teoria non è tutta farina del tuo sacco.”
“No,” convenne, e quindi ancora silenzio.
Pensai alle cose che avrebbero potuto ispirarla. “A cosa ti sei ispirata? Un libro? Un film?”
Avrei dovuto guardare le sue raccolte quando era fuori casa. Non avevo idea se Bram Stoker o Anne Rice fossero nella pila dei suoi libri consumati...
“No, “disse ancora. “È stato sabato, alla spiaggia.”
Non me lo aspettavo. Le dicerie locali su di noi non si erano mai disperse in qualcosa di troppo bizzarro – o di troppo preciso. C’era un nuovo pettegolezzo che mi ero perso? Bella sbirciò furtivamente alzando lo sguardo dalle sue mani e vide la sorpresa sul mio volto.
“Ho incontrato per caso un vecchio amico di famiglia, Jacob Black,” continuò. “Suo padre e Charlie si frequentano da quando io ero bambina.”
Jacob Black, il nome non mi era famigliare, eppure mi ricordava qualcosa...di tempo fa, parecchio indietro...Fissai fuori dal finestrino, saltando attraverso i ricordi per trovare la connessione.
“Suo padre è un anziano dei Quileute,” disse.
Jacob Black. Ephraim Black. Un discendente, senza dubbio.
Era peggio di come pensavo.
Sapeva la verità.
La mia mente volava attraverso le conseguenze di questo mentre la macchina scivolava fra le scure curve della strada, il mio corpo rigido e angosciato, immobile eccetto per la piccola, automatica azione di sterzare la macchina.
Sapeva la verità.
Ma...se aveva appreso la verità sabato...l’aveva saputa per tutta la serata...eppure...
“Abbiamo fatto una passeggiata,” continuò. “E lui mi ha raccontato vecchie leggende locali, probabilmente per spaventarmi. Me ne ha raccontata una...”
Si interruppe di colpo, ma non c’era bisogno che avesse rimorsi ora; sapevo cosa stava per dire. Il solo mistero che rimaneva era perché fosse ancora qui con me.
“Continua,” dissi.
“...che parla di vampiri,” alitò, le parole meno di un sussurro.
In qualche modo, era persino peggio che sapere che lei sapeva, sentirla dire quelle parole ad alta voce. Mi ritrassi a quel suono, e poi cercai di controllarmi.
“E hai pensato immediatamente a me?” chiesi.
“No. Lui...ha citato la tua famiglia.”
Era ironico che fosse stata la progenie di Ephraim a violare il patto che lui stesso aveva giurato di difendere. Un nipote, o forse un pronipote. Quanti anni fa era stato? Settanta?
Avrei dovuto capire che non sarebbe stato il vecchio uomo che credeva nelle leggende ad essere pericoloso. Naturalmente, la nuova generazione – quella che avrebbe dovuto essere stata avvertita, ma avrebbe deriso le antiche superstizioni – ovviamente era lì dove il pericolo di possibili rivelazioni si sarebbe annidato.
Supposi che questo significava che ero libero di massacrare quella piccola, tribù indifesa sulla costa, cosa alla quale ero parecchio propenso. Ephraim e quel suo branco di protettori erano morti da tempo...
“Secondo lui era solo una sciocca superstizione,” disse Bella improvvisamente, la sua voce ansiosa. “Non pensava che ci avrei ricamato sopra.”
Con la coda dell’occhio, la vidi torcersi le mani a disagio.
“È stata colpa mia,” disse dopo una breve pausa, poi ciondolò la testa di lato come se fosse umiliata. “L’ho costretto a raccontarmele.”
“Perché?” Ora non era così difficile mantenere la mia voce regolare. Il peggio era già passato. Per tutto il tempo durante il quale avremmo parlato dei dettagli della rivelazione, non avremmo dovuto pensare alle sue conseguenze.
“Lauren ha fatto il tuo nome – così per provocarmi.” Fece una smorfia al ricordo. Ero leggermente distratto, chiedendomi perché Bella sarebbe stata provocata da qualcuno che parlava di me... “E un ragazzo più grande, della tribù, le ha risposto che la tua famiglia non entra nella riserva, ma il suo tono evidentemente nascondeva qualcosa. Perciò sono rimasta sola con Jacob e gliel’ho estorto con l’inganno.”
Il suo capo si abbassò mentre lo ammetteva, e la sua espressione sembrava...colpevole.
Distolsi lo sguardo da lei e iniziai a ridere. Lei si sentiva colpevole? Cosa poteva aver fatto per meritarsi una condanna di qualsiasi tipo?
“Con l’inganno? E come?” chiesi.
“Ho fatto la smorfiosa con lui – e ha funzionato meglio di quanto io stessa pensassi,” spiegò lei, e la sua voce si fece incredula alla memoria di quel successo.
Potevo solo immaginare – considerando l’attrazione che sembrava scatenare in tutti i maschi, totalmente inconsapevole di questo – come sarebbe risultata irresistibile quando provava a essere attraente. All’improvviso mi sentii pieno di compassione per quell’ignaro ragazzo sul quale lei aveva scatenato una forza di tale potenza.
“Mi sarebbe piaciuto assistere,” dissi, e risi di nuovo con macabro umorismo. Desiderai di aver potuto sentire la reazione del ragazzo, tradito dalla mia devastazione.
“E poi mi accusi di fare colpo sulle persone – povero Jacob Black.”
Non ero così arrabbiato con la causa della mia esposizione come mi aspettavo di sentirmi. Non poteva sapere. E come potevo aspettarmi che chiunque negasse a questa ragazza ciò che voleva? No, provavo solo compassione per il danno che doveva aver fatto lei alla pace mentale di lui.
Sentii il suo rossore vergognoso ardere nell’aria fra noi. Le lanciai uno sguardo, stava fissando fuori dal finestrino. Era di nuovo silenziosa.
“E allora cosa hai fatto?” la sollecitai. Era tempo di ritornare alla storia dell’orrore.
“Una breve ricerca su Internet.”
Molto utile. “E hai trovato conferma ai tuoi dubbi?”
“No,” disse. “Non mi quadrava niente. Più che altro si trattava di stupidaggini. E poi – ”
Si interruppe di nuovo, e sentii i suoi denti serrarsi.
“Poi cosa?” domandai. Cosa aveva scoperto? Cosa aveva dato senso a questo incubo?
Ci fu una breve pausa, e quindi sussurrò, “Ho deciso che non mi importa.”
Lo shock gelò i miei pensieri per mezzo secondo, e poi tutto mi fu chiaro. Perché stanotte aveva lasciato che le sue amiche se ne andassero piuttosto che scappare con loro. Perché era venuta in macchina con me anziché fuggire, strillando verso la polizia...
Le sue reazioni erano sempre sbagliate, sempre completamente sbagliate. Attirava il pericolo verso di lei. Lo invitava.
“Non ti importa?” dissi attraverso i denti, colmo di rabbia. Come potevo pensare di poter proteggere qualcuno di così...così...così determinato a non farsi proteggere?
“No,” disse con voce debole, ma inspiegabilmente delicata. “Non mi importa cosa sei.”
Era impossibile.
“Non t’importa se sono un mostro? Se non sono umano?”
“No.”
Inizia a domandarmi se fosse davvero sana di mente.
Pensai che avrei potuto predisporre per lei le migliori cure a disposizione...Carlisle aveva tutti i contatti per trovarle i medici più esperti, e terapisti con più talento. Forse poteva essere fatto qualcosa per aggiustare qualsiasi cosa non andasse in lei, qualsiasi cosa la facesse sentire felice di stare seduta accanto a un vampiro con il cuore che batteva calmo e fermo. Avrei sorvegliato il procedimento, naturalmente, visitandola per quanto mi fosse stato permesso...
“Ti ho fatto arrabbiare,” sospirò. “Non avrei dovuto aprire bocca.”
Come se nascondendo queste sue tendenze allarmanti avesse aiutato qualcuno.
“No. Preferisco sapere cosa pensi – anche se ciò che pensi è assurdo.”
“Quindi mi sto sbagliando di nuovo?” chiese, un po’ combattiva.
“Non intendevo questo!” Serrai ancora i denti. “‘ Non m’importa!’” ripetei aspro.
Lei boccheggiò. “È così allora?”
“T’interessa?” ribattei.
Prese un profondo respiro. Furioso, attendevo la sua risposta.
“Non proprio,” disse, la sua voce di nuovo composta. “Ma sono curiosa.”
Non proprio. Non le importava davvero. Non le interessava. Sapeva che non ero umano, che ero un mostro, e questo non le interessava.
Mettendo da parte le mie preoccupazioni riguardo la sua sanità mentale, iniziai a sentire che la speranza dentro me cresceva. Cercai di schiacciarla.
“Cosa vuoi sapere” le chiesi. Non rimanevano segreti, solo pochi dettagli.
“Quanti anni hai?” chiese.
La mia risposta fu automatica e ingranata. “Diciassette.”
“E da quanto tempo hai diciassette anni?”
Cercai di non sorridere al suo tono da avvocato. “Da un po’,” ammisi.
“D’accordo,” disse, improvvisamente entusiasta. Mi sorrise. Quando le restituii lo sguardo, ancora ansioso per la sua sanità mentale, il suo sorriso si fece più ampio. Feci una smorfia.
“Non ridere se te lo chiedo, ma...,” mi avvertì. “Come fai ad uscire di casa quando è giorno?”
Mi misi a ridere malgrado la sua richiesta. Le sue ricerche non le avevano fatto guadagnare nulla di insolito, a quanto pareva. “Leggenda,”le risposi.
“Non ti sciogli al sole?”
“Leggenda.”
“Dormi dentro una bara?”
“Leggenda.”
Dormire non faceva parte della mia vita da così tanto tempo, fino a queste ultime notti, mentre avevo guardato Bella sognare...
“Io non dormo,” mormorai, rispondendo alla sua domanda con più precisione.
Per un momento rimase in silenzio.
“Mai?” chiese.
“Mai,” confermai, con un filo di voce.
La guardai negli occhi, spalancati sotto la folta cornice di ciglia, e desiderai poter dormire.
Non per l’oblio, come avevo già fatto prima, non per sfuggire alla monotonia, ma perché volevo sognare.
Forse, se avessi potuto trovarmi in uno stato di incoscienza, se avessi potuto sognare, avrei potuto vivere per qualche ora in un mondo dove io e lei avremmo potuto stare insieme. Lei mi sognava. Io avrei voluto sognarla.
Lei mi restituì lo sguardo, la sua espressione piena di domande. Dovetti distogliere lo sguardo.
Non potevo sognarla. Lei non avrebbe dovuto sognare me.
“Non mi hai ancora fatto la domanda più importante,” le dissi, il mio petto muto più freddo e duro che mai. Doveva sforzarsi di capire. Ad un certo punto, avrebbe dovuto capire cosa stesse facendo. Doveva rendersi conto che tutto questo importava, più di ogni altra considerazione. Considerazioni come il fatto che io l’amavo.
“Quale sarebbe?” chiese, sorpresa e ignara.
Questo non fece altro che far indurire la mia voce. “Non sei preoccupata della mia dieta?”
“Ah...quella.” Parlò con un tono calmo, che non potei interpretare.
“Sì, quella. Non sei curiosa di sapere se mi nutro di sangue?”
Indietreggiò lontana alla mia domanda. Finalmente. Stava capendo.
“Beh, Jacob mi ha detto qualcosa,”disse.
“Cosa ti ha detto?”
“Ha detto che voi non...andate a caccia di umani. Ha detto che la tua famiglia non è considerata pericolosa , perché vi cibate solo di animali.”
“Ha detto che non siamo pericolosi?” ripetei scettico.
“Non esattamente,” chiarì. “Ha detto che non vi ritengono pericolosi. Ma che per non correre rischi, i Quileutes ancora oggi non vi vogliono nel loro territorio.”
Fissavo la strada, i mie pensieri un groviglio disperato, la mia gola dolente per la sete familiare e ardente.
“Ha detto la verità?” chiese, tranquilla come se stesse confermando un annuncio riguardante il tempo.
“I Quileutes hanno una buona memoria.”
Annuì a se stessa, pensando intensamente.
“Non fidarti troppo però,” dissi velocemente. “Fanno bene a mantenere le distanze. Siamo ancora pericolosi.”
“Non capisco.”
No, non capiva. Come mostrarglielo?
“Ci proviamo,” dichiarai. “Di solito riusciamo molto bene in ciò che facciamo. Ogni tanto compiamo qualche errore. Io, per esempio, non dovrei restare solo con te.”
Il suo odore era ancora forte nell’abitacolo della macchina. Mi stavo gradualmente abituando, potevo almeno ignorarlo, ma non c’era parte del mio corpo che bramasse avvicinasi a lei per le ragioni sbagliate. La mia bocca era inondata di veleno.
“Questo è un errore?” chiese, c’era del tormento nella sua voce. Quel suono mi disarmò. Voleva stare con me, a dispetto di ogni cosa, voleva stare con me.
La speranza si gonfiò di nuovo, ma la spinsi indietro.
“Un errore molto pericoloso,” le dissi obiettivo, come se la verità potesse veramente fare cessare tutti i problemi.
Per un momento non rispose. Sentii il suo respiro cambiare, sobbalzava in modi strani che non sembravano dovuti alla paura.
“Vai avanti,” disse inaspettatamente, la sua voce distorta dall’angoscia.
La esaminai attentamente.
Era nel panico. Come avevo potuto permetterlo?
“Cos’altro vuoi sapere?” chiesi, provando a pensare a un modo per evitare di ferirla. Non doveva rimanere ferita. Non potevo permettere che si facesse del male.
“Dimmi perché vai a caccia di animali, anziché di essere umani,” disse, ancora addolorata.
Non era ovvio? O forse nemmeno questo le interessava.
“Non voglio essere un mostro,” mormorai.
“Ma gli animali non ti bastano?”
Mi misi alla ricerca di un altro paragone, a una maniera per farle capire. “Non ho verificato, ovviamente, ma immagino che sia come una dieta a base solo di tofu e latte di soia. Per scherzare ci definiamo “vegetariani”. Gli animali non placano del tutto la fame, o meglio, la sete. Ma riusciamo a mantenerci in forze. Il più delle volte.” La mia voce si abbassò; ero pieno di vergogna per averle permesso di mettersi in un tale pericolo. Un pericolo che continuavo a concedere...
“Talvolta è davvero difficile.”
“Anche in questo momento?”
Sospirai. Era ovvio che avrebbe chiesto la domanda alla quale non avrei voluto rispondere. “Sì,” ammisi.
Questa volta prevedei la sua reazione fisica correttamente: il suo respiro si mantenne regolare, e il suo cuore pulsava normalmente. Me lo aspettavo, ma non lo capii. Come poteva non essere terrorizzata?
“Però adesso non hai fame,” dichiarò, perfettamente sicura di se stessa.
“Cosa te lo fa pensare?”
“I tuoi occhi,”disse, il suo tono spontaneo. “Ho una teoria, te l’ho detto. Ho notato che le persone – soprattutto gli uomini – diventano indisponenti quando hanno fame.”
Ridacchiai alla sua descrizione: indisponente. Era un attenuante. Ma aveva assolutamente ragione, come suo solito. “Sei una brava osservatrice, eh?” Risi ancora.
Sorrise un poco, e la crepa fra i suoi occhi tornò come se si stesse concentrando su qualcosa.
“Lo scorso weekend sei andato a caccia con Emmett?”chiese dopo che la mia risata si fu dissolta. La maniera disinvolta in cui parlava era tanto affascinante quanto frustrante. Poteva accettare davvero così tanto in così poco tempo? Ero più vicino io allo shock di quanto non lo sembrasse lei.
“Sì,” le dissi, e poi, mentre stavo per lasciare la risposta così com’era, fui colto dalla stessa urgenza che avevo avvertito nel ristorante: volevo che lei mi conoscesse. “Non avrei voluto andare via,” continuai lentamente, “ma ne avevo bisogno. È più facile starti vicino quando non ho sete.”
“Perché non volevi andarci?”
Presi un respiro profondo, e mi girai per incontrare il suo sguardo. Questo tipo di onestà era difficile in un modo differente.
“Starti lontano...mi rende...ansioso,” immaginai che quelle parole sarebbero bastate, sebbene non fossero forti abbastanza, “Non scherzavo, quando ti ho chiesto di badare a non cadere nell’oceano o a non farti investire, giovedì. Per tutto il fine settimana sono rimasto in pensiero. E dopo stasera, mi sorprende che tu sia sopravvissuta al weekend senza farti un graffio.” Poi mi ricordai dei graffi sui palmi delle sue mani. “Beh, non proprio,” mi corressi.
“Cosa?”
“Le tue mani,” le ricordai.
Sospirò e fece una smorfia. “Sono caduta.”
Avevo indovinato. “Lo immaginavo,” dissi, incapace di trattenere un sorriso. “È anche vero che, per i tuoi standard, avrebbe potuto andare peggio, ed è proprio questo che mi ha tormentato, mentre ero lontano da te. Sono stati tre giorni molto lunghi. Ho rischiato di fare saltare i nervi ad Emmett.” Onestamente, non apparteneva del tutto al passato. Probabilmente, stavo tuttora irritando Emmett, e anche tutto il resto della famiglia. Tranne Alice...
“Tre giorni?”chiese, la sua voce si fece improvvisamente acuta. “Non siete tornati oggi?”
Non capivo l’asprezza nella sua voce. “No, siamo a casa da domenica.”
“Ma allora perché nessuno di voi è venuto a scuola?” domandò. La sua irritazione mi confuse. Non sembrava capire che la sua domanda era una di quelle che si collegavano alla mitologia.
“Beh, mi hai chiesto se il sole mi fa male e ti ho risposto di no,” dissi. “Però non posso espormi alla sua luce...perlomeno, non in pubblico.”
Questo la distrasse dalla sua misteriosa irritazione. “Perché?” chiese, piegando la testa di lato.
Dubitavo di poter trovare un esempio appropriato per poterle spiegare. Così le dissi semplicemente, “Un giorni ti farò vedere, te lo prometto.” E dopo mi chiesi se era una promessa che alla fine avrei infranto. L’avrei vista ancora, dopo stanotte? L’amavo abbastanza da essere in grado di sopportare di lasciarla?
“Potevi chiamarmi,”disse.
Che conclusione strana. “Ma sapevo che eri sana e salva.”
“Io invece non sapevo dove fossi tu. Io...” Si interruppe bruscamente, e si guardò le mani.
“Cosa?”
“Non mi ha fatto piacere,” disse timidamente, la pelle sulle sue guance bruciava. “non vederti. Anche a me viene l’ansia.”
Sei felice ora? Domandai a me stesso. Beh, ecco il premio per aver sperato.
Ero sconcertato, esaltato, inorridito – per la maggior parte inorridito – per aver realizzato che le mie folli fantasie non erano così lontane dal fare centro. Ecco perché non le importava che io fossi un mostro. Era esattamente la stessa ragione per la quale non mi ero curato a lungo delle regole.
Perché giusto e sbagliato non erano più influenze determinanti. Perché tutte le mie priorità erano cambiate, slittando di un anello verso il basso per fare spazio in cima a questa ragazza.
Bella mi era cara, troppo.
Sapevo che poteva non essere nulla paragonato al modo in cui l’amavo. Ma per lei era abbastanza rischiare la vita per stare qui, seduta al mio fianco. Lo faceva con piacere.
Abbastanza per causarne il suo dolore se io avessi fatto la cosa giusta e l’avessi lasciata.
C’era qualcosa che potevo fare che non l’avrebbe ferita? Proprio nulla?
Avrei dovuto starmene lontano. Non sarei mai dovuto tornare a Forks. Non le avrei causato nient'altro che dolore.
Questo mi avrebbe fermato dal restare accanto a lei adesso? Dal peggiorare la situazione?
Il modo in cui mi sentivo ora, avvertendo il suo calore sulla mia pelle...
No. Niente mi avrebbe fermato.
“Ah,” gemetti. “Così non va.”
“Cos’ho detto?” chiese, rapida nell’accusare se stessa.
“Non capisci, Bella? Che io renda infelice me stesso è una cosa, ma che tu sia coinvolta è una altro paio di maniche. Non voglio più sentirti dire che provi cose del genere.”
Era la verità, era una bugia. La parte più egoista di me stava volteggiando nella consapevolezza che lei mi voleva come io volevo lei. “È sbagliato. È rischioso. Bella io sono pericoloso – ti prego renditene conto.”
“No.” Le sue labbra si imbronciarono arrabbiate.
“Dico sul serio.” Mi stavo scontrando con me stesso così intensamente – mezzo disperato perché volevo che accettasse, mezzo disperato di impedire agli avvertimenti di farla scappare da me – che le parole mi uscirono dai denti in un ringhio.
“Anch’io,” insistette lei. “Te l’ho detto, non mi importa che cosa sei. È troppo tardi.”
Troppo tardi? Il mondo divenne lugubremente bianco e nero per un interminabile secondo mentre nella mia memoria guardavo le ombre trascinarsi sul prato soleggiato verso la figura dormiente di Bella. Inevitabile, inarrestabile. Esse rubavano i colori dalla sua pelle, immergendola nell’oscurità.
Troppo tardi? La visione di Alice mi turbinò in testa, gli occhi rosso cremisi di Bella mi fissarono di rimando impassibili. Inespressivi, ma non c’era possibilità che lei non potesse odiarmi in quel futuro. Odiarmi per averle rubato ogni cosa. Per averle rubato la vita e l’anima.
Non poteva essere troppo tardi.
“Non dirlo mai,”sibilai.
Guardò fuori dal finestrino, i suoi denti a mordere di nuovo le labbra. Teneva le mani in grembo strette in rigidi pugni. Il suo respiro tremolante e spezzato.
“A cosa pensi?” Dovevo saperlo.
Scosse il capo senza guardarmi. Vidi qualcosa brillare, come un cristallo, sulla sua guancia.
Angoscia. “Piangi?” L’avevo fatta piangere. L’avevo ferita fino a quel punto.
Si strofinò via le lacrime con il dorso della mano.
“No.” Mentì, con la voce rotta.
Alcuni istinti sepolti dentro me da tempo mi suggerirono di allungarmi verso lei – in quel secondo mi sentii più umano che mai. E poi mi ricordai...che non lo ero. E abbassai le mani.
“Scusa,” dissi, con la mascella serrata. Come avrei mai potuto dirle quanto mi dispiaceva? Mi dispiaceva per tutti gli stupidi sbagli che avevo commesso. Mi dispiaceva per il mio illimitato egoismo. Mi dispiaceva perché era stata così sfortunata da ispirarmi questo primo, tragico amore. Mi dispiaceva anche per quelle cose che andavano al di là del mio controllo, che ero quel mostro scelto dal fato destinato a far terminare la sua vita, tanto per cominciare.
Respirai profondamente – ignorando la mia spiacevole reazione alla fragranza nell’auto – e cercai di riprendere il controllo di me stesso.
Volevo cambiare discorso, pensare a qualcos’altro. Per mia fortuna, la mia curiosità per la ragazza era insaziabile. Avevo sempre una domanda pronta.
“Dimmi una cosa,” dissi.
“Parla.” Disse con la voce rauca, le lacrime ancora parte di essa.
“Cosa stavi pensando stasera, poco prima che arrivassi io? Non riuscivo a leggere la tua espressione. Non sembravi impaurita, pareva che ti sforzassi di concentrarti su qualche cosa.” Richiamai alla mente il suo viso – sforzandomi di dimenticare da quali occhi la stessi osservando – un espressione di determinazione in esso.
“Cercavo di ricordare come si mette fuori combattimento un assalitore,” disse con voce più composta. “Insomma, l’autodifesa. Stavo per spappolargli il naso conficcandoglielo nel cervello.” La sua compostezza non durò fino alla fine della spiegazione. La sua voce di distorse fino a che ribollì d’odio. Questa non era un’esagerazione, adesso la sua furia da gattino non era divertente.
Potevo vedere la sua fragile figura – semplice seta su vetro – eclissata dal carnoso, uomo-mostro dai pugni pesanti che le avrebbe fatto del male. La furia si agitò nella mia testa.
“Li avresti affrontati?” Avrei voluto lamentarmi. I suoi istinti l’avrebbero condotta alla morte. “Non pensavi di scappare?”
“Quando corro inciampo a tutto spiano,” disse con aria imbarazzata.
“Chiedere aiuto con un urlo?”
“Ci stavo arrivando.”
Scossi la testa incredulo. Come era riuscita a rimanere in vita prima di arrivare a Forks?
“Hai ragione,” le dissi con un tono acido. “Cercare di tenerti in vita vuole dire davvero lottare contro il destino.”
Sospirò e guardò fuori. Poi si rivolse di nuovo verso di me.
“Ci vediamo domani?” chiese all’improvviso.
Già che mi trovavo sulla via per l’inferno, tanto vale godermi il viaggio.
“Sì – anche io devo consegnare un saggio.” Le sorrisi, e mi sentii bene nel farlo. “Ti tengo il posto, a pranzo.”
Il suo cuore vibrò; mentre il mio, morto, si scaldò.
Fermai la macchina davanti a casa di suo padre. Non fece alcun accenno ad andarsene.
“Prometti che domani ci sarai?” insistette.
“Lo prometto.”
Come poteva darmi tanta felicità fare la cosa sbagliata? Sicuramente c’era qualcosa di difettoso.
Annuì a se stessa, soddisfatta, e iniziò a togliersi il mio giaccone.
“Puoi tenerlo,” le assicurai svelto. Se possibile, volevo lasciarle qualcosa di mio. Un simbolo, come il tappo di bottiglia che avevo in tasca in quel momento...”O domani non avrai niente da mettere.”
Lo allungò verso di me, sorridendo con rassegnazione. “Non mi va di dare spiegazioni a Charlie,” mi spiegò.
Non l’avevo immaginato. Le sorrisi. “D’accordo.”
Mise la mano sulla maniglia della portiera, e si fermò. Restia ad andarsene, come io lo ero a farla andare.
Di saperla senza protezione, anche se per poco...
Peter e Charlotte erano già ora sulla loro via, lontano da Seattle, senza dubbio.
Ma ce ne erano sempre altri. Il mondo non era un posto sicuro per qualsiasi umano, e per lei sembrava essere più pericoloso che per il resto.
“Bella?” chiesi, sorprendendomi del piacere che provavo semplicemente pronunciando il suo nome.
“Sì?”
“Mi prometti una cosa?”
“Sì,” accettò facilmente, ma poi i suoi occhi si tesero come se stesse pensando ad una ragione per obbiettare.
“Non andare nel bosco da sola,” la avvertii, chiedendomi se questa richiesta avrebbe causato l’opposizione nel suo sguardo.
Sbatté le palpebre, perplessa. “Perché?”
Fissai cupo l’inaffidabile oscurità. La mancanza di luce non era un problema per i miei occhi, ma non avrebbe dato problemi nemmeno ad un altro cacciatore. Rendeva ciechi solo gli umani.
“Diciamo che non sono sempre io, la cosa più pericolosa in circolazione,” le dissi.
Rabbrividì, ma si riprese svelta e stava addirittura sorridendo quando parlò.
“Come vuoi.”
Il suo respiro accarezzò il mio viso, dolce e profumato.
Avrei potuto stare lì tutta la notte in quel modo, ma lei aveva bisogno di riposo. I due desideri che lottavano continuamente dentro me sembravano possedere eguali forze: volendola contro volendola salva.
Sospirai di fronte all’impossibile. “Ci vediamo domani,” le dissi, sapendo che in realtà l’avrei rivista molto prima. Lei non avrebbe rivisto me prima di domani, comunque.
“A domani, allora,” convenne mentre apriva la portiera.
Di nuovo l’ansia, vedendola andarsene.
Mi sporsi verso di lei, volendola trattenere. “Bella?”
Si girò, e gelò, sorpresa che le nostre facce fossero così vicine l’un all’altra.
Io stesso ero confuso dalla sua vicinanza. Il calore scivolava via da lei ad onde, carezzandomi il volto. Potevo sentire la morbidezza della sua pelle...
Il suo battito cardiaco balbettò, e le sue labbra si socchiusero.
“Sogni d’oro,” le sussurrai, e mi allontanai prima che le urgenze del mio corpo – tanto la familiare sete quanto la nuova e strana brama che inaspettatamente provavo – potessero farmi fare qualcosa che l’avrebbe ferita.
Rimase seduta impassibile per un momento, i suoi occhi spalancati e inebetiti. Abbagliata, intuii.
Come me.
Riprese il controllo, anche se aveva ancora un’espressione un po’ confusa, e scese dall’auto con una mezza caduta, inciampando nei suoi piedi e aggrappandosi alla carrozzeria della macchina per rimanere in equilibrio.
Ridacchiai, sperando che fosse troppo piano perché lei potesse sentire.
La guardai incespicare fino al cono di luce che circondava la porta frontale. Salva per il momento. E sarei tornato presto per accertarmene.
Potevo sentire il suo sguardo seguirmi mentre mi allontanavo sulla strada buia. Una cosa parecchio diversa da quella alla cui ero abituato. Di solito, potevo semplicemente vedere e seguire me stesso attraverso gli occhi di qualcuno. Era stranamente eccitante, questa tangibile sensazione di essere osservato. Sapevo che mi sentivo così solo perché erano i suoi occhi.
Milioni di pensieri si rincorsero l’un l’altro nella mia testa mentre guidavo senza meta nella notte.
Mi aggirai per le strade a lungo, senza andare da nessuna parte, pensando a Bella e all’incredibile concessione di averle svelato la verità. Poco tempo prima tremavo all’idea che scoprisse cos’ero. Sapeva. Non le importava. Sebbene fosse evidentemente una cosa negativa per lei, era incredibilmente liberatoria per me.
Più che altro, pensai all’amore che lei contraccambiava per me. Non avrebbe potuto amarmi nel modo in cui l’amavo io – di un amore irresistibile, sfrenato e devastante che probabilmente avrebbe schiacciato il suo fragile corpo. Ma si sentiva abbastanza forte. Abbastanza da domare la paura che d’istinto avrebbe dovuto provare. Abbastanza da voler stare con me. E stare con lei era la più grande felicità che avessi mai conosciuto.
Per un po’ – mentre ero solo e senza ferire nessun altro tanto per cambiare – mi permisi di provare quella gioia senza soffermarmi sulla tragedia. Provando semplicemente felicità perché mi voleva bene. Esultando semplicemente nel trionfo di avere vinto e di essermi guadagnato il suo affetto. Immaginando semplicemente di sedermi accanto a lei giorno dopo giorno, ascoltando la sua voce e aggiudicandomi i suoi sorrisi.
Rievocai alla mente quel sorriso, osservandone le labbra piene sollevate agli angoli, la traccia di una fossetta sul mento a punta, il modo in cui i suoi occhi si illuminavano e ardevano...
Le sue dita mi erano sembrate così calde e soffici stanotte, sulle mie mani. Immaginai come sarebbe stato toccare la delicata pelle che la avvolgeva sopra le guance – levigata, calda...così fragile.
Come ghiaccio rivestito di seta...spaventosamente friabile.
Non fui in grado di vedere dove mi stavano conducendo i miei pensieri fino a che non fu troppo tardi. Appena mi soffermai su quella devastante vulnerabilità, nuove immagini del suo volto si intromisero nelle mie fantasie.
Persa nelle ombre, orribilmente pallida, la sua mascella già tesa e determinata, i suoi occhi duri, pieni di concentrazione, il suo corpo slanciato in posizione per attaccare le enormi figure che si ammassavano attorno a lei, incubi nell’oscurità...
“Ah,” gemetti mentre il fremente odio che avevo ancora dentro me, momentaneamente dimenticato per la gioia che provavo ad amarla, esplose di nuovo in una rabbia infernale.
Ero solo. Bella era, speravo, al salvo a casa sua; per un momento fui violentemente felice che Charlie Swan – capo del rispetto della legge locale, addestrato ed armato – fosse suo padre. Questo doveva pur significare qualcosa, prevedere una protezione per lei.
Era al sicuro. Non mi ci sarebbe voluto molto per vendicare questa villania...
No. Lei si meritava di meglio. Non potevo permetterle di avere cura di un assassino.
Ma...gli altri?
Bella era salva, certo. Angela e Jessica erano anch’esse sicuramente al sicuro nei loro letti.
Ma c’era un mostro libero per le strade di Port Angeles. Un mostro umano, questo lo faceva un problema del quale avrebbero dovuto occuparsi gli umani? Commettere l’omicidio che io desideravo di commettere era sbagliato. Lo sapevo. Ma nemmeno lasciarlo libero di attaccare ancora poteva essere la cosa giusta da fare.
La hostess bionda del ristorante. La cameriera che non avevo neanche degnato.
Entrambe, seppure in maniera insignificante, mi avevano irritato, ma questo non significava che meritassero di essere in pericolo.
Ciascuna di loro avrebbe potuto trovarsi nella situazione di Bella.
Questa constatazione mi decise.
Girai la macchina verso nord, accelerando ora che avevo uno scopo. Ogni volta che avevo un problema che andasse oltre quello che potessi fare personalmente – qualcosa di tangibile come in questo caso – sapevo dove sarei potuto andare a chiedere aiuto.
Alice era seduta in veranda, e mi stava aspettando. Mi fermai davanti a casa anziché andare in garage.
“Carlisle è nello studio,” mi disse Alice prima che potessi domandarglielo.
“Grazie,” dissi, scompigliandole i capelli mentre le passavo oltre.
Grazie per avere risposto alla mia chiamata, pensò sarcastica.
“Oh.” Mi fermai alla porta, estraendo il mio telefono e aprendolo con uno scatto. “Scusa. Non ho nemmeno controllato chi fosse. Ero...occupato.”
“Certo, lo so. Anche a me dispiace. Quando ho visto cosa stava per accadere, tu eri già sulla tua strada.”
“Ci è mancato poco,” mormorai.
Mi dispiace, ripeté, vergognandosi di se stessa.
Era facile essere magnanimi, sapendo che Bella stava bene. “Non essere dispiaciuta. So che non puoi cogliere ogni cosa. Nessuno si aspetta che tu sia onnisciente, Alice.”
“Grazie.”
“Quasi ti ho chiesto di venire fuori a cena stanotte, te ne sei accorta prima che cambiassi idea?”
Le sue labbra si allargarono in un ampio sorriso. “No, mi sono persa anche questo. Avrei voluto saperlo. Sarei venuta.”
“Su cosa ti stavi concentrando, per lasciarti scappare così tanto?”
Jasper sta pensando al nostro anniversario. Rise. Sta provando a non fare decisioni sul mio regalo, ma penso che avrò un’ idea piuttosto carina...
“Che spudorata.”
“Già.”
Increspò le labbra, e alzò lo sguardo per fissarmi, un accenno di accusa nella sua espressione. Ho prestato più attenzione dopo. Hai intenzione di dire agli altri che sa la verità?
Sospirai. “Sì. Più tardi.”
Non dirò nulla. Fammi un favore e dillo a Rosalie quando non sono nei paraggi, okay?
Sussultai. “Certo.”
Bella l’ha presa abbastanza bene.
“Troppo bene.”
Alice mi sorrise. Non sottovalutare Bella.
Provai a bloccare l’immagine che non avrei mai voluto vedere, Bella e Alice, migliori amiche.
Sospirai pesantemente, ora mi sentivo impaziente. Volevo passare alla seconda parte della serata; farla finita al più presto. Ma ero un po’ preoccupato all’idea di lasciare Forks...
“Alice...”iniziai. Vide cosa stavo progettando di chiederle.
Stanotte starà bene. Sto controllando meglio adesso. Ha bisogno di una sorta di supervisione ventiquattr’ore su ventiquattro, vero?
“Almeno.”
“Ad ogni modo, sarai con lei abbastanza presto.”
Presi un respiro profondo. Le parole avevano un significato stupendo per me.
“Vai avanti, fai quello che devi così che tu possa stare dove desideri,”mi disse.
Annuii, e mi affrettai a raggiungere la stanza di Carlisle.
Mi stava aspettando, con gli occhi sulla porta piuttosto che sullo spesso libro che giaceva sulla sua scrivania.
“Ho sentito Alice dirti dove avresti potuto trovarmi,”disse, e mi sorrise.
Era un sollievo stare con lui, vedere la comprensione e la profonda intelligenza nei suoi occhi.
Carlisle avrebbe saputo cosa fare.
“Ho bisogno di aiuto.”
“Qualsiasi cosa, Edward,”mi promise.
“Alice ti ha detto cosa è successo a Bella stanotte?”
Quasi successo, mi corresse.
“Sì, quasi. Ho un dilemma, Carlisle. Vedi, io voglio...davvero tanto...ucciderlo.” Le parole iniziarono a volare veloci e appassionate. “Davvero tanto. Ma so che sarebbe sbagliato, perché sarebbe vendetta, non giustizia. Tutta collera, senza imparzialità. Nondimeno, non può essere giusto lasciare un assassino e un violentatore seriale a piede libero per Port Angeles! Non conosco nessun umano là, ma non posso lasciare che qualcun altro prenda il posto di Bella come sua vittima. Quelle altre donne, qualcuno potrebbe provare per loro quello che io provo per Bella. Potrebbe soffrire quello che avrei sofferto io se le fosse successo qualcosa. Non è giusto...”
Il suo ampio ed imprevisto sorriso fermò il gelido assalto delle mie parole.
Lei va davvero bene per te, vero? Così tanta compassione, così tanto controllo. Sono impressionato.
“Non sono in cerca di complimenti, Carlisle.”
“Certo che no. Ma non posso fare a meno di pensare, no?” Sorrise di nuovo.
“Me ne occuperò io. Puoi stare tranquillo. Nessun altro si farà male al posto di Bella.”
Vidi il piano che aveva in mente. Non era esattamente quello che avrei desiderato fare, non soddisfava la mia voglia smodata di violenza, ma sapevo che era la cosa giusta da fare.
“Ti mostrerò dove puoi trovarlo,” dissi.
“Andiamo.”
Sulla strada afferrò la sua bora nera. Avrei preferito un sedativo più aggressivo – qualcosa come un cranio rotto – ma avrei permesso a Carlisle di fare a modo suo.
Prendemmo la mia macchina. Alice era ancora seduta sui gradini. Ci sorrise e ci fece un cenno mentre ci allontanavamo. Vidi che aveva guardato verso di me; non avremmo incontrato difficoltà.
Il viaggio sulla strada buia e vuota fu breve. Lasciai i fari dell’auto spenti, in modo da non attirare l’attenzione. Il pensiero di come avrebbe potuto reagire Bella a questa velocità mi fece sorridere. Stavo già guidando più piano del solito – per prolungare il mio tempo con lei – quando lei aveva obbiettato.
Anche Carlisle stava pensando a Bella.
Non mi sarei mai aspettato che sarebbe stata così adatta per lui. È stato inaspettato. Forse, in qualche modo questo ha un significato. Forse serve a uno scopo più alto. Solo...
Ritrasse Bella con la pelle candida, fredda come la neve, gli occhi rosso sangue, e poi rifuggì da quell’immagine.
Sì. Solo. Infatti. Perché come poteva esserci del positivo nel distruggere qualcosa di così puro e bello?
Fissai cupo la notte, tutte le gioie provate quella sera distrutte da quell’unico pensiero.
Edward merita di essere felice. Gli spetta di diritto. La ferocia nei pensieri di Carlisle mi sorprese. Ci deve essere un modo.
Speravo di poterci credere, l’uno o l’altro. Ma non c’era uno scopo più alto per quello che stava accadendo a Bella. Solo una cattiva arpia, un destino brutale e terribile che non poteva sopportare che Bella avesse la vita che si meritava.
Non mi soffermai a Port Angeles. Portai Carlisle nella bettola dove la creatura chiamata Lonnie stava annegando la sua delusione con i suoi amici, due dei quali erano già svenuti. Carlisle poté vedere come fu duro per me stare così vicino, sentire i pensieri di quel mostro e vedere i suoi ricordi, ricordi di Bella amalgamati a quelli di altre ragazze meno fortunate che nessuno avrebbe più potuto salvare ora.
Respiravo velocemente, in modo anormale. Mi aggrappai ferocemente allo sterzo.
Vai, Edward, mi disse gentilmente. Farò in modo che tutte le altre siano al sicuro. Torna da Bella.
Colpì nel segno. Il suo nome ora era la sola distrazione che poteva significare qualcosa.
Lo lasciai in macchina, e mi diressi a Forks attraversando di corda la foresta dormiente. Impiegai meno tempo che viaggiando in macchina. Fu solo pochi minuti dopo che scalai il fianco di casa sua e scivolai dentro la sua finestra.
Silenziosamente, sospirai di sollievo. Ogni cosa era dove avrebbe dovuto essere. Bella era al sicuro nel suo letto, sognante, i suoi capelli umidi annodati come alghe sul guanciale.
Ma, diversamente dalla maggior parte delle notti, era appallottolata con le coperte tirate fino alle spalle. Per il freddo, immaginai. Prima che potessi sedermi nella solita sedia a dondolo, rabbrividì nel sonno, e le sue labbra tremarono.
Per un breve istante rimasi a pensare, poi uscii silenziosamente nell’ingresso, in esplorazione delle altri parti della sua casa, per la prima volta.
Il russare di Charlie risuonava sonoro e regolare. Potevo quasi afferrare i margini del suo sogno.
Qualcosa che c’entrava la corsa dell’acqua e attese pazienti...la pesca, forse?
Là, sulla cima delle scale, c’era un armadio dall’aria promettente. Lo aprii speranzoso, e trovai quello che stavo cerando. Scelsi la coperta più pesante dal piccolo armadio di biancheria, e la portai nella sua stanza. L’avrei rimessa a posto prima che si svegliasse, e nessuno sarebbe stato più saggio.
Trattenendo il respiro, distesi la coperta sopra di lei; non reagì all’aggiunta di peso. Tornai alla sedia a dondolo.
Mentre aspettavo ansioso che si riscaldasse, pensai a Carlisle, chiedendomi dove fosse adesso. Sapevo che sarebbe filato tutto liscio, Alice lo aveva visto.
Pensare a mio padre mi fece sospirare, Carlisle mi dava troppo fiducia. Speravo di essere la persona che lui pensava che fossi. Quella persona, che meritava di essere felice, che poteva sperare di essere degna di questa ragazza che dormiva. Le cose sarebbero state diverse se fossi stato quell’Edward.
Mentre riflettevo su questo, un immagine strana e non richiesta mi riempì la mente.
Per un momento, la strega che avevo immaginato vestisse i panni del destino, quella che era in cerca di un modo per distruggere Bella, fu sostituita dal più sciocco e imprudente degli angeli. Un angelo guardiano, la versione che Carlisle poteva avere avuto di me. Con un sorriso incurante sulle labbra, e i suoi occhi dipinti del colore del cielo e pieni di corruzione, l’angelo creava Bella in modo tale che in alcun modo io avrei potuto disinteressarmene.
Una fragranza talmente potente da esigere la mia attenzione, un mente silenziosa per infiammare la mia curiosità, una bellezza modesta per imprigionarmi gli occhi, un’anima altruista per guadagnarsi il mio stupore. Omettendo il naturale senso di auto-conservazione – così che Bella potesse sopportare di rimanere accanto a me – e, per finire, aggiungendo una ampia dose di terribile sfortuna.
Con un’incurante risata, l’irresponsabile angelo spingeva la sua fragile creazione direttamente nel mio cammino, confidando allegramente nella mia viziata moralità di mantenere viva Bella.
In questa visione, non ero la sua condanna; lei era la mia ricompensa.
Scossi la testa alla fantasia di quell’angelo spensierato. Non era molto meglio della megera. Non potevo pensare bene di un angelo che si comportava in un modo così pericoloso e stupido. Almeno, avrei potuto combattere contro il suo orribile destino.
E io non avevo angeli. Erano riservati ai buoni – alle persone come Bella. Ma dov’era stato il suo angelo fino ad ora? Chi stava vegliando su di lei?
Risi silenziosamente, sorpreso, mentre realizzavo che, proprio adesso, stavo ricoprendo io quel ruolo.
Un angelo vampiro, c’era uno strappo alla regola.
Dopo una mezz’ora circa, Bella allentò la tensione dalla posizione in cui si era addormentata. Il suo respiro divenne più profondo e iniziò a mormorare nel sonno. Sorrisi, soddisfatto. Era una piccola cosa, ma almeno stanotte avrebbe dormito più comoda perché io ero lì.
“Edward,” sospirò, sorridendo.
Per il momento misi da parte la tragedia, e mi permisi di essere di nuovo felice.

11. Interrogatori

La CNN interruppe per prima il servizio.
Fui felice che colpisse il notiziari prima che andassi a scuola, ansioso di sentire come gli umani avevano espresso l'accaduto, e quanta attenzione avrebbe raccolto.
Fortunatamente, era una giornata di gravi notizie. C'era stato un terremoto in Sud America e un rapimento politico in Medio Oriente. Così finì per ottenere pochi secondi, poche frasi, e un'unica foto granulosa.
“Alonso Calderas Wallace, sospettato di una serie di stupri e ricercato per omicidi nello stato del Texas e dell'Oklahoma, è stato arrestato la scorsa notte a Portland, Oregon, grazie ad un indicazione anonima. Wallace è stato ritrovato, questa mattina presto, privo di sensi in una viale, appena pochi metri lontano dalla stazione di polizia. Gli ufficiali non sono riusciti a dirci questa volta se sarà estradato a Houston o ad Oklahoma per essere processato.”
La foto non era chiara, un'inquadratura da delinquente, e al tempo della fotografia aveva una fitta barba. Anche se Bella lo avesse visto, probabilmente non l'avrebbe riconosciuto. Sperai che non lo vedesse; l'avrebbe spaventata inutilmente.
“La cronaca qui in città sarà leggera. E' troppo lontano per essere considerato di interesse locale,” mi disse Alice. “E' stata una buona mossa quella di farlo portare da Carlisle lontano dalla città.”
Annuii. Bella, malgrado tutto, non guardava molta televisione, e non avevo mai visto suo padre vedere altro che canali sportivi.
Avevo fatto quello che potevo. Questo mostro non avrebbe più cacciato, e io non mi ero comportato da assassino. Non di recente, comunque. Avevo fatto bene ad aver fiducia in Carlisle; quanto speravo ancora che il mostro non fosse smontato così facilmente. Mi sorpresi a sperare che fosse esiliato in Texas, dove la pena capitale era così ben voluta...
No. Non aveva importanza. Me lo sarei lasciato alle spalle, per concentrarmi su ciò che era più importante.
Avevo lasciato la camera di Bella meno di un'ora fa. Stavo già desiderando di vederla di nuovo.
“Alice ti dispiacerebbe...”
M'interruppe. “Guiderà Rosalie. Si incavolerà, ma sai quando la divertirà mostrare la sua macchina.” Alice cantilenò una risata.
Le sorrisi. “ Ci vediamo a scuola.”
Alice sospirò, e il mio sorriso divenne una smorfia.
Lo so, lo so, pensò. Non ancora. Aspetterò finché non sarai pronto per farmi conoscere Bella. Dovresti saperlo, comunque, che non è come essere egoista. Piacerò anche a Bella.
Non le risposi mentre mi affrettavo verso la porta. Quello era un modo diverso di guardare la situazione. Bella avrebbe voluto conoscere Alice? Essere amica di un vampiro?
Conoscendo Bella... questa idea non l'avrebbe minimamente infastidita.
Mi accigliai. Ciò che Bella voleva e ciò che era meglio per lei erano due cose separate.
Iniziai a sentirmi a disagio mentre parcheggiavo la mia macchina nel vialetto di Bella. Il proverbio degli umani diceva che le cose appaiono diverse al mattino – che le cose cambiano quando ci dormi su. Sarei sembrato diverso per Bella alla leggera luce del giorno nebbioso? Più o meno minaccioso di quanto ero stato nell'oscurità della notte? La verità era filtrata mentre dormiva? Sarebbe stata finalmente spaventata?
I suoi sogni, comunque, erano stati tranquilli la scorsa notte. Quando aveva pronunciato il mio nome, più e più volte, aveva sorriso. Più di una volta, aveva mormorato una preghiera per me, per farmi restare. Non avrebbe significato nulla oggi?
Aspettai nervosamente, ascoltando il suo rumore all'interno della casa – i passi veloci e incespicanti per le scale, l'acuto squarcio di un foglio incartato, il contenuto del frigorifero sbattere l'uno contro l'altro quando chiudeva lo sportello. Sembrava fosse di fretta. Ansiosa di andare a scuola? Il pensiero mi fece sorridere, di nuovo speranzoso.
Lanciai un'occhiata all'orologio. Ipotizzai, prendendo in considerazione che la velocità del suo decrepito pick up l'avrebbe limitata, che stava correndo per il breve ritardo.
Bella si affrettò via da casa, lo zaino che scivolava dalla sua spalla, i suoi capelli in disordine attorcigliati su una parte della collo. Il leggero maglione verde che indossava non era le impediva di curvare le spalle per la nebbia fredda.
Il lungo maglione era troppo grande per lei, poco lusinghiero. Mascherava la sua figura slanciata, rendendo le sue delicate curve e le morbide linee senza forma. Lo apprezzai quasi quanto avrei sperato che indossasse qualcosa come la leggera camicia blu che aveva indossato la sera scorsa... il tessuto aderiva alla sua pelle in modo così attraente, tagliato abbastanza in basso da rivelare le affascinanti curve del suo collo, dall'incavo fino alla sua gola. Il blu fluiva come acqua lungo la sottile forma del suo corpo...
Era meglio, fondamentale, che tenessi i miei pensieri lontani, lontani da quell'immagine, così fui grato che stesse indossando un maglione che non le donava. Non potevo permettermi di fare errori, e sarebbe stato uno sbaglio colossale indugiare sugli strani desideri che il pensiero delle sue labbra... della sua pelle... del suo corpo... si stavano agitando liberi dentro me. Desideri che non mi avevano mai invaso per un centinaio d'anni. Ma non potevo azzardarmi di pensare di toccarla, perché era impossibile.
L'avrei spezzata.
Bella si voltò lontano da casa, così di fretta che corse vicino la mia macchina senza notarla.
Poi slittò per fermarsi, le sue ginocchia chiuse come quelle di un puledro spaventato. La borsa scivolò giù dal suo braccio, e i suoi occhi si spalancarono mentre si focalizzavano sulla macchina.
Uscii, senza prendermi la briga di muovermi a velocità umana, e le aprii la portiera del passeggero. Non avrei più cercato di ingannarla – quando eravamo soli, almeno, sarei potuto essere me stesso.
Lei mi guardò, sussultando di nuovo mentre sembrò che mi materializzassi attraverso la nebbia. E poi la sorpresa dei suoi occhi si trasformò in qualcos'altro, e non fui più spaventato, o speranzoso, che i suoi sentimenti nei miei confronti nel corso della notte fossero cambiati. Calore, meraviglia, fascino, nuotarono nei suoi occhi di cioccolato fuso.
“Hai bisogno di un passaggio?” chiesi. Al contrario della cena della scorsa sera, le avrei lasciato scelta. Da adesso in poi, sarebbe dovuto sempre essere una sua scelta.
“Sì, grazie,” mormorò, montando senza esitazione sulla mia macchina.
Avrebbe mai smesso di emozionarmi, il fatto che ero l'unico a cui lei stava acconsentiva? Ne dubitai.
Girai attorno la macchina come un fulmine, eccitato di raggiungerla. Non mostrò nessun segno di shock alla mia improvvisa riapparizione.
La felicità che sentii mentre sedeva accanto a me non aveva precedenti. Per quanto mi divertisse l'amore e la compagnia della mia famiglia, nonostante i vari divertimenti e distrazioni che il mondo aveva da offrire, non ero mai stato così felice. Anche sapendo che era sbagliato, che non sarebbe potuto finire bene, non riuscivo a trattenere a lungo un sorriso dal mio volto.
La mia giacca era ripiegata sul poggiatesta del suo sedile. Vidi che le lanciò un'occhiata.
“Ti ho portato questo,” le dissi. Questa era la mia scusa, avevo avuto bisogno di procurarmene una, per essere apparso questa mattina senza invito. Faceva freddo. Non aveva una giacca. Di sicuro era una gradevole forma di cortesia. “Non volevo che ti prendessi un raffreddore o qualcosa del genere.”
“Non sono così delicata,” disse, fissando il mio petto piuttosto che il mio viso, come stesse esitando ad incontrare ad incontrare i miei occhi. Ma prese la giacca prima che dovessi ricorrere ad un ordine o ad un'adulazione.
“Ah, no?” mormorai a me stesso.
Fissò la strada mentre acceleravo verso scuola. Riuscivo a sopportare il silenzio solo per pochi secondi. Dovevo conoscere i suoi pensieri questa mattina. Era cambiato così tanto tra di noi dall'ultima volta che il sole era sorto.
“Ehi, oggi niente questionario?” le chiesi, mantenendomi ancora sul leggero.
Lei sorrise, sembrando felice che avessi affrontato l'argomento. “Le mie domande ti innervosiscono?”
“Non quanto le tue reazioni,” le dissi con onestà, sorridendo in risposta al suo sorriso.
La sua bocca si piegò all'ingiù. “Reagisco male?”
“No, è proprio lì il problema. Sei sempre così tranquilla... è innaturale.” Era da molto che nessuno gridava. Come poteva essere? “Mi chiedo cosa ti passi per la testa.” Di sicuro, qualsiasi cosa facesse o meno mi avrebbe sorpreso.
“Ti dico sempre ciò che mi passa per la testa.”
“Ma lo censuri.”
Strinse di nuovo i denti sulle sue labbra. Non sembrava notare quando lo faceva – era un'inconsapevole risposta alla tensione. “Non granché.”
Solo queste parole erano tali da far infuriare la mia curiosità. Cosa mi teneva di proposito nascosto?
“Abbastanza da farmi impazzire,” dissi.
Esitò, poi sussurrò. “Sei tu che non vuoi sentirlo.”
Dovetti riflettere per un momento, rivedere l'intera conversazione della scorsa sera, parola per parola, prima di fare la connessione. Forse ci volle così tanta concentrazione perché non riuscivo ad immaginare niente che non volessi lei mi dicesse. E poi ricordai – poiché il tono della sua voce era lo stesso della scorsa sera; ci fu di nuovo un improvviso dolore. Per una volta, le avevo chiesto di non esprimere i suoi pensieri. Non dirlo mai, le avevo ringhiato. L'avevo fatta piangere...
Ero questo quello che mi teneva nascosto? La profondità dei suoi sentimenti per me? Che il mio essere mostro non le importava, e che pensava fosse troppo tardi per cambiare idea?
Non riuscii a parlare, perché la gioia e il dolore erano troppo forti per le parole, il conflitto tra di loro troppo selvaggio per consentire una risposta coerente. La macchina restò in silenzio tranne per il calmo ritmo del suo cuore e dei suoi polmoni.
“Ma i tuoi fratelli dove sono?” chiese improvvisamente.
Feci un respiro profondo – per registrare l'odore nella macchina per la prima volta con vero dolore; mi stavo abituando, realizzai con soddisfazione – e mi sforzai di fare l'indifferente.
“Hanno preso la macchina di Rosalie,” parcheggiai nello spazio vicino la macchina in questione. Nascosi il mio sorriso mentre osservavo i suoi occhi spalancarsi. “Appariscente, eh?”
“Uh, caspita, se lei ha quella, perché si fa scarrozzare da te?”
Rosalie si sarebbe divertita della reazione di Bella... se fosse stata obiettiva verso di lei, cosa che non sarebbe successa.
“Come ho detto è appariscente. Noi ci sforziamo di passare inosservati.”
“Non ci riuscite,” mi disse, e poi rise spensierata.
L'allegro, completamente indisturbato suono della sua risata mi scaldò dentro il petto anche mentre la mia mente nuotava nel dubbio.
“Ma allora, perché Rosalie oggi ha preso la sua macchina, se è così vistosa?” domandò.
“Non te ne sei accorta? Sto infrangendo tutte le regole.”
La mia risposta avrebbe dovuto essere un po' spaventosa, eppure, ovviamente, Bella sorrise.
Non aspettò che le aprissi la porta, come la scorsa sera. Dovevo fingermi normale qui a scuola – quindi non potei muovermi veloce abbastanza da anticiparla – ma avrebbe solo dovuto abituarsi ad essere trattata con più cortesia, e sarebbe successo presto.
Camminai vicino al suo fianco per quanto potevo permettermi, osservando attentamente qualsiasi segno la mia vicinanza avrebbe potuto causare. La sua mano si allungò due volte verso la mia e poi la ritirò. Sembrava volesse toccarmi... Il mio respiro accelerò.
“Ma perché comprate macchine del genere, se siete gelosi della vostra privacy?,” chiese mentre camminavamo.
“Un capriccio,” ammisi. “Ci piace andare veloce.”
“Ovviamente,” mormorò, il suo tono acido.
Non alzò lo sguardo per osservare il mio sorriso di risposta.
Nooo! Non ci credo! Come diavolo ha fatto Bella a riuscirci? Non lo sopporto! Perché?
La mente di Jessica interruppe i miei pensieri. Stava aspettando Bella, riparandosi dalla pioggia sotto il tetto della mensa, con il giubbotto di Bella tra le braccia. I suoi occhi erano spalancati dall'incredulità.
Anche Bella la notò, un momento dopo. Quando registrò l'espressione di Jessica un leggero rosa tinse le sue guance. I pensieri di Jessica erano chiaramente dipinti sul suo viso.
“Ehi, Jessica. Grazie per essertene ricordata,” la salutò Bella. Si allungò per il giubbotto e Jessica glielo porse senza dire una parola.
Avrei dovuto essere educato con gli amici di Bella, sia che fossero buoni amici sia che non lo fossero. “Buongiorno, Jessica.”
Woaa...
Gli occhi di Jessica si spalancarono ancora di più. Era strano e divertente... e, onestamente, un po' imbarazzante... realizzare quanto la vicinanza di Bella mi avesse addolcito. Sembrava che non spaventassi più nessuno. Se Emmett lo avesse scoperto, avrebbe riso per il prossimo secolo.
“Ehm... ciao,” mormorò Jessica, e i suoi occhi si lanciarono verso il viso di Bella, carichi di significato. “Beh, ci vediamo a trigonometria.”
Sputerai il rospo. Non cerco una risposta. Dettagli. Voglio dettagli! Quel fico di Edward Cullen! La vita è così ingiusta.
La bocca di Bella si contorse. “D'accordo, ci vediamo dopo.”
I pensieri di Jessica correvano selvaggi mentre si affrettava verso la sua prima lezione, sbirciando di tanto in tanto da sopra le spalle.
L'intera storia. Non accetterò niente di meno. Avevano programmato di incontrarsi la scorsa sera? Avevano un appuntamento? Da quanto? Da quanto ha potuto tenerlo segreto? Perché voleva farlo? Non è una cosa normale, deve essere seriamente innamorata di lui. C'è qualche altra possibilità? La troverò. Non sopporto di non sapere. Penso che si vedano. Oh, svengo... I pensieri di Jessica si scollegarono improvvisamente, e lasciò che fantasie impronunciabili vorticassero nella sua mente. Mi ritrassi dalle sue congetture, e non solo perché in quelle immagini mentali aveva rimpiazzato Bella.
Non avrebbe potuto essere così. E anche io... io volevo...
Tentai di resistere ad ammetterlo, anche con me stesso. In quanti modi sbagliati avrei voluto che Bella fosse coinvolta? In quello che alla fine l'avrebbe uccisa?
Scossi la testa, cercando di schiarirmi le idee.
“Cosa le racconterai?” chiesi a Bella.
“Ehi,” sussurrò intensamente. “Ma allora mi leggi nel pensiero!”
“No.” La fissai, sorpreso, cercando di dare un senso alle sue parole. Ah, dovevamo aver pensato alla stessa cosa nello stesso momento. Uhm... Lo preferivo. “Però,” le dissi, “posso leggere il suo: ti prenderà d'assalto appena entri in classe.”
Bella si lamentò, e poi si lasciò scivolare via la giacca dalle spalle. All'inizio non mi ero reso conto che me la stava ritornando – non gliela avrei chiesta; avrei preferito che la tenesse... come simbolo – così fui lento ad offrirle il mio aiuto. Me la porse, e s'infilò la sua, senza alzare lo sguardo per vedere le mie mani tese ad aiutarla. Mi accigliai, e poi mi ricomposi prima che potesse notarlo.
“Perciò, cosa le racconterai?” Insistetti.
“Mi dai un aiutino? Cosa vuole sapere?”
Le sorrisi, scuotendo la testa. Volevo sentire cosa stava pensando senza suggerimenti. “Non è corretto.”
Strinse gli occhi. “No, non è corretto che tu non metta a disposizione certe informazioni.”
Giusto, non le piacevano doppie misure.
Eravamo davanti la porta della sua prima lezione, dove avrei dovuto lasciarla; pensai inutilmente se la Signorina Cope sarebbe stata più accomodante a proposito del cambio della mia lezione di Inglese... Mi concentrai su me stesso. Avrei potuto essere onesto.
“Vuole sapere se usciamo assieme di nascosto,” le dissi lentamente. “E vuole che tu le dica ciò che provi per me.”
I suoi occhi si spalancarono, non spaventati, ma ingegnosi adesso. Erano aperti per me, leggibili. Si stava fingendo innocente.
“Oddio,” mormorò. “E io cosa dovrei risponderle?”
“Uhm.” Cercava sempre di lasciarmi andare più di quanto facesse lei. Ponderai la risposta.
Una ciocca fuori posto tra i suoi capelli, leggermente umida per la nebbia, le scivolò lungo la spalla e si curvò attorno l'incavo del collo nascosto dal ridicolo maglione. Attirò il mio sguardo... spingendolo attraverso altre linee nascoste...
Lo afferrai con attenzione, senza toccare la sua pelle, il mattino era freddo abbastanza anche senza il mio tocco, e lo rimisi a posto tra il disordinato resto così che non mi distraesse di nuovo. Ricordai quando Mike Newton aveva toccato i suoi capelli, e contrassi la mascella al ricordo. Quella volta si era tirata indietro. La sua reazione adesso non era per niente la stessa; al contrario, spalancò leggermente gli occhi, un impeto di rossore sotto la sua pelle, e un improvviso, irregolare battito nel suo cuore.
Cercai di nascondere il mio sorriso mentre rispondevo alla sua domanda.
“Penso che potresti rispondere di sì alla prima domanda... se non è un problema per te,” una sua scelta, sempre una sua scelta, “è la spiegazione più facile da dare.”
“Non è un problema,” sussurrò. Il suo cuore non aveva ancora ritrovato il suo normale ritmo.
“Quanto all'altra...” Adesso non riuscii a trattenere un sorriso. “Beh, anch'io sarò curioso di sentire la risposta.”
Avrei lasciato che Bella lo considerasse. Trattenni una risata mentre lo shock le attraversava il viso.
Mi voltai velocemente, prima che potesse farmi qualche altra domanda. Era difficile non darle quello che chiedeva. E io volevo sentire i suoi pensieri, non i miei.
“Ci vediamo a pranzo,” le dissi da sopra le mie spalle, una scusa per controllare se mi stava ancora fissando, con gli occhi spalancati. La sua bocca aperta. Mi voltai di nuovo, e risi.
Mentre camminavo via, ero vagamente consapevole degli scioccati e rischiosi pensieri che mi vorticavano attorno, occhi che rimbalzavano avanti e indietro tra il viso di Bella e la mia figura che si allontanava. Gli prestai poca attenzione. Non potevo concentrarmi. Era già abbastanza difficile mantenere il mio passo ad una velocità accettabile mentre attraversavo l'erba fradicia per la mia prossima lezione. Volevo correre, correre davvero, così veloce da scomparire, così veloce che sarebbe sembrato che stessi volando. Una parte di me stava già volando.
Quando arrivai a lezione indossai la giacca, lasciando che il suo profumo denso mi avvolgesse. Stavo bruciando adesso – per lasciare che il suo odore mi desensibilizzasse – e più tardi sarebbe stato più facile ignorarlo, quando sarei stato di nuovo con lei a pranzo...
Fu un bene che i miei insegnanti non si disturbarono a chiamarmi. Oggi sarebbe stato il giorno in cui mi avrebbero colto in fallo, impreparato e senza un risposta. Stamattina la mia mente era in così tanti posti; soltanto il mio corpo era in classe.
Ovviamente stavo osservando Bella. Stava diventando naturale, automatico come respirare. Sentivo la sua conversazione con un Mike Newton demoralizzato. Velocemente diresse l'argomento verso Jessica, e feci un sorriso così ampio che Rob Sawyer, seduto al banco alla mia destra, si tirò visibilmente indietro e scivolò più profondo nella sedia, lontano da me.
Ugh. Raccapricciante.
Beh, non ero completamente perso.
Stavo controllando Jessica con scioltezza, osservandola definire le sue domande per Bella. Potevo aspettare a mala pena la quarta ora, dieci volte più eccitato e ansioso della curiosa umana che aveva voglia di un nuovo pettegolezzo.
E stavo anche ascoltando Angela Weber.
Non avevo dimenticato la gratitudine che sentivo verso di lei, in primo luogo per non pensare a nient'altro che a ciò che è giusto per Bella, e poi per il suo aiuto la scorsa sera. Così aspettai tutta la mattinata, cercando qualcosa che desiderasse. Ipotizzai che sarebbe stato semplice; come qualsiasi altro umano, doveva esserci qualche fronzolo o giocattolo che volesse in particolare. Molti, con ogni probabilità. Avrei consegnato qualcosa in via anonima e con mittente ugualmente anonimo.
Ma Angela nei suoi pensieri era poco accomodante quasi quanto Bella. Era stranamente contenta per essere un adolescente. Felice. Forse era questa la ragione della sua insolita gentilezza, era una di quelle rare persone che avevano quello che volevano e volevano quello che avevano. Se non stava prestando attenzione agli insegnanti e ai suoi appunti, pensava ai due fratelli gemelli più piccoli che doveva portare in spiaggia questo fine settimana, anticipando la loro eccitazione con un piacere quasi materno. Si prendeva spesso cura di loro, ma non era risentito... era molto dolce.
Però non mi fu molto d'aiuto.
Ci doveva essere qualcosa che desiderava. Avrei solo dovuto continuare a guardare. Ma era tardi. Era arrivato il momento della lezione di Bella di trigonometria con Jessica.
Non badavo a dove stavo andando mentre facevo la strada per Inglese. Jessica era già al suo posto, entrambi i piedi che battevano impazientemente contro il pavimento mentre aspettava che arrivasse Bella.
Al contrario, una volta che in classe mi accomodai al mio posto assegnato, diventai completamente immobile. Dovevo ricordarmi di agitarmi di tanto in tanto. Di mantenere le apparenze. Era difficile, i miei pensieri concentrati su quelli di Jessica. Sperai che prestasse attenzione, tentando davvero di leggere per me il viso di Bella.
Il calpestio di Jessica s'intensificò mentre Bella camminava nell'aula.
Sembra... depressa. Perché? Forse non sta funzionando con Edward Cullen. Deve essere una delusione. Eccetto che... allora è ancora disponibile... Se è improvvisamente interessato ad avere appuntamenti, non mi dispiacerebbe dargli una mano...
Il viso di Bella non sembrava depresso, piuttosto riluttante. Era preoccupata, sapeva che avrei sentito. Sorrisi tra me e me.
“Dimmi!” domandò Jessica mentre Bella si stava ancora togliendo la giacca per appenderla allo schienale della sua sedia. Si stava muovendo con lentezza, controvoglia.
Ugh, è così lenta. Arriva al succo!
“Cosa vuoi sapere?” Temporeggiò Bella mentre prendeva posto.
“Cosa è successo ieri sera?”
“Mi ha portata a cena, poi mi ha accompagnata a casa.”
E poi? Andiamo, ci dev'essere stato molto di più! Comunque sta mentendo, lo so. Lo chiederò a lei.
“Come hai fatto a tornare a casa così presto?”
Vidi Bella alzare gli occhi al cielo al sospetto di Jessica.
“Guida come un pazzo. Ero terrorizzata.”
Fece un timido sorriso, e risi ad alta voce, interrompendo l'annuncio del Professor Mason. Cercai di trasformare la risata in tosse, ma nessuno ci cascò. Il professor Mason mi lanciò un'occhiata irritata, ma ancora non mi disturbai ad ascoltare il pensiero dietro di essa. Stavo ascoltando Jessica.
Huh. Sembra che stia dicendo la verità. Perché le devo tirare tutto, parola per parola? Mi sarei vantata dalla cima dei miei polmoni se fossi stata io.
“E' stato una specie di appuntamento? Eravate d'accordo?”
Jessica vide la sorpresa nell'espressione di Bella, e fu delusa da quanto sembrasse autentica.
“No... sono stata molto sorpresa di incontrarlo,” le disse Bella.
Che sta succedendo? “Ma oggi ti ha accompagnata a scuola, no?” domandò Jessica. Ci deve essere di più da raccontare.
“Sì... ma anche questa è stata una sorpresa. Ieri sera si è accorto che ero rimasta senza giacca.”
Quello non è molto divertente, pensò Jessica, delusa di nuovo.
Ero stanco della sua sfilza di quesiti, volevo sentire qualcosa che già non sapevo. Sperai che non fosse così insoddisfatta da saltare le domande che stavo aspettando.
“Perciò, uscirete ancora?” domandò Jessica.
“Si è offerto di accompagnarmi a Seattle, sabato, perché è convinto che il mio pick-up non ce la farà. Vale come appuntamento?”
Uhm. Di sicuro fa parte del suo modo di.. beh, prendersi cura di lei, o qualcosa del genere. Dev'esserci qualche suo aspetto, se non è di lei. Come può essere? Bella è pazza.
“Sì,” Jessica rispose alla domanda di Bella.
“Beh, allora,” concluse Bella. “Sì.”
“Wow... Edward Cullen.” Che le piaccia o meno, questa è la cosa più importante.
“Lo so,” sospirò Bella.
Il tono della sua voce incoraggiò Jessica. Finalmente, sembra che ci sia arrivata! Deve essersi accorta...
“Aspetta!” disse Jessica, ricordandosi improvvisamente la domanda più vitale. “Ti ha baciata?” Per favore dì di sì. E poi descrivi ogni secondo!
“No,” mormorò Bella, e poi guardò giù verso le sue mani, abbassando il viso. “Non è come pensi.”
Dannazione. Spero... ah. Sembra l'abbia fatto lei.
Mi accigliai. Bella sembrava triste per qualcosa, ma non poteva essere la delusione che aveva presunto Jessica. Non poteva volerlo. Non conoscendo ciò che conosceva. Non poteva voler avvicinarsi ai miei denti. Per tutto quello che sapeva, avevo le zanne.
Rabbrividii.
“Pensi che sabato...?” pungolò Jessica.
Bella sembrò molto più frustrata mentre rispondeva, “Ne dubito fortemente.”
Sì, lo spera. Fa schifo.
Era perché stavo guardando attraverso il filtro delle percezioni di Jessica che sembrava avesse ragione?
Per mezzo secondo fui distratto dall'idea, dall'impossibilità, di come sarebbe stato provare a baciarla. Le mie labbra sulle sue, fredda pietra contro la calda, tenera seta...
E poi sarebbe morta.
Scossi la testa, sussultando, e mi costrinsi a prestare attenzione.
“Di cosa avete parlato?” Gli hai parlato, o lo hai costretto a cavarti ogni piccola informazione in questo modo?
Sorrisi con rimpianto. Jessica non era tanto lontana.
“Non so, Jess, di un sacco di cose. Abbiamo parlato del saggio di inglese per un po'.”
Per molto poco. Feci un grande sorriso.
Oh, andiamo. “Ti prego Bella! Qualche particolare in più.”
Bella rifletté per un momento.
“Beh d'accordo, uno solo. Avresti dovuto vedere la cameriera; gli ha fatto una corte spietata. Ma lui non se l'è filata!”
Che strano dettaglio da mostrare, Ero sorpreso che Bella l'avesse pure notato. Sembrava una cosa incoerente.
Interessante... “Buon segno. Era carina?”
Uhm. Jessica ci pensò molto più di me. Doveva essere una cosa tra ragazze.
“Molto,” le disse Bella. “E avrà avuto diciannove o vent'anni.”
Jessica fu momentaneamente distratta da un ricordo di Mike al suo appuntamento dello scorso lunedì sera, Mike che faceva il carino con una cameriera che Jessica aveva considerato per niente bella. Allontanò il ricordo e ritornò, soffocando l'irritazione, alla sua domanda sui dettagli.
“Meglio ancora. Vuol dire che gli piaci.”
“Penso di sì,” disse lentamente Bella, ed ero sul bordo della mia sedia, il mio corpo rigidamente immobile. “Ma è difficile dirlo. E' sempre così criptico.”
Non dovevo essere stato così trasparentemente palese e fuori controllo come avevo pensato. Anche... attenta com'era... come poteva non accorgersi che ero innamorato di lei? Setacciai la nostra conversazione, quasi sorpreso che non avessi detto le parole ad alta voce. Sembrava che quella conoscenza fosse stata il sottofondo di ogni parola scambiata.
Wow. Come puoi sederti qui di fronte ad un modello e fare conversazione?
“Non so dove trovi il coraggio di restare sola con lui,” disse Jessica.
Lo shock fulminò il viso di Bella. “Perché?”
Strana reazione. Cosa pensa che voglia dire? “Mette così...” Qual era la giusta parola? “In soggezione. Io non saprei cosa dirgli.” Oggi non riuscivo nemmeno a parlare inglese con lui, e tutto quello che mi ha detto è stato buongiorno. Devo essere sembrata un'idiota.
Bella sorrise. “A dir la verità, anch'io ho qualche problema di lucidità quando è nei paraggi.”
Stava cercando di far sentire meglio Jessica. Era quasi in pieno possesso di se stessa in modo innaturale quando eravamo insieme.
“Oh, beh,” sospirò Jessica. “E' bello da non crederci, non c'è dubbio.”
Il viso di Bella si accaldò all'improvviso. I suoi occhi si illuminarono nello stesso modo di quando risentiva di qualche ingiustizia. Jessica non si accorse del cambiamento della sua espressione.
“E poi, in lui, c'è molto altro,” sbottò Bella.
Ohhh. Adesso stiamo arrivando da qualche parte. “Davvero?”
Bella si mordicchiò il labbro per un momento. “Non so come spiegarlo,” disse infine. “Ma dietro la facciata è ancora più incredibile.” Guardò oltre Jessica, i suoi occhi leggermente offuscati come se stesse osservando qualcosa di molto lontano.
La sensazione che provai adesso era vagamente simile a quando Carlisle o Esme mi lodavano più di quanto meritassi. Simile, ma molto più intensa, più struggente.
Manda gli stupidi da qualche altra parte, non c'è niente di meglio di un bel viso! Se non il suo corpo. Svengo. “Davvero?” ridacchiò Jessica.
Bella non si girò. Continuò a fissare in lontananza, ignorando Jessica.
Una persona normale starebbe gongolando. Forse se facessi domande semplici. Ah ah. Come se stessi parlando con una bambina dell'asilo. “Perciò ti piace?”
Ero di nuovo immobile.
Bella non guardò Jessica. “Sì.”
“Voglio dire, ti piace davvero?”
“Sì.”
Guarda è arrossita!
Io lo ero.
“Quanto ti piace?” domandò Jessica.
La classe di Inglese avrebbe potuto incendiarsi e io non me ne sarei accorto. Adesso il viso di Bella era rosso brillante, potevo quasi sentirne il calore, dall'immagine mentale.
“Troppo,” sussurrò. “Più di quanto io piaccia a lui. Ma credo proprio di non poterci fare niente.”
Cavolo! Che cosa ha appena chiesto il professor Varner? “Uhm, che numero, professore?”
Era un bene che Jessica non potesse più interrogare Bella. Avevo bisogno di un minuto.
Che diavolo stava pensando quella ragazza? Più di quanto io piaccia a lui? Come poteva uscirsene così? Ma credo proprio di non poterci fare niente. Cosa voleva dire? Non riuscivo a dare una spiegazione razionale a quelle parole. Erano praticamente senza senso.
Sembrava che non potessi dar nulla per scontato. Le cose ovvie, le cose che avevano perfettamente senso, in qualche modo venivano distorte e rivoltate dal suo bizzarro cervello. Più di quanto io piaccia a lui? Forse non avrei ancora dovuto scartare il manicomio.
Lanciai un'occhiata all'orologio, digrignando i denti. Come potevano dei banali minuti sembrare impossibilmente lunghi per un immortale? Dov'era finita la mia prospettiva?
Strinsi la mascella per tutta l'intera lezione di trigonometria del professor Varner. Avevo già sentito molto di più nella lettura della mia lezione. Bella e Jessica non parlarono di nuovo, ma Jessica sbirciò spesso Bella, e in una di quelle il suo viso era ancora di un brillante rosso scarlatto per nessuna ragione precisa.
Il pranzo non poteva arrivare più in fretta.
Non ero sicuro che Jessica avrebbe fatto le altre domande che stavo aspettando per quando la lezione fosse terminata, ma Bella fu più svelta del solito.
Appena la campanella suonò, Bella si girò verso Jessica.
“Durante inglese Mike chiedeva se tu mi avessi raccontato qualcosa di lunedì sera,” disse Bella, un sorriso spuntava dagli angoli della sua bocca. Compresi per cos'era, l'attacco era sempre la miglior difesa.
Mike ha chiesto di me? La gioia rese la mente di Jessica improvvisamente indifesa, più dolce, senza il solito nervosismo da serpe. “Stai scherzando? E tu?”
“Gli ho risposto che ti sei divertita parecchio... sembrava compiaciuto.”
“Ripetimi tutto quello che vi siete detti, parola per parola.”
Chiaramente, era tutto ciò che oggi avrei ottenuto da Jessica. Bella stava sorridendo come stesse pensando la stessa cosa. Come se avesse vinto il round.
Beh, il pranzo sarebbe stato un'altra storia. Avrei ottenuto più successo facendole io le domande piuttosto che Jessica, me ne sarei assicurato.
Potevo a mala pena sopportare di controllare occasionalmente Jessica per la quarta ora. Non avevo pazienza per i suoi ossessivi pensieri su Mike Newton. Ne avevo avuto abbastanza di lui nelle due ultime settimane. Era fortunato ad essere ancora vivo.
Mi mossi apaticamente nella palestra con Alice, il modo in cui ci spostavamo quando facevamo attività fisica con gli umani. Eravamo compagni di squadra, ovviamente. Era il primo giorno di badminton. Sospirai di noia, roteando la racchetta in un lento movimento per colpire il birdie verso l'altra parte. Lauren Mallory che era nell'altro , la mancò. Alice stava girando la sua racchetta come un manganello, fissando il soffitto.
Odiavamo tutti la palestra, specialmente Emmett. I giochi di lancio erano un affronto alla nostra personale filosofia. La palestra oggi sembrava anche peggio del solito, mi sentivo irritato quanto lo era sempre Emmett.
Prima che la mia testa potesse esplodere per l'impazienza, l'allenatore Clapp richiamò i giochi e ci mandò via prima. Fui ridicolamente grato che avesse saltato la colazione – un recente tentativo di dieta – e che la conseguente fame lo avesse indotto a lasciare di fretta il campo per cercare da qualche parte un grasso pranzo. Si era promesso che avrebbe cominciato da domani...
Questo mi diede abbastanza tempo per raggiungere l'edificio di matematica prima che la lezione di Bella terminasse.
Divertiti, pensò Alice mentre si dirigeva per incontrare Jasper. Soltanto pochi giorni di pazienza. Suppongo che tu non possa dire ciao a Bella da parte mia, vero?
Scossi la testa, esasperato. Tutti coloro che vedevano il futuro erano così compiaciuti?
Per tua informazione, sarà soleggiato da entrambi le parti della costa questo fine settimana. Dovrai riorganizzare i tuoi programmi.
Sospirai mentre continuavo nella direzione opposta. Compiaciuta, ma in definitiva utile.
Mi appoggiai contro il muro vicino la porta, aspettando. Ero abbastanza vicino da sentire bene attraverso i mattoni sia la voce di Jessica che i suoi pensieri.
“Oggi non mangi assieme a noi, vero?” Sembra tutta... su di giri. Scommetto che ci sono un casino di cose che non mi ha detto.
“Non penso,” rispose Bella, stranamente insicura.
Non le avevo promesso che avrei passato il pranzo con lei? Cosa stava pensando?
Uscirono insieme dalla lezione, e gli occhi di entrambe si spalancarono quando mi videro. Ma potevo sentire solo Jessica.
Fico. Wow. Oh, sì, c'è molto di più di quanto mi sta dicendo. Forse la chiamerò stasera... O forse non dovrei incoraggiarla. Huh. Spero che la lasci in fretta. Mike è carino ma... wow.
“A dopo, Bella.”
Bella camminò verso di me, fermandosi lontana di un passo, ancora insicura. La sua pelle era rosa sulle sue guance.
Adesso la conoscevo abbastanza da essere sicuro che non vi era paura dietro la sua esitazione. In apparenza, era qualche abisso che aveva immaginato tra i suoi sentimenti e i miei. Più di quanto io piaccia a lui. Assurdo!
“Ciao,” dissi, la mia voce un po' brusca.
Il suo viso si schiarì. “Ciao.”
Non sembrò incline ad aggiungere altro, così feci strada verso la mensa e lei camminò silenziosamente accanto a me.
La giacca aveva funzionato, il suo profumo non fu il solito colpo. Era solo un'intensificazione del dolore che avevo già provato. Potevo ignorarlo molto più facilmente di quanto una volta avevo creduto possibile.
Bella era irrequieta mentre aspettavamo in fila, giocanva assente con la cerniera della sua giacca e si spostava nervosamente da un piede all'altro. Mi lanciò spesso un'occhiata, ma quando incontrava il mio sguardo, abbassava gli occhi come fosse imbarazzata. Era perché molte persone ci stavano fissando? Forse poteva sentire i rumorosi bisbigli, oggi il pettegolezzo era sia verbale che mentale.
O forse si era accorta, dalla mia espressione, che era nei guai.
Non disse nulla finché non riunii il suo pranzo. Non sapevo cosa le piaceva, non ancora, così presi uno di ogni cosa.
“Cosa fai?” sibilò a bassa voce. “Non starai prendendo tutta quella roba per me?”
Scossi la testa, mostrando il vassoio alla cassa. “Metà è per me, ovviamente.”
Sollevò scettica un sopracciglio, ma non aggiunse altro mentre pagavo il cibo e la scortavo al tavolo dove ci eravamo seduti la scorsa settimana prima della sua disastrosa esperienza con i gruppi sanguigni. Sembravano molto più che pochi giorni. Adesso ogni cosa era diversa.
Prese di nuovo posto di fronte a me. Spinsi il vassoio verso di lei.
“Scegli pure,” la incoraggiai.
Prese una mela e se la girò tra le mani, uno sguardo meditativo sul suo viso.
“Sono curiosa.”
Che sorpresa.
“Come reagiresti se qualcuno ti sfidasse a mangiare del cibo?” continuò in una voce così bassa che non sarebbe giunta ad orecchie umane. Le orecchie immortali erano un altro problema, sempre che stessero prestando attenzione. Probabilmente avrei dovuto prima accennargli qualcosa...
“Curiosa come al solito,” mi lamentai. Oh beh. Non che non avessi mai dovuto mangiare prima d'ora. Era parte dell'apparenza. Una spiacevole parte.
Raggiunsi la cosa più vicina, e sostenni il suo sguardo mentre mordevo un pezzo di qualsiasi cosa fosse. Senza guardare, non potevo dirlo. Era viscido e grosso come qualsiasi altro cibo umano. Lo masticai velocemente e inghiottii, cercando di evitare la smorfia sul mio viso. Il boccone di cibo si muoveva lentamente e a disagio lungo la mia gola. Sospirai mentre pensavo a come lo avrei soffocato più tardi. Disgustoso.
L'espressione di Bella era scioccata. Impressionata.
Volevo alzare gli occhi al cielo. Ovvio che avremmo perfezionato l'inganno.
“Se qualcuno ti sfidasse a mangiare spazzatura potresti farlo, no?”
Arricciò il naso e sorrise. “Una volta è successo... una scommessa. Non era così male.”
Risi. “La cosa non mi sorprende più di tanto.”
Sembrano intimi, no? Un buon linguaggio del corpo. Riprenderò Bella più tardi. Per quanto riesce si sta avvicinando verso di lei, come fosse interessato. Sembra interessato. Sembra... perfetto. Jessica sospirò. Yum.
Incontrai gli occhi curiosi di Jessica, e lei spostò lo sguardo nervosamente, ridacchiando con la ragazza vicino.
Hmm. Probabilmente è meglio appiccicarmi a Mike. Realtà, non fantasia...
“Jessica sta analizzando tutti i miei movimenti,” informai Bella. “Più tardi ti farà un resoconto dettagliato.”
Spinsi il piatto di cibo verso di lei – pizza, mi accorsi – pensando al modo migliore di iniziare. La mia precedente frustrazione infiammò mentre ripetevo le parole nella mia mente: Più di quanto io piaccia a lui. Ma credo proprio di non poterci fare niente.
Fece un morso allo stesso pezzo di pizza. La sua fiducia mi sorprese. Ovvio, non sapeva che ero velenoso – non che dividere il cibo l'avrebbe danneggiata. Di nuovo, mi aspettavo che mi trattasse in modo diverso. Come qualcos'altro. Non lo aveva mai fatto, almeno non in modo negativo...
Avrei iniziato gentilmente.
“Perciò, la cameriera era carina?”
Sollevò di nuovo un sopracciglio. “Non te ne sei accorto?”
Come se una qualsiasi altra donna avrebbe potuto distogliere la mia attenzione da Bella. Ancora assurdo.
“No, non ci ho fatto caso. Avevo altro per la testa.” Non per ultimo come aderiva dolcemente la sua leggera camicia...
Era un bene che oggi avesse indossato quel brutto maglione.
“Poveretta,” disse Bella, sorridendo.
Le faceva piacere che non avessi trovato in nessun modo interessante la cameriera. Potevo capirlo. Quante volte avevo immaginato di storpiare Mike Newton nell'aula di biologia?
Non poteva onestamente credere che i suoi sentimenti umani, il frutto di diciassette brevi anni mortali, potessero essere più forti della passione immortale che si era costruita in me dopo un secolo.
“Una delle cose che hai detto a Jessica,” non riuscii a mantenere il mio tono indifferente. “Beh, mi infastidisce un po'.”
Si mise immediatamente sulla difensiva. “Non mi sorprende che tu abbia sentito qualcosa di spiacevole. Sai quel che si dice di chi origlia...”
Chi origlia non sente mai cose buone sul suo conto, era ciò che stava dicendo.
“Ti ho avvertita che sarei rimasto in ascolto,” le ricordai.
“E io ti ho avvertito che non avresti gradito conoscere tutti i miei pensieri.”
Ah, stava pensando a quando l'avevo fatta piangere. Il rimorso rese la mia voce più rauca.
“In effetti, mi avevi avvertito. Però non credo tu abbia ragione fino in fondo. Voglio sapere sì ciò che pensi, e tutto. Soltanto mi piacerebbe... che non pensassi certe cose.”
Molto più di una mezza bugia. Sapevo che non avrei dovuto volere che fosse interessata a me. Ma non era così. Ovvio che lo volevo.
“Bella differenza,” brontolò, accigliandosi.
“Ma non è questo il problema, al momento.”
“E quale sarebbe?”
Si avvicinò verso di me, le sue mani avvolte leggermente attorno il suo collo. Attirarono il mio sguardo, distraendomi. Come doveva essere soffice quella pelle...
Concentrati, mi ordinai.
“Sei davvero convinta di piacermi meno di quanto io piaccia a te?” chiesi. La domanda mi sembrò ridicola, come se le parole si stessero accapigliando.
I suoi occhi si spalancarono, il suo respiro si fermò. Poi allontanò lo sguardo, sbattendo velocemente le ciglia. Il suo respiro diventò un basso affanno.
“Lo stai rifacendo,” mormorò.
“Cosa?”
“Stai cercando di incantarmi,” ammise, incontrando circospetta i miei occhi.
“Ah,” Hmm. Non ero molto sicuro su cosa fare. Neanche sicuro che non volessi abbagliarla. Ero ancora eccitato di poterlo fare. Ma non stava aiutando a far progredire la conversazione.
“Non è colpa tua.” Sospirò. “Non ci puoi fare niente.”
“Mi vuoi rispondere?” domandai.
Fissò il tavolo. “Sì.”
Fu tutto quello che disse.
“Sì mi vuoi rispondere, o sì ne sei davvero convinta?” chiesi con impazienza.
“Sì, ne sono convinta,” disse senza alzare lo sguardo. Vi era un leggero sfondo di tristezza nella sua voce. Arrossì di nuovo, e mosse inconsciamente i denti per infastidire il suo labbro.
All'improvviso, mi resi conto che era molto difficile per lei ammetterlo, perché lo credeva veramente. E non ero migliore di quel codardo, Mike, a chiederle conferma dei suoi sentimenti prima che io confermassi i miei. Non importava che mi sentivo come se avessi abbondantemente chiarito la mia parte. Non era stato approvato da lei, quindi non avevo scuse.
“Ti sbagli,” promisi. Doveva aver sentito la tenerezza nella mia voce.
Bella mi guardò, i suoi occhi ermetici, che non lasciavano trasparire nulla. “Non puoi esserne sicuro,” sussurrò.
Pensava che stessi sottovalutando i suoi sentimenti perché non potevo sentire i suoi pensieri. Ma, in verità, il problema era che lei stava sottovalutando i miei.
“Cosa te lo fa pensare?” chiesi.
Mi fissò di rimando, le sopracciglia corrugate, mordendosi le labbra. Per la milionesima volta, sperai disperatamente soltanto di poterla sentire.
“Ci devo riflettere,” insistette.
Finché stava semplicemente organizzando i suoi pensieri, potevo essere paziente.
O potevo fingerlo di esserlo.
Unì le mani, intrecciando e sciogliendo le esili dita. Mentre parlava osservava le sue mani come appartenessero a qualcun altro.
“Beh, ovvietà a parte,” mormorò. “A volte... non mi sento sicura – non sono capace di leggere il pensiero, io – e ogni tanto ho la sensazione che mentre mi dici certe cose in realtà tu stia cercando di lasciarmi perdere.” Non alzò lo sguardo.
L'aveva capito, allora? Si era resa conto che era soltanto la debolezza e l'egoismo a tenermi qui con lei? Perciò pensava male di me?
“Perspicace,” soffiai, e poi osservai con orrore mentre il dolore contorceva la sua espressione. Mi affrettai a contraddire la sua ipotesi. “Purtroppo è proprio qui che ti sbagli,” iniziai, e poi mi fermai, ricordando le prime parole della sua spiegazione. Mi avevano irritato, sebbene non fossi sicuro di aver esattamente capito. “Cosa intendi per 'ovvietà'?”
“Beh, guardami,” disse.
Io stavo guardando. Tutto quello che avevo fatto era stato guardarla. Cosa voleva dire?
“Sono una ragazza assolutamente normale... Certo, a parte difetti come gli incidenti quasi mortali e una goffaggine degna di un disabile. E guarda te.” Spostò l'aria verso di me, come se stesse parlando di una cosa così evidente che non meritava di essere pronunciata.
Pensava di essere normale? Pensava che fossi in qualche modo preferibile a lei? Per quale opinione? Per gli sciocchi, chiusi di mente e ciechi umani come Jessica o la signorina Cope? Come poteva non rendersi conto che era la più bella... la più squisita... Quelle parole non erano ancora abbastanza.
E non ne aveva idea.
“Credo che tu non abbia una buona percezione di te stessa,” le dissi. “Devo ammettere che quanto ai difetti ci hai azzeccato,” risi senza umorismo. Non trovavo per nulla comico il malvagio destino che le dava la caccia. La goffaggine, comunque, era divertente. Affettuosa. Mi avrebbe creduto se le avessi detto che era bellissima, dentro e fuori? Forse avrebbe trovato conferme molto più persuasive. “Ma tu non hai sentito cosa hanno pensato tutti gli studenti maschi di questa scuola quando ti hanno vista la prima volta.”
Ah, la speranza, l'emozione, l'eccitazione di quei pensieri. La velocità con la quale si trasformavano in fantasie impossibili. Impossibili, perché lei non voleva nessuno di loro.
Io ero l'unico alla quale aveva detto sì.
Il mio sorriso doveva essere compiaciuto.
Il suo viso era bianco di sorpresa. “Non ci credo,” mormorò.
“Per una volta fidati, se ti dico che sei l'esatto contrario della normalità.”
La sua sola esistenza era una scusa tale da giustificare la creazione del mondo intero.
Non era abituata ai complimenti, potevo capirlo. Un'altra cosa a cui avrebbe dovuto abituarsi. Arrossì, e cambiò argomento. “Ma io non sono intenzionata a lasciarti perdere.”
“Non capisci? E' la dimostrazione che ho ragione io. Ci tengo di più io di te, perché se ci riuscissi,” sarei stato abbastanza altruista da fare la cosa giusta? Scossi la testa disperato. Avrei dovuto trovare la forza. Meritava una vita. Non quella che Alice aveva visto arrivare per lei. “Se andarmene fosse la scelta migliore...” E doveva essere la cosa migliore, no? Non c'era nessun angelo avventato. Bella non mi apparteneva. “Sarei disposto a danneggiare me stesso, pur di non ferirti, pur di proteggerti.”
Appena dissi quelle parole, desiderai fossero vere.
Mi lanciò un'occhiataccia. In qualche modo, le mie parole l'avevano fatta arrabbiare. “E non credi sia lo stesso per me?” domandò furiosamente.
Così furiosa, così tenera e così fragile. Come poteva ferire qualcuno? “Non è a te che spetta questa scelta,” le dissi, di nuovo depresso dall'ampia differenza.
Mi fissò, l'ansia rimpiazzò la rabbia nei suoi occhi e accentuò la ruga tra di essi.
C'era qualcosa di veramente sbagliato nell'ordine dell'universo se qualcuno di così buono e così delicato non meritasse un guardiano angelo per toglierla fuori dai guai.
Beh, pensai con cupo umorismo, almeno ha un guardiano vampiro.
Sorrisi. Come amavo la mia scusa per restare. “Certo, darti protezione sta diventando un lavoro a tempo pieno che richiede la mia presenza costante.”
Sorrise anche lei. “Oggi nessuno ha cercato di farmi fuori,” disse leggermente, e il suo viso tornò meditativo per mezzo secondo prima che i suoi occhi divenissero di nuovo ermetici.
“Non ancora,” aggiunsi seccamente.
“Non ancora,” mi appoggiò, con mia sorpresa. Mi aspettavo che negasse qualsiasi bisogno di protezione.
Come può? Quell'idiota egoista! Come può farci questo? Il grido penetrante di Rosalie ruppe la mia concentrazione.
“Calmati, Rose,” sentii Emmett sussurrare attraverso la mensa. Il suo braccio era attorno le sue spalle, stringendola verso di lui, calmandola.
Scusami Edward, pensò Alice colpevole. Avrebbe potuto dedurre dalla vostra conversazione che Bella sapeva troppo.. e beh, sarebbe stato peggio se non le avessi la verità. Credimi.
Sussultai all'immagine mentale che seguì, a cosa sarebbe successo, se io avessi detto a Rosalie che Bella sapeva che ero un vampiro, a casa, dove Rosalie non aveva l'apparenza da mantenere. Avrei dovuto nascondere la mia Aston Martin da qualche parte fuori il continente se non si fosse calmata prima che fosse finita la scuola. La vista della mia macchina preferita, dilaniata e in fiamme, era sconvolgente, sebbene sapessi che mi meritavo la punizione.
Jasper non era più felice.
Avrei dovuto affrontare gli altri più tardi. Avevo così tanto tempo destinato a stare con Bella, e non avevo intenzione di sprecarlo. E sentire Alice mi aveva ricordato che avevo un po' di questioni da discutere.
“Ho un'altra domanda,” dissi, spegnendo l'isteria mentale di Rosalie.
“Spara,” disse Bella, sorridendo.
“Hai davvero bisogno di andare a Seattle, questo sabato, o era una scusa per evitare di dire di no a tutti i tuoi ammiratori?”
Fece una smorfia. “Guarda, non ti ho ancora perdonato per la faccenda di Tyler. E' colpa tua se continua a illudersi di potermi invitare al ballo di fine anno.”
“Oh, avrebbe trovato l'occasione per chiedertelo anche se non ci fossi stato io: morivo dalla voglia di vedere la tua reazione.”
Stavo ridendo adesso, ricordando la sua espressione atterrita. Niente di ciò che le avevo detto sulla mia oscura storia l'aveva tanto inorridita. La verità non l'aveva spaventata. Lei voleva stare con me. Che mente impressionante.
“Se te l'avessi chiesto io, avresti scaricato anche me?”
“Probabilmente no,” rispose. “Ma all'ultimo momento avrei cancellato l'invito... avrei finto una malattia o una caviglia slogata.”
Che strano. “E perché mai?”
Scosse la testa, come se fosse delusa che non avessi capito al primo colpo.
“Immagino che tu non mi abbia mai vista in palestra, ma pensavo che avresti capito.”
Ah. “Ti riferisci al fatto che non sei in grado di camminare su una superficie piana e solida senza inciampare?”
“Ovviamente.”
“Non sarebbe un problema. Dipende tutto da chi guida.”
Per una breve frazione di secondo, fui sopraffatto dall'idea di tenerla tra le mie braccia al ballo, dove avrebbe sicuramente indossato qualcosa di carino e delicato piuttosto che quell'orrendo maglione.
Con perfetta chiarezza ricordai cosa avevo provato con il suo corpo sotto il mio dopo averla spinta lontano dalla via del furgoncino. Potevo ricordare quella sensazione, più forte del panico o della disperazione o del rimorso. Era stata così calda e così tenera, modellandosi facilmente alla mia figura di pietra.
Mi allontanai con forza dal ricordo.
“Non mi hai ancora risposto,” dissi velocemente, per prevenire una lite a proposito della sua goffaggine, come era chiaramente intenzionata. “Vuoi davvero andare a Seattle, o ti andrebbe se facessimo qualcos'altro?”
Subdolo, concederle di scegliere senza darle l'opzione di stare lontano da me per tutto il giorno. Quasi corretto da parte mia. Ma le avevo fatto una promessa la scorsa sera... e mi piaceva l'idea di mantenerla, quasi quanto mi terrorizzava.
Sabato sarebbe brillato il sole. Potevo mostrargli il vero me stesso, se ero coraggioso abbastanza da sopportare il suo orrore e disgusto. Conoscevo solo un posto dovrei avrei potuto correre tale rischio...
“Sono aperta a tutte le proposte,” rispose Bella. “Ma devo chiederti un favore.”
Un consenso precisato. Cose avrebbe voluto da me?
“Cosa?”
“Posso guidare io?”
Era questa la sua idea di umorismo? “Perché?”
“Beh, prima di tutto perché quando ho detto a Charlie che sarei andata a Seattle, lui mi ha chiesto se fossi da sola, e visto che così era l'ho rassicurato. Se me lo chiedesse di nuovo non potrei mentirgli, ma non credo che lo farà: lasciare il pick-up a casa, però, lo porterebbe a sollevare la questione. In secondo luogo, la tua guida mi terrorizza.”
Alzai gli occhi al cielo. “Con tutto ciò che in me potrebbe terrorizzarti, ti preoccupi di come guido.” Il suo cervello funzionava davvero al contrario. Scossi la testa, disgustato.
Edward, mi chiamò Alice con urgenza.
Improvvisamente stavo osservando il brillante cerchio di luce solare, catturato in una delle visioni di Alice.
Era un posto che conoscevo bene, il posto dove avevo appena considerato di portare Bella, una piccola radura dove non andava nessuno tranne me. Un silenzioso, grazioso posto dove avrei potuto contare di essere solo, abbastanza lontano da qualsiasi scia o abitazione umana così che anche la mia mente avrebbe potuto avere pace e quiete.
Anche Alice l'aveva riconosciuta, perché mi aveva visto lì non molto tempo prima in un'altra visione, una di quelle tremolanti, indistinte visioni che Alice mi aveva mostrato la mattina che avevo salvato Bella dal furgoncino.
Nel barlume di quella visione, non ero stato solo. E adesso era chiaro, Bella era con me. Così ero abbastanza coraggioso. Mi fissava, l'arcobaleno danzava sul suo viso, i suoi occhi impenetrabili.
E' lo stesso posto, pensò Alice, la sua mente piena di un orrore che non si collegava alla visione. Tensione, forse, ma orrore? Cosa voleva dire, lo stesso posto?
E poi capii.
Edward! Alice protestò stridula. Le voglio bene, Edward!
La esclusi con cattiveria.
Non amava Bella nel modo in cui l'amavo io. La sua visione era impossibile. Sbagliata. Era in qualche modo accecata, vedeva cose impossibili.
Non era passato neanche mezzo secondo. Bella stava osservando con curiosità il mio viso, aspettando che approvassi la sua richiesta. Aveva visto il lampo di timore, o era stato troppo veloce per lei?
Mi concentrai su di lei, sulla nostra conversazione incompleta, spingendo Alice e le sue difettose e bugiarde visione lontano dai miei pensieri. Non meritavano la mia attenzione.
Non riuscii comunque a mantenere il tono giocoso delle nostre punzecchiature.
“Non puoi dire a tuo padre che passerai la giornata con me?” chiesi, l'oscurità che trapelava dalla mia voce.
Scivolai di nuovo nella visione, tentando di allontanarla, di tenerla lontana dal tremolare nella mia mente.
“Con Charlie, meno si dice, meglio è,” disse Bella, sicura su questo fatto.”E comunque, dove andremo?”
Alice aveva torto. Torto marcio. Non c'era nessuna possibilità. Era solo una visione vecchia, non più valida. Le cose erano cambiate.
“Ci sarà bel tempo,” le dissi lentamente, lottando contro il panico e l'indecisione. Alice aveva torto. Avrei continuato come se non avessi sentito né visto niente. “Perciò dovrò restare lontano da sguardi indiscreti... e se ti va, puoi venire con me.”
Bella comprese subito il significato; i suoi occhi erano accesi ed eccitati. “Mi mostrerai quel che dicevi a proposito della luce solare?”
Forse, come molte volte prima, la sua reazione sarebbe stata il contrario di quello che mi aspettavo. Sorrisi a quella possibilità, lottando per ritornare al momento più acceso. “Sì. Ma...” non aveva detto di sì. “Anche se non vuoi restare... sola con me, preferirei che tu non te ne andassi a Seattle per conto tuo. Tremo al solo pensiero dei guai in cui potresti cacciarti in una città così grande.”
Strinse le labbra; era offesa.
“Phoenix è tre volte Seattle, e solo a quanto popolazione. Le dimensioni...”
“Ma a quanto pare a Phoenix non era ancora giunta la tua ora,” dissi interrompendo le sue giustificazioni. “Perciò preferirei che mi stessi accanto.”
Avrebbe potuto restare per sempre e non sarebbe stato abbastanza a lungo.
Non dovevo pensarla in quel modo. Non avevamo un per sempre. I secondi che passavano contavano più di quanto era mai stato prima; ogni secondo la cambiava mentre io rimanevo intatto.
“Si dà il caso che restare sola con te non mi dispiaccia affatto,” disse.
No, perché i suoi istinti erano al contrario.
“Lo so,” sospirai. “Però dovresti dirlo a Charlie.”
“E perché mai dovrei?” chiese, suonando inorridita.
Le lanciai un'occhiataccia, la visione che non riuscivo a reprimere con tranquillità vorticava disgustosamente nella mia mente.
“Così avrò un briciolo di motivo in più per riportarti a casa,” sibilai. Me lo doveva, un unico testimone che mi costringesse ad essere cauto.
Perché Alice mi aveva forzato proprio adesso in questa conoscenza?
Bella deglutì rumorosamente, e mi fissò per un lungo momento. Cosa vedeva?
“Penso che correrò il rischio,” rispose.
Ugh! L'emozionava rischiare la sua vita? Desiderava ardentemente qualche colpo di adrenalina?
Mi accigliai verso Alice, che incontrò il mio sguardo con un'occhiata di avvertimento. Accanto a lei, Rosalie che mi guardava furiosamente minacciosa, ma non riuscii a preoccuparmene più di tanto. Avrei lasciato che distruggesse la macchina. Era solo un giocattolo.
“Parliamo d'altro,” Bella suggerì all'improvviso.
La fissai di rimando, pensando a come potesse dimenticare ciò che importava davvero. Perché non poteva vedermi come il mostro che ero?
“Di cosa vuoi parlare?”
I suoi occhi si lanciarono a sinistra e a destra, come per assicurarsi che nessuno stesse origliando. Doveva aver programmato di introdurre un altro argomento relativo ai miti. I suoi occhi si immobilizzarono per un secondo e il suo corpo s'irrigidì, poi guardò verso di me.
“Perché sei andato a Goat Rocks, lo scorso fine settimana... a caccia? Charlie dice che ci sono gli orsi, non è un gran posto per fare trekking.”
Così ovvio. La fissai, sollevando un sopracciglio.
“Orsi?” ansimò.
Sorrisi beffardo, osservando come la prendeva. Questo l'avrebbe portata a prendermi sul serio? Lo avrebbe fatto qualsiasi altra cosa?
Si ricompose. “Beh non è la stagione degli orsi,” disse severamente, corrugando la fronte.
“Le leggi sulla caccia regolano solo quella con le armi, se vuoi controlla pure.”
Per un momento perse il controllo del suo viso. Restò a bocca aperta.
“Orsi?” disse di nuovo, questa volta un tentativo di domanda piuttosto che un ansimo di shock.
“Emmett va pazzo per il grizzly.”
Osservai i suoi occhi, vedendo come prendeva l'informazione.
“Mmm,” mormorò. Prese un morso di pizza, guardando in basso. Masticò pensierosa, e poi bevve un sorso della bibita.
“Allora,” disse, sollevando finalmente lo sguardo. “Il tuo preferito qual è?”
Avrei dovuto aspettarmi qualcosa del genere, ma non lo avevo fatto. Almeno Bella era sempre interessante.
“Il puma,” risposi brusco.
“Ah,” rispose in tono neutrale. Il suo respiro continuava a rimanere calmo e regolare, come stessimo discutendo di un ristorante preferito.
Bene, allora. Se voleva fingere che non fosse niente di insolito...
“Ovviamente, dobbiamo stare attenti all'impatto ambientale e cacciare con un certo giudizio,” dissi, il mio tono distaccato e imparziale. “Di solito ci concentriamo sulle aree sovrappopolate di predatori, a qualunque distanza si trovino. Da queste parti c'è abbondanza di alci e cervi, e tanto basta, ma dov'è il divertimento?”
Ascoltava con un'espressione educatamente interessata, come se le stessi spiegando una lezione. Sorrisi.
“Eh, già, dove?” mormorò con calma, prendendo un altro morso di pizza.
“A Emmett piace andare a caccia di orsi all'inizio della primavera,” dissi, continuando con la lezione. “Appena usciti dal letargo sono più irritabili.”
Più di settanta anni, e non aveva ancora superato di aver perso il primo incontro.
“Non c'è niente di più divertente di un grizzly irritato, in effetti,” acconsentì Bella, annuendo solennemente.
Non riuscii a trattenere una risatina mentre scuotevo la testa per la sua calma illogica. Doveva accendersi. “Per favore, dimmi quel che pensi veramente.”
“Sto cercando di immaginare... ma non ci riesco,” rispose, corrugandosi. “Come fate a cacciare gli orsi senza armi?”
“Beh, qualche arma l'abbiamo,” le dissi, e poi feci un sorriso aperto e fulmineo. Mi aspettavo che balzasse indietro, invece rimase ferma, guardandomi. “Non il genere di strumenti che i legislatori prendono in considerazione quando stendono i regolamenti di caccia. Se hai visto un documentario su come attaccano gli orsi, dovresti essere in grado di visualizzare Emmett.”
Lanciò un'occhiata verso il tavolo dove sedevano gli altri, e rabbrividì.
Finalmente. E poi risi di me stesso, perché sapevo che una parte di me stava sperando che se ne dimenticasse.
Adesso mentre mi fissava i suoi occhi scuri erano spalancati e profondi. “Anche tu assomigli ad un orso?” chiese in un quasi sussurro.
“Più a un leone, così dicono,” le risposi, lottando per sembrare di nuovo distaccato. “Forse i nostri gusti rispecchiano il modo in cui cacciamo.”
Gli angoli della sua bocca si sollevarono un po'. “Forse,” ripeté. E poi inclinò la testa da un lato, e la curiosità fu chiara nei suoi occhi. “Avrò mai il permesso di assistere?”
Non avevo bisogno di immagini di Alice per illustrare quest'orrore, la mia immaginazione bastava.
“Assolutamente no,” le ringhiai.
Si ritrasse da me, i suoi occhi meravigliati e spaventati.
Mi allontanai anche io, mettendo più distanza tra di noi. Non avrebbe mai assistito, no? Non avrebbe fatto una sola cosa per aiutarmi a mantenerla in salvo.
“Troppo spaventoso per me?” chiese, la sua voce calma. Il suo cuore comunque, si stava ancora muovendo a due tempi.
“Se fosse questo ti porterei con me stanotte,” replicai attraverso i denti. “Quel che ti serve è una salutare dose di paura. Non vedo cosa potrebbe darti più beneficio.”
“Ma allora perché?” domandò, imperterrita.
Le lanciai un'occhiata cupa, aspettando che si spaventasse. Io ero spaventato. Riuscivo a immaginare troppo chiaramente Bella vicina mentre cacciavo...
I suoi occhi rimasero curiosi, impazienti, nient'altro. Aspettava la sua risposta, senza rinunciare.
Ma la nostra ora era terminata.
“Più tardi,” sbottai, e mi alzai in piedi. “Siamo in ritardo.”
Si guardò attorno, disorientata, come se si fosse dimenticata che eravamo in pausa pranzo. Come se si fosse dimenticata che eravamo ancora a scuola, sorpresa che non fossimo soli in qualche posto intimo. Compresi perfettamente quella sensazione. Era difficile ricordare il resto del mondo quando ero con lei.
Si alzò velocemente, traballando, e si mise lo zaino in spalla.
“D'accordo, più tardi,” disse, e riuscii a vedere la determinazione fissa sulla sua bocca; mi avrebbe fermato per quello.

12. Complicazioni

Io e Bella camminammo silenziosamente verso biologia. In quel momento stavo cercando di concentrarmi su me stesso, sulla ragazza accanto a me, su ciò che era reale e concreto, su qualsiasi cosa avesse tenuto fuori dalla mia mente le subdole, insignificanti visioni di Alice.
Superammo Angela Weber, che indugiava nel corridoio, discutendo di un compito con un ragazzo della sua classe di trigonometria. Analizzai i suoi pensieri in modo frettoloso, aspettandomi ancora più delusione, solo per rimanere sorpreso dal loro corso malinconico.
Ah, c'era qualcosa che Angela voleva. Sfortunatamente, non era qualcosa che potesse essere facilmente incartato come un regalo.
Per un momento mi sentii stranamente sereno, sentendo il desiderio impossibile di Angela. Una sensazione di somiglianza che Angela non avrebbe mai saputo che avessi provato, e in un secondo, fui una cosa sola con la gentile ragazza umana.
Era stranamente confortante sapere che non ero l'unico che stesse vivendo una tragica storia d'amore. Di cuori spezzati ce n'erano ovunque.
Nell'istante dopo, mi sentii improvvisamente e perfettamente irritato. Poiché la storia di Angela non doveva essere tragica. Lei era umana e lui era umano e la differenza tra di loro, così insormontabile nella sua mente, era ridicola, veramente ridicola in confronto alla nostra situazione. Non vi era senso per il suo cuore spezzato. Quanta tristezza sprecata, quando non vi era una valida ragione per lei di stare con chi voleva. Perché non avrebbe potuto avere ciò che desiderava? Perché la sua storia non avrebbe dovuto avere un lieto fine?
Volevo farle un regalo... Beh, le avrei dato ciò che voleva. Non sarebbe stato poi così difficile, conoscendo ciò che conoscevo sulla natura umana. Setacciai la coscienza del ragazzo accanto a lei, l'oggetto del suo affetto, e non sembrò avverso, era imbarazzato dalle sue stesse difficoltà. Disperato e rassegnato, il modo in cui si sentiva lei.
Tutto ciò che avrei dovuto fare era pianificare il suggerimento...
Il piano si formò con semplicità, il copione si scrisse da solo senza nessun aiuto da parte mia. Avrei avuto bisogno dell'assistenza di Emmett, coinvolgerlo sarebbe stata l'unica reale difficoltà. La natura umana era molto più facile da manipolabile rispetto quella dei vampiri.
Ero soddisfatto della mia soluzione, del mio regalo per Angela. Era un bel diversivo per i miei problemi. Magari fossero stati i miei a risolversi così facilmente.
Il mio umore migliorò di un po' mentre Bella ed io prendevamo posto. Forse avrei dovuto essere ottimista. Forse lì fuori per noi vi era una qualche soluzione che mi stava evitando, nel modo in cui l'evidente soluzione era invisibile per Angela. Improbabile... Ma perché passare il tempo disperarmi? Non aveva molto tempo da sprecare quando si parlava di Bella. Ogni secondo era importante.
Il professor Banner entrò spingendo un vecchio televisore con il videoregistratore. Stava omettendo una parte in cui non era particolarmente interessato – i disturbi genetici – mostrando un film per i prossimi tre giorni. Lorenzo's Oil non era un brano pieno di gioia, ma non fermò l'eccitazione dell'aula. Niente appunti, nessun materiale per il test. Tre giorni liberi. Gli umani esultarono.
Comunque non mi importava. Non avevo programmato altro che prestare ogni attenzione a Bella.
Oggi non spinsi la mia sedia lontano dalla sua, per darmi lo spazio di respirare. Al contrario, mi sedetti vicino a lei come un qualsiasi altro umano avrebbe fatto. Più vicino di quanto lo eravamo stati nella mia macchina, vicino abbastanza che il lato sinistro del mio corpo fu sommerso dal calore della sua pelle.
Era una strana esperienza, sia divertente sia da tensione nervosa, ma lo preferivo allo stare seduto con un tavolo a separarci. Ero più di quanto fossi abituato, eppure mi resi conto che non era abbastanza. Non ero soddisfatto. Stare vicino a lei mi faceva solo desiderare di esserlo ancora di più. Più mi avvicinavo più il richiamo diventava più forte.
L'avevo accusata di essere una calamita per le catastrofi. Proprio ora, sembrò letteralmente la verità. Io ero il pericolo, e la sua attrazione cresceva in forza, per ogni centimetro che mi permettevo di avvicinarmi.
E poi il professor Banner spense le luci.
Fu strano che provocò molta differenza, considerando che la mancanza di luce significava poco per i miei occhi. Potevo vedere perfettamente come prima. Era chiaro ogni dettaglio della stanza.
Allora perché l'improvvisa scossa di elettricità nell'aria, nel buio che per me non era poi così buio? Era perché sapevo che ero l'unico a poter vedere chiaramente? Che sia io che Bella eravamo invisibili per gli altri? Come fossimo soli, soltanto noi due, nascosti nella stanza buia, seduti così vicini l'una all'altro...
Ritirai la mia mano con violenza, incrociando le braccia strette sopra il mio petto e tenendo chiuse le mani. Niente errori. Mi ero promesso che non avrei fatto sbagli, non importa quanto sembrassero minuscoli. Se le avessi tenuto la mano, avrei voluto molto di più, un altro insignificante tocco, un altro movimento per avvicinarmi a lei. Non potevo provare quelle sensazioni. Un nuovo tipo di desiderio crebbe in me, tentando di dominare il mio controllo.
Nessuno sbaglio.
Bella incrociò le braccia al sicuro sul suo petto, e le sue mani si appallottolarono in pugni, come le mie.
Cosa stai pensando? Stavo morendo dalla voglia di sussurrarle, ma l'aula era troppo silenziosa per fare una conversazione bisbigliata.
Il film iniziò, illuminando un poco l'oscurità. Bella mi lanciò un'occhiata. Si accorse della posizione rigida del mio corpo – proprio come il suo – e sorrise. Le sue labbra si divisero leggermente, e i suoi occhi sembrarono pieni di caldi inviti.
O forse vedevo ciò che desideravo vedere.
Sorrisi di rimando; il suo respiro s'impigliò in un basso ansimo e spostò velocemente lo sguardo.
Fu peggio. Non conoscevo i suoi pensieri, ma fui all'improvviso sicuro di aver avuto ragione prima, e che lei voleva che la toccassi. Sentiva come me questo pericoloso desiderio.
Tra il suo corpo e il mio, ronzava l'elettricità.
Non si mosse per tutta l'ora, mantenendo la sua rigida, controllata posizione mentre io tenevo la mia. Di tanto in tanto avrebbe sbirciato ancora verso di me, e la corrente mi avrebbe scosso con un colpo improvviso.
L'ora passò, lentamente, anche se non abbastanza lentamente. Questa era una novità, avrei potuto rimanere così seduto accanto a lei per giorni, solo per avere una completa esperienza della sensazione.
Ebbi una dozzina di diverse conversazioni con me stesso mentre i minuti passavano, lottando razionalmente contro il desiderio, mentre cercavo di trovare una qualche giustificazione per toccarla.
Infine, il professor Banner accese di nuovo le luci.
Nella luce luminosa e fluorescente, l'atmosfera dell'aula ritornò alla normalità. Bella sospirò e si stiracchiò, piegando le dita. Doveva essere stato spiacevole per lei trattenere quella posizione tanto a lungo. Era stato più facile per me, l'immobilità veniva in modo naturale.
Ridacchiai all'espressione sollevata del suo viso. “Beh, interessante.”
“Mmm,” mormorò, intuendo chiaramente a cosa mi stessi riferendo, ma non esprimendo commenti. Cosa avrei dato per sentire cosa stava proprio ora pensando.
Sospirai. Nessuna quantità di speranza avrebbe aiutato.
“Andiamo?” chiesi, alzato.
Fece una smorfia e si mise instabile in piedi, le sue mani si aprirono come fosse spaventata di cadere.
Avrei potuto offrirle una mano. O avrei potuto posizionare la stessa mano sul suo gomito, appena leggermente, per metterla in equilibrio. Di sicuro non sarebbe stata una grande infrazione...
Nessun errore.
Rimase silenziosa mentre camminavamo verso la palestra. La ruga era evidente tra i suoi occhi, un segno che era immersa nei suoi pensieri. Anche io stavo pensando profondamente.
Un tocco alla sua pelle non l'avrebbe danneggiata, lottava il mio lato egoista.
Avrei potuto facilmente moderare la pressione della mia mano. Non era tanto difficile, purché mantenessi un controllo fermo. I miei sensi tattili erano meglio sviluppati di quelli umani. Avrei potuto fare il giocoliere con una dozzina di coppe di cristallo senza romperne nessuna; avrei potuto accarezzare una bolla di sapone senza farla scoppiare. Finché mantenevo un fermo controllo...
Bella era come una bolla di sapone, delicata ed effimera. Temporanea.
Per quanto sarei stato capace di giustificare la sua presenza nella mia vita? Quanto tempo avevo? Avrei avuto un'altra possibilità come questa, come questo momento, come questo secondo? Non sarebbe sempre arrivata tra le mie braccia...
Bella si voltò verso di me alla porta della palestra, e i suoi occhi si spalancarono all'espressione del mio viso. Non parlò. Mi osservai nel riflesso dei suoi occhi e vidi il conflitto che imperversava dentro di me. Vidi il mio viso cambiare mentre la mia parte migliore perdeva il dibattito.
La mia mano si sollevò senza un comando volontario. Gentilmente, come fosse fatta del più sottile dei cristalli, come se fosse stata delicata come una bolla, le mie dita accarezzarono la calda pelle che ricopriva le sue guance. Riscaldò il mio tocco, e riuscii a sentire la pulsazione del suo sangue accelerare sotto la sua pelle limpida.
Basta, mi ordinai, sebbene la mia mano stesse desiderando di modellarsi sul lato del suo viso. Basta.
Fu difficile allontanare la mano, evitare che mi avvicinassi di più di quanto già non lo fossi. In un istante un milione di diverse possibilità mi attraversarono la mente, un milione di differenti modi di toccarla. La punta del mio dito che tracciava la forma delle sue labbra. Il mio palmo che si poggiava contro il suo mento. Togliendo le forcine dei suoi capelli e lasciando che si spargessero sulla mia mano. Le mie braccia attorno alla sua vita, stringendola stretta contro il mio corpo.
Basta.
Mi sforzai di voltarmi, di allontanarmi da lei. Il mio corpo si mosse rigido, controvoglia.
Lasciai che la mia mente indugiasse indietro per guardarla mentre mi allontanavo velocemente, quasi correndo dalla tentazione. Catturai i pensieri di Mike Newton – erano i più rumorosi – mentre osservava Bella superarlo dimentica, i suoi occhi offuscati e le sue guance rosse. Lui s'infiammò e improvvisamente nella sua mente il mio nome si mischiò alle imprecazioni; non riuscii ad evitare di sogghignare leggermente in risposta.
La mia mano stava fremendo. La contrassi e la piegai in un pugno, ma continuò a pizzicare senza dolore.
No, non l'avevo ferita, ma toccarla era stato un errore.
Sembrava come se il fuoco, come se il bruciore della sete nella mia gola si fosse diffuso nel mio intero corpo.
La prossima volta che mi sarei avvicinato a lei, sarei stato capace di fermarmi dal toccarla ancora? E se l'avessi toccata ancora, sarei stato capace di fermarmi e basta?
Niente più errori. Era così. Assapora il ricordo, Edward, mi dissi torvo, e tieni le mani a posto. Questo, o avrei dovuto costringermi a partire... da qualche parte. Perché non potevo permettermi di avvicinarmi a lei per commettere altri sbagli.
Presi un respiro profondo e cercai di regolare i miei pensieri,
Emmett mi raggiunse fuori l'edifico di Inglese.
“Hey, Edward.” Ha un aspetto migliore. Strano, ma migliore. Felice.
“Hey, Em.” Sembravo felice? Supposi che, a parte il caos nella mia mente, mi sentivo così.
Tieni la bocca chiusa, ragazzo. Rosalie vuole strapparti la lingua.
Sospirai. “Mi spiace averti lasciato ad affrontare tutto questo. Sei arrabbiato con me?”
“Nah. Le passerà. Doveva succedere comunque.” Con quello che ha visto arrivare Alice...
Le visioni di Alice non era qualcosa a cui avrei voluto pensare proprio adesso. Fissai lontano, i denti stretti.
Mentre cercavo una distrazione, colsi la vista di Ben Cheney che entrava nell'aula di Spagnolo davanti a noi. Ah, c'era la possibilità che facessi il regalo ad Angela.
Smisi di camminare e afferrai il braccio di Emmett. “Aspetta un secondo.”
Che succede?
“Lo so che non lo merito, ma potresti comunque farmi un favore?”
“Quale?” chiese, curioso.
Sussurrando – ad una velocità che avrebbe reso, per un umano, le parole incomprensibili, non importava se fossero state pronunciare ad alta voce – gli spiegai quello che volevo.
Mi fissò privo d'espressione quando finii, i suoi pensieri assenti come il suo viso.
“Quindi?” Sbottai. “Mi aiuterai?”
Gli ci volle un minuto per rispondere. “Ma, perché?”
“Andiamo, Emmett. Perché no?”
Chi sei tu e cosa hai fatto di mio fratello?
“Non eri tu quello che si lamentava della scuola per tutto il tempo? Questo è qualcosa di leggermente diverso, no? Consideralo un esperimento, un esperimento della natura umana.”
Mi fissò per un altro momento primo di rispondere. “Beh, questo è diverso, te lo concedo... Okay, va bene.” borbottò Emmett e poi fece spallucce. “Ti aiuterò.”
Gli sorrisi, sentendomi più eccitato del mio piano adesso che anche lui era a bordo. Rosalie era una sofferenza, ma le sarei sempre stato debitore per aver scelto Emmett; nessuno aveva un fratello migliore del mio.
Emmett non aveva bisogno di esercitarsi. Sussurravo le sue battute una dopo l'altra in un bisbiglio mentre camminavamo verso l'aula.
Ben era già seduto al suo posto dietro di me, mentre raggruppava i suoi compiti da consegnare. Emmett ed io ci sedemmo e facemmo la stessa cosa. L'aula non era ancora in silenzio; il mormorio delle sommesse conversazione sarebbe continuato finché la professoressa Goff non avesse richiamato l'attenzione. Non aveva fretta, stava valutando i questionari della scorsa lezione.
“Dunque,” disse Emmett, la sua voce più alta del necessario, come stesse davvero parlando solo con me. “Hai ancora chiesto ad Angela Weber di uscire?”
All'improvviso il rumore del fruscio della carta si fermò mentre Ben s'immobilizzava, la sua attenzione inchiodata alla nostra conversazione.
Angela? Stanno parlando di Angela?
Bene. Avevo il suo interesse.
“No,” dissi, scuotendo la testa lentamente per apparire pieno di rammarico.
“Perché no?” improvvisò Emmett. “Sei un pollo?”
Gli feci una smorfia. “No. Ho sentito che è interessata ad un altro.”
Edward Cullen aveva intenzione di chiedere ad Angela di uscire? Ma... No. Non mi piace. Non voglio che si avvicini a lei. Non è... adatto per lei. Non è... prudente.
Mi ero aspettato quella cortesia, l'istinto protettivo. Avevo pensato alla gelosia. Ma qualsiasi altra cosa funzionava.
“Hai intenzione di lasciarti fermare da questo?” chiese Emmett sdegnoso, improvvisando di nuovo. “Non sei pronto per la competizione?”
Gli lanciai uno sguardo torvo, ma mi adattai a quello che mi diede. “Guarda, penso proprio che gli piaccia questo tizio, Ben. Non ho intenzione di convincerla in altro modo. Ci sono altre ragazze.”
La reazione della sedia dietro di me fu elettrica.
“Chi?” chiese Emmett, tornando al copione.
“La mia compagna di laboratorio ha detto che è un ragazzo chiamato Cheney. Non sono sicuro di chi sia.”
Trattenni un sorriso. Solo gli arroganti Cullen avrebbero potuto fingere di non conoscere ogni studente di questa piccola scuola.
La mente di Ben stava vorticando dallo shock. Me? Al di sopra di Edward Cullen? Ma perché dovrei piacerle?
“Edward,” mormorò Emmett in tono più basso, ruotando gli occhi verso il ragazzo. “E' proprio dietro di te,” dichiarò, in modo così evidente che l'umano avrebbe potuto facilmente leggere le parole.
“Oh,” mormorai di rimando.
Mi voltai e lanciai un'occhiata al ragazzo dietro di me. Per un secondo, gli occhi neri dietro gli occhiali si spaventarono, ma poi s'irrigidì e raddrizzò le strette spalle, offeso dalla mia chiara disprezzante valutazione. Sporse in fuori il mento e un fulmine di rabbia oscurò la sua pelle color oro.
“Huh,” dissi con arroganza mentre mi voltavo verso Emmett.
Pensa di essere meglio di me. Ma Angela non lo pensa. Glielo dimostrerò...
Perfetto.
“Comunque non hai detto che portava Yorkie al ballo?” Chiese Emmett, sbuffando al nome del ragazzo che molti disprezzavano per la sua goffaggine.
“Apparentemente è stata una decisione di gruppo.” Volevo essere sicuro che a Ben fosse chiaro. “Angela è timida. Se B... beh, se un ragazzo non ha il coraggio di chiederle di uscire, lei non lo chiederà mai a lui.”
“Ti piacciano le ragazze timide,” disse Emmett, ritornando ad improvvisare. Ragazze silenziose. Ragazze come... uhm, non so. Forse Bella Swan?
Gli sorrisi. “Esattamente.” Poi ritornai alla recita. “Forse Angela si è stancata di aspettare. Forse le chiederò per il ballo.”
No, non lo farai, pensò Ben, sistemandosi sulla sedia. Perché è tanto più alta di me? Se a lei non importa, neppure io me ne preoccuperò. E' la più carina, la più intelligente, la più bella ragazza in questa scuola... e mi vuole.
Mi piaceva questo Ben. Sembrava allegro e di buon senso. Forse anche degno di una ragazza come Angela.
Alzai il pollice verso Emmett sotto il banco, mentre la professoressa Goff si alzava e salutava la classe.
Okay, lo ammetto... è stato divertente, pensò Emmett.
Sorrisi tra me e me, contento che fossi stato capace di aver formato il lieto fine di una storia d'amore. Ero sicuro del fatto che Ben mi avrebbe seguito, e Angela avrebbe ricevuto il mio regalo anonimo. Il mio debito era stato saldato.
Com'erano sciocchi gli umani, a lasciare che sei centimetri di altezza sconfiggessero la loro felicità.
Il mio successo mi mise di buon umore. Sorrisi di nuovo mentre sistemavo la sedia e mi preparavo per il divertimento. Dopo tutto, Bella aveva puntualizzato a pranzo, non l'avevo mai vista in azione in palestra prima d'ora.
I pensieri di Mike furono i più semplici da puntare nel chiacchiericcio di voci che affollavano la palestra. La sua mente era diventata familiare nelle ultime settimane. Con un sospiro, mi rassegnai ad ascoltare attraverso di lui. Almeno potevo star sicuro che avrebbe prestato attenzione a Bella.
Arrivai appena in tempo per sentirlo offrirsi come suo compagno di badminton; mentre pensava alla proposta, un altro tipo di compagnia gli passò per la mente. Il mio sorriso svanì, strinsi i denti, e dovetti ricordarmi che l'assassinio di Mike Newton non era una scelta ammissibile.
“Grazie, Mike... lo sai che non sei costretto, eh?”
“Non preoccuparti, ti starò lontano.”
Si sorrisero, e i flash di numerosi incidenti, sempre connessi a Bella, attraversarono la mente di Mike.
Mike all'inizio giocò da solo, mentre Bella esitava sul retro del campo, tenendo la sua racchetta guardingna, come se fosse una specie di arma. Poi l'allenatore Clapp passeggiò vicino e ordinò a Mike di lasciar giocare Bella.
Oh-oh, pensò Mike mentre Bella si muoveva in avanti con un sospiro, tenendo la sua racchetta con un'angolatura maldestra.
Jennifer Ford servì il birdie direttamente verso Bella con un compiacimento contorto nei suoi pensieri. Mike vide Bella barcollare, agitando la sua racchetta metri lontana dall'obiettivo, e si affrettò per salvare il volo.
Osservai allarmato la traiettoria della racchetta di Bella. Abbastanza abilmente, colpì la rete tesa e saltò verso di lei, picchiandola sulla fronte prima di girare per colpire il braccio di Mike con un sonoro sbang.
Oh-oh. Ungh. Mi lascerà un livido.
Bella si stava massaggiando la fronte. Era difficile stare seduto al mio posto, sapendo che era ferita. Ma cosa avrei potuto fare, se fossi stato lì? E non sembrava essere niente di serio... Esitai, guardando. Se intendeva continuare a cercare di giocare, sarei andato a preparare una scusa per allontanarla dalla lezione.
L'allenatore rise. “Mi spiace, Newton.” Quella ragazza è la peggiore portatrice di sfortuna che abbia mai visto. Non dovrei imporla agli altri...
Girò la schiena di proposito e si mosse per guardare un'altra partita così che Bella sarebbe potuta tornare a ricoprire il suo ruolo da spettatrice.
Ahi, pensò di nuovo Mike, massaggiandosi il braccio. Si voltò verso Bella. “Stai bene?”
“Sì, e tu?” chiese timidamente, arrossendo.
“Credo che lo sopporterò.” Non voglio sembrare un bambino che frigna. Ma, dio, fa male! Mike ruotò il suo braccio, sussultando.
“Starò proprio qui dietro,” disse Bella, imbarazzata e dispiaciuta piuttosto che addolorata. Forse Mike avrebbe avuto la peggio. Di certo lo speravo. Almeno lei non avrebbe più giocato. Teneva la racchetta attentamente dietro la sua schiena, gli occhi pieni di rimorso... Dovetti camuffare con la tosse un'altra risata.
Cosa c'è di divertente? Voleva sapere Emmett.
“Te lo dico più tardi,” mormorai.
Bella non si azzardo a entrare di nuovo nel gioco. L'allenatore la ignorò e lasciò che Mike giocasse da solo.
Alla fine dell'ora finii come il vento il quiz, e la professoressa Goff mi lasciò andare prima. Stavo ascoltando attentamente Mike mentre camminavo attraverso il campus. Aveva deciso di affrontare Bella a proposito di me.
Jessica giura che escono insieme. Perché? Perché ha dovuto scegliere lei?
Non riconosceva il reale fenomeno, e cioè che lei aveva scelto me.
“E allora.”
“Allora cosa?” chiese lei.
“Tu e Cullen, eh?” Tu e quel mostro. Beh, se un ragazzo ricco è tanto importante per te...
Strinsi i denti alla sua degradante ipotesi.
“Non è affar tuo, Mike.”
Sulla difensiva. Dunque è vero. Merda. “Non mi piace.”
“Non è che debba piacere a te,” sbottò.
Perché non riesce a capire che è un'attrazione da circo? Come tutti loro. Il modo in cui la fissa. Guardare mi da i brividi. “Ti guarda come se fossi... qualcosa da mangiare.”
Mi rannicchiai, aspettando la sua risposta.
Il suo viso diventò di un rosso brillante, e strinse le labbra come se stesse trattenendo il respiro. Poi, improvvisamente, una risatina esplose sulla sua bocca.
Adesso sta ridendo di me. Grande.
Mike si voltò, i pensieri astiosi, e vagabondò per andare a cambiarsi.
Mi appoggiai contro il muro della palestra e tentai di ricompormi.
Come poteva aver riso delle accuse di Mike, così esplicitamente bersagliata tanto che stavo iniziando a preoccuparmi che Forks stesse diventando troppo consapevole... Perché avrebbe riso all'ipotesi che avrei potuto ucciderla, quando sapeva che era completamente la verità? Dove era l'umorismo?
Cosa c'era di sbagliato in lei?
Aveva un macabro senso dell'umorismo? Non calzava con la mia idea del suo carattere, ma come avrei potuto esserne sicuro? O forse il mio sogno ad occhi aperti del frivolo angelo era vero per un solo particolare, e cioè che non aveva il senso della paura. Coraggiosa, era la parola giusta. Altri avrebbero detto stupida, ma io sapevo quanto era sveglia. Non importava la ragione, comunque, questa mancanza di paura o di contorto senso dell'umorismo non era un bene per lei. Qual era la strana mancanza che la metteva costantemente in pericolo? Forse qui avrebbe avuto sempre bisogno di me..
Proprio per quello, il mio umore si risollevò.
Se potevo disciplinarmi, rendermi prudente, forse allora sarebbe stato giusto stare con lei.
Quando camminò verso la porta della palestra, le spalle erano tese e il suo labbro inferiore era di nuovo tra i denti, un segno di ansia. Ma appena i suoi occhi incontrarono i miei, le sue spalle rigide si rilassarono e un ampio sorriso le attraversò il volto. Era una strana tranquilla espressione. Camminò verso di me senza esitazione, fermandosi soltanto quando fu così vicina che il calore del suo corpo si schiantava su di me come un'onda di alta marea.
“Ciao,” sussurrò.
La felicità che sentii in quel momento fu, di nuovo, senza precedenti.
“Ciao,” dissi, e poi – poiché il mio umore si era talmente alleggerito che non riuscii a resistere dal prenderla in giro – aggiunsi, “Com'è andata in palestra?”
Il suo sorriso tentennò. “Bene.”
Era una bugiarda mediocre.
“Davvero?” Chiesi, sul punto di tirar fuori il problema – ero ancora preoccupato per la sua testa; le faceva male? – i pensieri di Mike Newton erano così rumorosi che ruppero la mia concentrazione.
Lo odio. Spero che muoia. Spero che guidi quella macchina lucida giù per un dirupo. Perché non può solo lasciarla sola? Attaccati a quelli della tua specie, ai mostri.
“Che c'è?” domandò Bella.
I miei occhi si rifocalizzarono sul suo viso. Osservò la schiena di Mike che si stava allontanando, e poi di nuovo verso di me.
“Newton inizia a darmi sui nervi,” ammisi.
Restò a bocca aperta, e il suo sorriso sparì. Doveva aver dimenticato che avevo avuto il potere di guardare i suoi disastri all'ultima ora, o sperava che non li avessi utilizzati.
“Non dirmi che ti sei rimesso ad ascoltare.”
“Come va la testa?”
“Sei incredibile!” disse attraverso i denti, e poi si voltò lontano da me e camminò furiosamente verso il parcheggio. La sua pelle si era colorata di un rosso scuro, era imbarazzata.
Mantenni il suo passo, sperando che la sua rabbia passasse presto. Di solito era veloce a perdonarmi.
“Sei stata tu a incuriosirmi,” spiegai “hai detto che non ti avevo mai visto in palestra.”
Non rispose; corrugò le sopracciglia.
Si fermò improvvisamente nel parcheggio quando realizzò che la mia auto era bloccata da una folla di studenti maschi.
Chissà quanto possono andare veloci con questa cosa...
Guarda il cambio. Non ho mai visto niente del genere fuori da un negozio...
Belli i cerchioni...
Di sicuro spero di trovare in giro sessanta mila dollari...
Questo era esattamente il motivo per cui Rosalie poteva usare la sua macchina solo fuori città.
Mi feci largo tra la calca di avidi ragazzi vicino la mia auto; dopo un secondo di esitazione, Bella mi seguì.
“Appariscente,” mormorai mentre saltava su.
“Che macchina è?” chiese.
“Una M3.”
Si accigliò. “Tradotto per i comuni mortali?”
“Una BMW.” Alzai gli occhi al cielo e poi mi concentrai per uscire dal parcheggio senza stirare nessuno. Dovetti bloccare lo sguardo su un paio di ragazzi che non sembravano volessero spostarsi. L'incontro per mezzo secondo con il mio sguardo sembrò essere abbastanza da convincerli.
“Sei ancora arrabbiata?” Le chiesi. Il suo cipiglio si era rilassato.
“Assolutamente sì,” rispose breve.
Sospirai. Forse non avrei dovuto riprendere il discorso. Oh beh. Potevo cercare di rimediare, supposi. “Se chiedo scusa mi perdoni?”
Ci pensò per un momento. “Forse... se sei sincero,” decise. “E in più se prometti che non lo rifarai.”
Non avevo intenzione di mentirle, e non c'era possibilità che acconsentissi a quello. Forse se le avessi offerto uno scambio differente.
“E se sarò sincero e in più ti lascerò guidare sabato?” mi ritrassi internamente al pensiero.
La ruga tornò in vita tra i suoi occhi mentre considerava il nuovo accordo. “Aggiudicato,” disse dopo averci pensato per un momento.
Adesso le mie scuse... Non avevo mai cercato prima d'ora di incantare Bella di proposito, ma ora sembrava il momento giusto. Mi immersi nei suoi occhi mentre guidavo lontano da scuola, pensando se stessi facendo tutto giusto. Usai il mio tono persuasivo.
“Bene, mi dispiace molto di averti fatta arrabbiare.”
Il suo battito rimbombò più forte di prima, e il ritmo fu improvvisamente staccato. I suoi occhi si spalancarono, sembrando un po' intontiti.
Feci un mezzo sorriso. Sembrava che avesse funzionato. Certo, adesso stavo anche avendo un po' di problemi ad allontanarmi dai suoi occhi. Incantati allo stesso modo. Fu un bene che avessi memorizzato la strada.
“E sarò sulla soglia di casa tua sabato mattina presto,” aggiunsi, concludendo l'accordo.
Ammiccò velocemente, scuotendo la testa come per schiarirsi le idee. “Uhm,” disse, “una misteriosa Volvo sul vialetto non ci aiuterà di certo, con Charlie.”
Ah, quanto poco ancora mi conosceva. “Non ho detto che verrò in auto.”
“Ma come...” iniziò a chiedere.
La interruppi. La risposta sarebbe stata difficile da spiegare senza una dimostrazione, e adesso non era il momento. “Non preoccuparti. Ci sarò, senza macchina.”
Piegò la testa da un lato, e per un momento sembrò che avesse intenzione di insistere, ma poi sembrò cambiare idea.
“'Più tardi' è arrivato?” chiese, ricordandomi della nostra conversazione incompiuta oggi a mensa; aveva lasciato correre su una domanda difficile solo per ritornare ad un'altra più interessante.
“Pensavo fosse più tardi,” acconsentii di controvoglia.
Parcheggiai di fronte casa sua, teso mentre cercavo di pensare a come spiegare... senza rendere la mia mostruosa natura troppo evidente, senza spaventarla di nuovo. O era sbagliato? Minimizzare il mio lato oscuro?
Aspettò con la stessa maschera di educato interesse che aveva indossato a pranzo. Se fossi stato meno ansioso, la sua irragionevole calma mi avrebbe fatto ridere.
“Vuoi ancora sapere perché non ti posso portare a caccia?” chiesi.
“Beh, più che altro mi chiedevo il perché della tua reazione,” rispose.
“Non ti ho spaventata?” Chiesi, sicuro che avrebbe negato.
“No.”
Cercai di non sorridere, e fallii. “Ti chiedo perdono per averti terrorizzata.” E poi il sorriso svanì con l'umorismo momentaneo. “E' stato soltanto il pensiero della tua presenza... durante la caccia.”
“Non sarebbe il caso?”
L'immagine mentale era troppo... Bella, così vulnerabile nella spoglia oscurità; me stesso, fuori controllo... Cercai di scacciarlo dalla mia mente. “Nemmeno per scherzo.”
“Perché?”
Presi un respiro profondo, concentrandomi per un momento sull'avvampante sete. Sentendola, addestrandola, provando a dominarla. Non avrei mai più dovuto controllarmi ancora, sperai che fosse vero. Non sarebbe stato sano per lei. Fissai le gradite nuvole senza vederle, sperando di poter credere che la mia determinazione avrebbe fatto la differenza se fossi stato a caccia nel momento in cui avrei incontrato il suo odore.
“Quando cacciamo, ci abbandoniamo ai sensi...” le dissi, pensando ogni parola prima di pronunciarla. “E non è la mente a governarci. Seguiamo soprattutto l'olfatto. Se nel perdere il controllo sentissi che sei vicina...”
Scossi la testa per l'angoscia al pensiero di ciò che sarebbe – non sarebbe potuto, ma sarebbe – di sicuro successo.
Ascoltai il suo battito, e poi tornai, turbato, a leggere i suoi occhi.
Il viso di Bella era composto, i suoi occhi seri. La sua bocca era stretta leggermente in quello che pensavo fosse preoccupazione. Ma preoccupazione per cosa? Per la sua salvezza? O per la mia angoscia? Continuai a fissarla, cercando di tradurre in fatti certi la sua espressione ambigua.
Mi fissò di rimando. I suoi occhi si spalancarono di più dopo un momento, e le sue pupille si dilatarono, sebbene la luce non fosse cambiata.
Il mio respiro accelerò, e all'improvviso il silenzio nell'auto sembrò ronzare, proprio come questo pomeriggio nel buio dell'aula di biologia. La corrente vibrante corse di nuovo tra di noi, e il mio desiderio di toccarla fu, per un breve momento, ancora più forte dell'esigenza della mia sete.
Il fremito di elettricità fece sembrare come se avessi ancora una pulsazione. Il mio corpo cantò con lui. Come fossi umano. Più di qualsiasi altra cosa al mondo, volevo sentire il calore delle sue labbra contro le mie. Per un secondo, lottai disperatamente per trovare la forza, il controllo, per poter poggiare la mia bocca così vicino alla sua pelle...
Feci un respiro stridente, e solo allora realizzai che quando avevo iniziato a respirare più veloce, lei aveva smesso del tutto di farlo.
Chiusi gli occhi, cercando di rompere la connessione tra di noi.
Niente più sbagli.
L'esistenza di Bella era legata delicatamente a milioni di processi chimici in equilibrio, tutti così facilmente separati. La ritmica espansione dei suoi polmoni, il flusso di ossigeno, erano per lei vita o morte. L'ondeggiante ritmo del suo cuore delicato poteva essere fermato da così tanti stupidi incidenti o malattie o... da me.
Non credevo che qualsiasi membro della mia famiglia avrebbe esitato se a lui o lei avessero offerto una possibilità, se lui o lei avrebbero scambiato l'immortalità per essere di nuovo mortali. Ognuno di noi avrebbe sopportato il fuoco per questo. Di bruciare per tanti giorni o secoli se fosse stato necessario.
La maggior parte della nostra specie apprezzava l'immortalità più di ogni altra cosa. Vi erano anche umani che la desideravano, che cercavano in posti bui per quelli che potevano donare il più oscuro dei regali...
Non noi. Non la mia famiglia. Avremmo scambiato ogni cosa per essere umani.
Ma nessuno di noi era stato così disperato di tornare indietro come me, adesso.
Fissai le microscopiche fosse e crepe del finestrino, come se ci fosse una soluzione nascosta nel vetro. L'elettricità non era svanita, e dovevo concentrarmi per mantenere le mie mani sullo sterzo.
La mia mano destra iniziò a formicolare di nuovo senza dolore, come in precedenza dopo averla toccata.
“Bella credo che a questo punto dovresti rientrare.”
Obbedì alla primo colpo, senza commentare, uscendo fuori dalla macchina e sbattendo la portiera dietro di lei. Poteva sentire chiaramente come me la potenza del disastro?
L'aveva ferita andarsene, come mi aveva ferito lasciarla andare? L'unico conforto era che l'avrei rivista presto. Più presto di quanto lei avrebbe visto me. Sorrisi, poi abbassai il finestrino e mi sporsi per parlarle un'altra volta, era più sano adesso, con il calore del suo corpo lontano dalla macchina.
Si voltò per vedere cosa volevo, curiosa.
Ancora curiosa, sebbene oggi mi avesse fatto molte domande. La mia curiosità non era ancora completamente soddisfatta; il rispondere alle sue domande aveva solo rivelato i miei segreti – avevo appreso poco da lei tranne per le mie congetture. Era ingiusto.
“Ah, Bella?”
“Sì?”
“Domani è il mio turno?”
La sua fronte si corrugò. “Per cosa?”
“Per le domande.” Domani, quando saremmo stati in posto più sano, circondati da testimoni, avrei ottenuto le mie risposte. Sorrisi al pensiero, e poi mi voltai perché non aveva accennato ad allontanarsi. Anche con lei fuori dall'auto, l'eco dell'elettricità sibilò nell'aria. Volevo uscire anch'io, accompagnarla alla porta come una scusa per starle accanto...
Niente più errori. Accesi la macchina, e poi sospirai mentre scompariva dietro di me. Sembrò come stessi correndo verso da Bella o correndo lontano da lei, senza mai stare a posto. Avrei dovuto trovare un qualche modo per mantenermi saldo a terra se avevamo intenzione di avere un po' di tranquillità.
 
Bravo Molto Lunga e impegnativa
sapete quando ci sono i risultati dei nuovi recensionist?
 
bella recensione ma questa sezione è troppo vuota..... ce solo 1 topic...